No, non impazzirò.
Mi darò una regolata.
Resterò a casa senza dare spettacolo.
Intanto, giuro, smetto di dar da mangiare ai gatti
che s’arrangino, cristo, come faccio io
e poi finiamola con questi appuntamenti
per dirsi che, dai dillo
un bel niente, ecco.
Vuoi parlare ancora del tuo fegato?
Di quel dolore sospetto che senti
-qui, no, più giù, che sarà?
È segnaccio, cazzo, te lo dico ogni volta.
E non raccontarmi di quell'isola
dove andrai a finire i tuoi giorni.
-vivrò di pesca e di noci di cocco,
mi basterà…
Senza il bar sotto casa?
Non farmi ridere.
Piuttosto, ti guardi mai allo specchio?
È ora di partire credimi.
Vado, ci vediamo domani, dopo i gatti s’intende.
No, non impazzirò.
la sensazione
è di esser ancora
di questa vita
quando lo sguardo bigio
cerca il mozzicone
mentre siedo sul
comignolo del mondo
dandogli scacco-
e poco mi importa
se sia una sfera
così resterò
col gomito poggiato
al freddo banco
con un caffè almeno
lui caldo e lungo
in deserti di dubbi
dirompono deboli
in dorate dimore
tra dolori indicibili
dentro dedali d'oro
Dimensioni dovute
a un disegno divino
declinano danze di
delfini in deriva
dentro dighe indurite
di diaspro e diamante
Dicerie di dicembre
discese a dirotto
si dissolvono in distici
tra decine di diapason
in difetto di decibel
in duelli diretti a
decisive disfatte
che non si possono mentovare
Non ci sono momenti
che non si possono deificare
Umore ultra sapiens
Umore ultra sapiens
Deframmentazione umana
L'uomo come ricordo d'altri tempi
Dio scienza
Dio roboi
Propensione ultra sapiens
Propensione ultra sapiens
Il tempo è collassato
dentro i nostri occhi.
__|_____|_____|_____|_____|_____|_____|_____|_____|
_____|_____|_____|_____|_____|_____|_____|_____|___
.
... . . . .. . . . . @@ @
... . . . . . . . . . @@@.. @. @@@@@
... . . . . . . . . . . @@.. @@... . . @
... . . . . . . . . . @@@. @.. @... . . @
... . . . . . . . . @@@@... . . @@... @@@@@@
... . . . . . . . @@@@@... . . . @@. @... . . . @@
... . . . . . . @@@@@... . . . . @@... . . . .. @. @@
... . . . . . . @@@@@... . . . . @... . . . . @
... . . . . . . @@@@@@... . . @... . . . . @
... . . . . . . . @@@@@@... . @... . . . @
... . . . . . . . . @@@@@@@@... . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @@@@@@@. @@
. @@@@@@@... . . . . . . . @@
.. @@@@@@@... . . . . . . @
... @@@@@@... . . . . . . @@
... . . . @@@ @... . . . . @@
... . . . . . . . . . . @... . . @
... . . . . . . @@@@. @... @
... . . . . @@@@@@.. @.. @
... . . . @@@@@@@.
... . . . @@@@@.. . @
... . . . @@... . . . . . @
... . . . . @.. . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @.@
... . . . . . . . . . . . @@
... . . . . . . . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @
... . . . . . . . . . . . . @
.
regala rose
rampincantato muro
stupendamente
Una moltitudine accartocciata sostiene pareri,
in un angolo della strada uno sfollato chiede di Gesù
“l’ho visto piangere ma poi è scomparso”,
(nessuno replica).
Un improvvisato sostenitore dell’autunno alza un braccio
“Defluisce meglio il sangue nella corsa verso il cuore”,
sa bene che ogni battito può dargli ragione
(quanto ringhia questo silenzio quando non sa cosa dire!).
Alla rivoluzione del mese scorso sono morti tutti,
“peccato” dice un passante,
“questa vita corre come la miseria!”.
