disegna poligoni insistentemente,
mi muovo senza destar sospetto,
vado a prendere il picchietto.
Ancora in aria lei romba,
la cucina sarà la sua tomba,
ormai stanca si posa sul lavandino,
segnato appare il suo destino.
Un mio movimento secco e indolore,
l'insetto ha appena raggiunto il Creatore,
peccato perchè era di compagnia,
ma troppo fissata per la geometria.
Ho sentito la pioggia stamattina
Ho rivisto i suoi suoni
Scendeva dal cielo, il suo canto
Spoglio di emozioni
Arie grigie in foreste di salici
Da cui madri e loro figli stanno fuori
Se a restarci fossi tu
Sentiresti quelle voci
I canti delle foglie
Nella danza autunnale
I ruscelli e i fiumi pieni
Come usciti da quadri
Montagne brune e spoglie
Oltre quali il vento sale
Radici di querce che invadono il terreno
Di campagne a settembre
Profumo di legno
Di fuoco, di fango
Sapori di rosso vino e fungo
Fiumi di luce e cieli di grano
Gracili lune e gelide mani
Orizzonti con quel sole
Morto sempre troppo presto
Bimbi soli con le suole
Già straziate a suon di giochi
Cosa c'è oltre quel sole?
Tra le ombre delle querce
e i venti sulla pelle?
C'è quel nido di una pernice ora vecchia e ormai passata
C'è quel fuoco, vini e bacche
per un vecchio creatore
Di bambole scolpite
A fatica in botteghe
Ricorda solo odori di legnami
Ed ora gli occhi sono stanchi
Il vecchio solo sogna il suo canto del cigno
Addio alle streghe
E a chi di morte attende segni
Lui ora è oltre il cielo
E lì di pioggia non ce n'è
C'era una volta una sirena
Che sedeva, serena, alla volta del blu
Tra i castelli di arenaria e i troni di scogli
La regina delle coste regnava sui mari
E i gabbiani, volati i venti si posavano ai suoi piedi
Serventi ghirlande rubate alle navi
"Costi quel che costi, da costa a costa,
Voleremo alla nostra diva casta
E divideremo con lei i nostri scarsi pasti
Per te, regina delle coste"
"Ma a che costo?"
Diceva la sirena
"Io, nave, ti chiamo, sperando
Di trovar chi amo, ma quando
Il timone ode il mio canto
Il mio amante al comando
Si schianta fra scogli e costiere
E rimane un eco di costole e teschi
Di cui le fiere faranno banchetto
Sol di amare chiedo
E non soldi o un mare da conquistare
Solo grido al sole, da sola
Che chi ha già chi amare
Non può capire il giacere
Piangente e chiamare morente
Un'anima sognata che mi salvi dagli scogli
Per portarmi tra le vele e le onde cullanti
E sentire un canto diverso dal mio
Io quindi, prostrante, nelle vesti da regina
Mi piego a ogni spirito, Dio e santi
Che sentano i miei pianti incessanti
Ai troni io rinuncio perché se è esser sola
Il fato mio allora, prendete i miei diamanti
E la mia corona, e datemi degli amanti
Io abbandono salsedine e scogli
Al bando dono le sabbie salate
E dei gabbiani celesti i cordogli
Attorno alle carcasse di sirene spiaggiate"
Ma vano il gridar di petto fu
Sfinita la regina dalle lacrime versate
Svuotò la sua vita tra le alghe e i sargassi
Annegando le parole vessate nel blu
Ora i lembi della veste sua
Nel limbo fluttuan tristi
Come flebili meduse trascinate dalle onde
Per estinguere tra i fini sali la sua pena
Questa la fine della bella sirena
mi ritrovo la strada funestata,
il mio occhio viene improvvisamente rapito,
da un manifesto che degli altri è meno ingiallito.
In principio il solito copia e incolla,
mentre la carta profuma ancora di colla,
nel leggere ' E' venuto a mancare',
il mio occhio in grassetto il nome va a scovare.
Oh mio Dio , è morto Alfredo!
non è possibile non ci credo.
L'ho incontrato proprio l'altro giorno,
eravamo insieme a far la fila al forno.
L'ho visto tranquillo con inceder spedito,
mi ha salutato cordiale e con fare ardito,
odo intanto le tristi campane,
che da me non sono molto lontane.
