Non è facile abbandonarsi
alle folate del Marin,
che prima
è un varco giallo
su un cielo bianco celeste,
e dopo
una nebbia umida
che riveste cuori e animi.
Ci si sente imprigionati in quel limbo:
nel muro di Föhn, la zona di transizione,
nelle nubi dense e lenticolari
che insinuano il dubbio,
nel sollevamento
che ogni tanto è discesa
ma sempre tristezza.
C’è chi fluttua e non ha piedi,
chi cerca, chi indaga,
chi non piange,
chi accetta
e chi non indugia.
La nostra vita è qui,
e non è mai stato un segreto
il rincorrersi delle quattro stagioni:
siamo poeti noi, marinai,
anime caduche,
pensatori;
siamo vite frastagliate
che talvolta sanno anche gioire,
quando questo cielo corvino
finalmente rischiara
e l’amore sboccia.
Un acquarello tenue e dolce,
una lacrima su un sorriso,
un panorama
che è come rinascere:
posso dirlo no,
che ne vale la pena?
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