In attesa dell’ennesima verità dicembre si presenta in doppiopetto,
“sono qui per voi”,
giusto un attimo prima della pubblicità.
Mia moglie è un angelo: nonostante tre figli
e il lavoro part-time non si sente mai Ercole
al bivio, e quand’anche fosse male in arnese
non rinuncia ad esser come i rasoi dei barbieri.
Anche quando si trova sul letto di Procuste, ne
viene sempre fuori agilmente come ber un uovo:
la sua pazienza è come la tela di Penelope, e lei
è la ninfa Egeria onnipresente nei miei pensieri.
Poi c’è il maggiore dei miei tre figli, Symeon, una
vera anguilla imburrata e costantemente nero come
un calabrone perché pensa d’esser fortunato quanto
cani in chiesa; io credo solo sia come l’Araba Fenice.
Samu’el è il mio secondo genito, un bambino
che non riesce ad essere della parrocchia per via
del suo carattere: per lui aut Caesar aut nihil.
E’ un furbo di tre cotte con la fisima per le camicie.
E infine il piccolo Nicolae, con i suoi fratelli
come i ladri di Pisa; e con Lucas, della stessa lana.
Lucas è il suo compare d’asilo, cuciti a filo doppio per
via delle famiglie che da tempo son a uscio e bottega.
Siamo gente semplice che entra papa in conclave
ed esce cardinale, che durante la settimana
lavora e la domenica va in chiesa.
Gente che per arrivare a fine mese lavora e prega.
Qui nella Vallèe la vita scorre tranquilla:
la mattina mi sveglio con le note del Duke,
faccio colazione sbellicandomi con Lucky
Luke e vado in palestra a lezione di bo.
A pranzo mi sento un boss quando addento
il mio solito hot dog, e il pomeriggio è una
continua sfida con Daisy a Super Mario Land.
Poi ascolto Jesse James e Billy Kid per un po’.
Quando arriva la sera alla pay-per-view non mi
perdo mai una partita dei Blues: adoro guardare
le magie sotto porta di Hazard sorseggiando
la mia Rosco artigianale con la pizza Da Giò.
La mia vita
scivola sì serena
alle pendici
del Mucrone: ho due
cani, tre figli, cinque
gatti e una
moglie, e ho un’ ernia
della cervice.
Ma da un po’ di giorni
sento questa vita che
scivola via.
Vorrei dare gatti e
cani al ENPA,
mandare i figli in
colonia un mese
e partire con
l’istruttrice di zumba
di mia moglie,
Serena di vent’anni.
Nel cuor di Ventotene.
Mastro d’ascia quando è notte
coi calzari dalle suole cotte,
al suono della sua armonica a bocca
scrive un’altra filastrocca.
Con le braghe logore e con le toppe
le ore in darsena oramai son troppe,
scrive su di un ceppo ed una botte
Mastro d’ascia quando è notte.
Con le parole e con i suoni
per i bimbi, quelli buoni
canticchia tutta la mattina
sotto lo sguardo della scopa di saggina.
Con la penna e il calamaio
ne ha già scritte un centinaio,
Mastro d’ascia siede sulla scocca
strocca e fila, fila e strocca.
Rima viene, siede e fugge via
o a volte resta lì come una poesia.
Anche il suo cuore è pien di toppe
e le ossa ha tutte rotte,
ma nonostante gli anni sulle spalle
canta dal porto fin quasi a fondovalle.
Gli Scott, che lo avevano accudito,
se ne stavano andando e l’istinto
selvaggio insito in lui gli avrebbe
restituito la fierezza repressa dalla
quale avrebbe nuovamente attinto.
Nessuna voce narrante saprà mai
descrivere le urla lancinanti della tribù
dei nativi americani di Castoro Grigio,
o le membra straziate che rifocillarono
un intero branco di lupi al cielo bigio
delle ostili terre innevate del Grande Nord.