La messa in suffragio finirà tra qualche minuto,
mi affretto per dare al defunto l'ultimo saluto,
la chiesa è assai gremita,
la sacra funzione quasi finita.
La bara in mogano sta per esser issata,
la gente pian piano fuori ora si è accalcata,
La salma è seguita dalla moglie e dalla figliuola,
quest'ultima la conosco bene perché venne con me a scuola.
Mi ritrovo dentro il solito rituale,
i miei e gli altri occhi che puntano la navata centrale,
fuori intanto un'auto oblunga regna la scena,
un brivido sento attraversare la mia schiena.
Si apre il lucente portellone nero,
il vano è pronto ad accogliere il nuovo passeggero,
il silenzio da un lungo applauso è preceduto,
del resto Alfredo era da tutti ben voluto.
Una nuova vedova accarezza il legno lucido,
poi la mano torna indietro con fare placido,
sul mezzo funebre sale il nocchiero,
che lento pede andrà verso il cimitero.
La folla intanto si dirada,
ognuno riprende la propria strada,
io mesto me ne ritorno nella mia abitazione,
dove mi raccolgo per qualche riflessione.
Chissà magari sarà oggetto di un altro scritto,
per ora in segno di lutto mi taccio e rimango zitto.
la mente s'incanta
come la puntina
d’un grammofono
su un disco che suona
ripete e ripete ancora
il rimbombo delle ultime voci
tra urla e pianti
svanisce ogni emozione
sembra quasi d'impazzire
non riesci più nemmeno a dormire
il posto dei sogni
viene preso dal revival
delle parole scaraventate
al cuore alzando gli occhi
al cielo…Dio
capire e vuoi ancora capire
quant’è profonda
quell’impotenza che ti assale
inconsapevole di poter reagire
a tanto male
Tempo
non è ancora la mia ora!
Lasciami qui a spiare
danze di conchiglie sulla riva del mare
Lasciami qui a sentire
musica di vento che fa rabbrividire
Lasciami qui ancora un po'
per tirar fuori tutto ciò che ho
fantasia umorismo e amore
lasciami qui per lenire qualche dolore!
Lasciami qui sotto un cielo di velluto nero
a vagar tra le stelle col pensiero
a parlare con la luna solitaria
lasciami qui a costruir castelli in aria!
Tempo ne avrò per pianger di dolore
tempo ne avrò per riempire le mie ore
ma tu stammi lontano
non cercare la mia mano
cambierò la mia vita
cambierò la mia sorte
ma tu vattene via... perfida morte!
in effetti non hanno tutti i torti,
vi riposano tante e tante persone,
che vi han preso posto in ogni stagione.
Ti accorgi subito di essere nei suoi pressi,
se vedi la tua ombra mescolata a quella dei cipressi,
all'ingresso flaconi di svariate candeggine,
di litri di acqua ne trasportano a dozzine.
Dentro cappelle di ogni forma e dimensione,
in cui l'estro dei parenti trova la sua espressione,
marmi di ogni colore e fattura,
con in comune solo la temperatura.
Sulle varie lapidi date di nascita e di morte,
numeri che sembrano quasi estratti a sorte,
la foto più bella messa in primo piano,
di colui che è proprio lì ad un palmo di mano.
Si odono poche e meste voci,
unitamente a passi pesanti e veloci,
vasi di vetro con cui il tempo puoi contare,
scandito dai bianchi anelli di calcare.
Dentro fiori nuovi , vecchi e finti,
si intravede una vedova dai capelli tinti,
in una celeste corrispondenza di sensi giunge le amorose mani,
facendo rievocare nei passanti dei più famosi versi foscoliani.
Faccio visita ad amici parenti e conoscenti,
anche se alle lancette occorre stare attenti,
conosco il custode ed è una persona cordiale,
ma nel chiudere i cancelli è assai puntuale.
Per i cari defunti allora una breve preghiera,
ormai vicina è già la sera,
tra l'altro qui non prende il cellulare,
e vorrei evitare di scavalcare.
Mi avvicino all'uscita con passo veloce,
lì vicino è issata una grande croce,
la guardo, la solfeggio, le dedico un inchino,
e uscendo affido a lei il mio destino.
