Volevi andartene come una spiga senza reste;
non ti avrebbe abbandonata quella guaina
e sarebbe cresciuta con te
per continuare ad avvolgerti.
Ti puntava una pistola il sole in faccia
e sentivi che era la levata:
quanto sale già allora sudato,
maggio con la prima sigaretta
fumata in un campo di culmi
sempre più alti di te.
Ma sei arrivata piccola spiga
e quella foglia così materna,
mentre ti corteggiano altre intorno,
è sempre lì con te
e con te ancora un po’ è cresciuta
per sapere come avvolgerti a quest’età.
Non potrai poi evitare il mondo:
verrà a cercarti a casa, giovane pannocchia!
con quelle trebbie assassine
e ti beccheranno galline da pollaio
o galline in giacca e cravatta.
Verrà giugno e sarà il tuo autunno;
le prime mattine d'estate il tuo tramonto;
quanti cadaveri di madri e rovine di case
in mezzo a quel campo prosciugato.
Ora che non ci sono più confini e colori
si fa mostruoso il canto dei giovani grilli.
dalle croste degli antichi parassiti.
Vulcano esplode e bombarda
di lava nuvole serene,
appassite nella loro quiete
plastica, ormai cremata.
La neve cade a blocchi
e stupra l'amianto,
succhia il midollo a tetti arrugginiti
riparo per gli schiavi, da decenni.
Luna intrepida aizza
maree strazianti contro
le capitali del potere.
Impotenti.
Umanità in bilico.
Terra in rivolta.
del silenzio,
disteso nel sibilo
ricordo di un’estate
persa dai
geli dell’inverno.
Varchi innevati
si prostrano sui
veli ornati di
profumi d’autunno,
che assopiscono i
briosi sapori
dell’innamorata primavera.Rapito dall’ombra
del silenzio,
disteso nel sibilo
ricordo di un’estate
persa dai
geli dell’inverno.
Varchi innevati
si prostrano sui
veli ornati di
profumi d’autunno,
che assopiscono i
briosi sapori
dell’innamorata primavera.
il chiarore della via
mi rammenta la vacanza che verrà
Attira il sole nel cielo chiaro
al suo solito posto
alto
Ombre e luci si riflettono sull’asfalto, mosse da leggeri fili d’aria
I passi sono pesanti ed il respiro lento
Brucia l’erba abbandonata e senza padrone
All’orizzonte tutto è nascosto
Trascorre la giornata, tra aria fresca e persone abbronzate
Arriva lentamente la sera, che si oscura solo a tarda ora
Mi siedo osservando il luogo, i tetti e le stelle
La luna le accompagna
si sta trasformando
illuminati sono i suoi mari e l’intorno
La tranquillità si espande, senza fine
Non ho voglia di rientrare e qui mi vorrei addormentare
Si innalzano strinando l'appisolato orizzonte
biancazzurro sfocato e vapori dorati di borotalco
terse creste; pulsa il cuore del cielo.
Il soldato caduto e senza più sangue caldo,
senza scudi, si trascina senza "ma" dovunque;
decida il braccio titano del mare. Od un sasso senza moto,
litigato e strattonato fra le correnti intrecciate.
L'anima intanto incastrata in un eterno groviglio,
una sfera: di rami secchi e marciti, impigliati
fra erbacce verdeggianti cresciute sulla sponda di un fiume.
COMMENTO: NELLA PRIMA STROFA, LE ONDE DEL MARE RIESCONO A TOCCARE L’ORIZZONTE ED I RAGGI DEL TRAMONTO, INNALZANDOSI. IL COLORE DELLE ONDE E’ TERSO, MOLTO SIMILE AL BIANCAZZURRO DELL’ORIZZONTE: LE DUE COMPONENTI QUINDI SI FONDONO E, CON L’AGGIUNTA DEI RAGGI DEL SOLE, SEMBRA CHE IL CIELO COMPIA UN MOVIMENTO E MOSTRI UN CENNO DI VITALITA'’, SEMBRA CHE PULSI. LA STROFA RAPPRESENTA L’INESTINGUIBILE FORZA DELLA NATURA, ANCHE QUANDO IL SOLE TRAMONTA.
LA SECONDA STROFA RAPPRESENTA L’UOMO CHE NON PUO’ CONTROLLARE LA PROPRIA VITA, MOSSO COME UNA PEDINA DAL BRACCIO TITANO DEL MARE (IL DESTINO) E LITIGATO FRA LE CORRENTI INTRECCIATE (LA SORTE). L’UOMO NON MOSTRA MOVIMENTO, E’ COME MORTO (SENZA SANGUE) DI FRONTE A FORZE DI GRAN LUNGA SUPERIORI A LUI.