Con le bianche zanne intrise del sangue
dell’uomo che lo aveva venduto, la mente
ripercorreva le foreste dello Yukon fino alla
lince che, cucciolo, lasciò sua madre langue.
Freddo come un masso e gonfio come una
rana l’uno, il violino di spalla indietro come
la coda del maiale l’altro sono i miei capiufficio.
Il primo è il quinto evangelista, un Arpagone.
Una pigna verde e un mignata, capace di entrar
per il buco della chiave con qualsiasi artificio.
Il secondo è una mosca cocchiera, un sacripante.
A mio dire, capace solo come gallo della Checca.
E’ un pidocchio rifatto con la camicia di Nesso.
E quando inizia un lavoro, statene certi, sarà
il vaso delle Danaidi: è un asino calzato e vestito!
I due abili a parlar solo di lana caprina, e spesso.
Il caposcala ha avuto un capogiro per via della botta
alla capoccia contro lo scapo, e ora giace accanto
all’imoscapo: proprio stasera, che il caporione non
è di caporonda ma fa capolino dal divano amaranto
logoro, mentre sua moglie capovolge di continuo
il capoletto e, capocciona, non lo lascia tranquillo
a capofitto nel capoc e nel suo rompicapo…
Meriterebbe una capocciata: che bello era sempre brillo
da scapolo, le cene davanti al boccaporto con decapode
e capocollo in compagnia del capostiva a capodanno!
Ora con quella specie di capodoglio la vita non è altro
che una continua caporetto, con suocero alemanno
e suocera capoclaque e a casa caporale… daccapo.
Il povero caposcala lo trovò la vecchina del pianoterra
di ritorno dalla preghiera sotto il capocielo, che leggeva
sempre lo stesso capoverso e parlava solo dell’Inghilterra.
Superiormente alle gore, superiormente alle convalli,
alle giogaie, alle macchie, ai nugoli, agli abissi,
di là dal sole e dall’etra, oltre l’empireo e le sue ellissi,
anima che mi appartieni muovi passi assai snelli.
E, parimenti a un nuotatore provetto che frange i flutti,
tu cavalchi gioiosamente le profondità e gli aspetti
della tua ineffabile passione esente da difetti.
Via da siffatta mefite, vai a decontaminarti come marabutti
nell’etere, e abbeverati come un mero elisir sublime
della fiamma calda che gremisce i gennei spazi.
A tergo le tedie con la loro zavorra e i numerosi strazi
che oberano il bigio vivere come bruma le cime,
deliziato colui che può con un batter d’ali balioso
librarsi su distese smaglianti e placide;
quello i cui pensieri, come alaudidae,
verso l’indaco a mane prendono il volo da ciò che è dannoso
-che ammara sull’esistenza
e percepisce con facilità
il gergo dei fiori per abitualità
e delle cose afone fin nella loro essenza.
Le rendez-vous era al parco.
Eri nervosa, fumavi, mi chiedevi
- Pourquoi tout ce retard?
Cara, mi sono addormentata,
ho bucato la bicicletta
ero indecisa sull’orario.
Ti chiedevo di scegliere
quello che faceva meno male
visto che di scelte a me non ne davi.
Pensavo d’essere gentile
ma tu, bella truccata disperata
insistevi, parlavi d’amore
di solitudine di noia.
Ma chérie, dentro ho da fare
scusa se sono strana
se non sento questo impulso
di confidare di condividere
di spiegare
Eh, cosa dici?
- Je dois seulemente écouter?
No, per favore fammi andare
ho la minestra sul fuoco
e devo comprare il pane.
Lo so sono stronza
e con quella erre che hai
sembra tu abbia ragione.
- Mais chérie j’ai du boulot
je dois surveiller quelle chose
ici, dans ma tête!
Anzi per oggi stai lontana
potrebbe succedere qualcosa
da un momento all’altro
e sarebbe un peccato
gacher notre curieuse relation…