E svanente pare la memoria
nei meandri dei fogli
Perdute fragili vestigia,
l’animo vaga
per luoghi senza luoghi
per immagini senza colori
Quel tempo rubato
vorrebbe parlare
gridare o piangere,
invece si resta muti
nelle maschere di pietra
che racchiudono la vita»
Percorro un viale, forse…
No, non sembra essere un percorso che porta o sul quale poggiare i passi, ho l’impressione di essere trasportato verso contenitori fatti di muri o di stanze.
Mi ritrovo in un luogo di sepoltura, sarà antica realtà? Non comprendo, riesco solo a vedere un sarcofago di pietra e un guardiano che mi ammonisce. Forse legge nei miei pensieri? Della mia curiosa essenza sa bene?
«Non aprire, non puoi osservare il contenuto del sacello, chiunque lo farà non potrà dirlo né descrivere ciò che avrà visto.»
Apro quello che sembra un eterno ricovero, vedo un lenzuolo bianco, posato sul fondo, un involucro soffice che regge una maschera d’oro, stupendamente brillante.
«Non fissarla, non guardarla, non osare sfiorarla, sarai reso in polvere all’istante»
Non resisto, essa mi chiama, allungo le mani all’interno del sacello, provo a sfiorare l’oro, ne seguo i lineamenti, da essi vengo rapito e un’energia incredibile mi scuote, mi fa tremare. Ho paura ma non posso andar via…
Ecco ora sento aprirsi le porte della mente, invoco le forze del regno dei morti e quella maschera s’è trasposta sul mio volto e… vedo ogni cosa che appartiene all’Altro, il mio corpo non esiste e non riesco più a percepirlo, mentre il regno dei morti mi parla e io ora comprendo e so d’appartenere a quel mondo.
La notte trascorre il suo sonno, io non più il mio e cerco il sangue caldo nelle gambe, non le sento più e crespo appare il corpo.
Notte d’altro che tu non sai e io non son altro che flutto di pensiero che conosce e percepisce e della sua appartenenza non ha più dubbi.
Aspetto qualche pulsazione nuova, poi riprendo il terreno moto e un sorso d’acqua.
«Notte, sei mia come niente altro»
Mi ricordo quando mi dicevi
“Mah, forse è meglio andar giù là al fresco, sotto le piante”
E io rispondevo
“Ma no è ancora presto dai”
E tu continuavi
“Non torna mai indietro nessuno, si vede che stanno tutti bene”
Ecco, adesso lo sai se stanno tutti bene.
Magari dimmelo in un sogno, così
potrò dormire tranquillo sapendo
che per te è solo un nuovo inizio.
il volto, il tocco, il sorriso e le parole
di chi è mancato al mio amore?
Potrò mai dimenticare chi nella mia vita ha fatto la sua parte
nell'immenso palcoscenico quotidiano
come piccola comparsa o coprotagonista
e ora è per sempre occultato alla mia vista?
Sarà una questione puramente corporale
questa cosa della morte
o esiste un'anima immortale?
Ognuno a questo una risposta cerca
porgendo fiori al defunto amato
nella grigia pietra ben celato
per non vedere di un corpo cosa resta
dopo la fine dell'ultima festa.
Ha senso la vita se quando sarà finita
non resterà più niente di noi
come sabbia tra le dita
che scivola via lasciando a mani vuote
e di una triste marcia funebre aleggeranno le note?
Nel ricordo dei vivi per un po' si resta
piccola consolazione, ma cosa pretendiamo?
Da milioni di anni per ogni creatura viva
il solito ciclo si ripete
e la morte è di tutti l'immancabile sorte.
a farmi fare pace, con quella lì,
con la dannata strega dei miei sogni,
l’unica fata che delude i bimbi.
L’ho vista avvicinarsi a quel lettino
con l’aria stramba da ubriacona,
le gambe appese ad un non sesso,
con l’idea fissa di rubare vita.
Tenetela lontana
da me che cerco i fiori veri,
da me e da chi un giorno dopo l’altro
la schiena rompe per gridare io vivo.
Buttatela nel pozzo senza fine
e dentro poi versate fuoco e fiele.
Spargete intorno lavanda d’Eden
e a mani giunte dite un Pater.
Tenetela lontana…