NELLA TERZA STROFA VI E’ L’ANIMA INTRAPPOLATA IN UNGROVIGLIO: LA MORTE, RAPPRESENTATA CON I RAMI MARCITI E SECCHI, RIMANE IMPIGLIATA NELLA VITA, MISERA COME LE ERBACCE VERDEGGIANTI CHE CRESCONO SULLA SPONDA DEL FIUME (IL TEMPO).
Una margherita in mezzo al campo brullo
si crede sola e piange
e nemmeno la terra sabbiosa
trattiene quel pianto.
Oh mia distrutta margherita
ti credi fiore solo al mondo
quando sei infiorescenza a capolino.
Nessuno è mai solo,
quelle lacrime bianche
ti inducevano a pensarlo.
i vucumprà sembravano ombre sulla sabbia
e portavano dei maglioni perché in Africa faceva più caldo
Scrivevano qualcosa in arabo sulla rena
di certo nulla di importante per noi
Era la stessa solitudine di chi si sentiva altrove
La spiaggia deserta e un silenzio a cui gli occidentali non sono abituati
Se avessi due teste
proprio come un serpente albino
una la userei per tenerci tutti i ricordi
e l'altra per ricordarmi quanto sarebbe facile non averne
Soffio nel cerchietto colorato:
ecco lo sciame di bolle
armonicamente impazzite.
Danzano. Trasparenti,
danzano, danzano
verso il nuovo residente che non ci bada.
Si allontanano all'orizzonte:
chiudo gli occhi.
Prima o poi scoppieranno:
avendo chiuso gli occhi
immagino
che vagabondino immortali
e ingiustamente senza una meta.
Seduto su un ceppo rovesciato:
purulenta, putrida la sua corteccia,
attraversata da larve, squarci,
edera, cuscuta.
Ecco l'eternità delle piante,
Ecco l'eternità delle bolle.
cigolante
come una nave nel porto
Accarezzando i contorni delimitati dal paesaggio
il mare annusa l’aria
assaggiando nuovi sapori ed acri profumi
Nel suo corpo
crespe d’onda
strade obbligate, dalla luna delineate
Chiama a raccolta anche ciò che non vorrebbe la natura
la sera lo impone ed il mare annuisce
Drastico il segnale del tempo
che vibra i momenti
Assaggia la stagione
questo nuovo mondo alla deriva
Case umide s’affacciano nel mare
striduli rumori sento arrivare
la via di casa si lascia accarezzare
ed i colori sono mille e senza contare
Il cielo sopra è come argento
ed i bambini inzuppati
corrono per divertimento
Un gatto sornione e svogliato
attraversa senza fretta
quel verde prato
L’uomo del pesce grida che è l’ora
e finalmente al davanzale
s’affaccia una signora
La rosea linea dell’orizzonte m’ avverte
che le ore scure
sono già pronte
Mentre sento questo intenso soave profumo
sulle barche nel porto, non c’è nessuno
Approfitto dell’ora e del momento, per lanciare un sogno nel firmamento
Sogno che va e sogno di festa, star qui per me
è quel che resta
"Ancor poco muove
la prima capriola estiva;
rimane sull'orlo la fragranza
di quella bianca fuga di primavera.
Di placido azzurro, là sul viale,
fresco è il dondolio
delle tue paterne carezze
- rivolte ai gabbiani,
tese in verdi
inebrianti estensioni.
Tutto l'oro,
tutti i miei mortali affanni
sacrificherei nell'onda ambrata
del tuo sussurrar di vecchio,
pur sapendo che poco t'importa
e altrettanto ascolti
di tutte le raminghe passioni
che van per il mondo.
Quanto mi sorprende
quella gioventù ribelle
che s'intreccia
lampeggia
eppur vibra
come vibrano, mortali,
le piccole gioie nostre!
- di un non so che di vita, mi paiono,
quelle fughe di fiamma
fra foglia acquamarina.
Rapide è certo,
ma quanta vita!
Niente si ama più
della luce fra i platani;
- non le cose leggere,
non le cose delle stagioni
fuggiasche,
che han fretta di vedere
degli uomini i tristi congedi
e solo per pietà si scoprono
amanti."
Siano benedetti i capelli bagnati delle ragazze.
Siano benedetti i tavolini scaraventati in città.
Siano benedette le pozzanghere
coperte dai cappotti dei gentiluomini.
Siano benedette le danze di indiani improvvisati,
i fiumiciattoli sotto il vomito delle canale,
il mio cane che apre la bocca al cielo
e il mio gatto furbo sotto la tettoia.
Sia benedetto chi finalmente si addormenta:
qualcuno ha azzeccato le note della ninnananna.
del fiume i suoi rovi e fiori colorati,
ho ascoltato il ronzio delle libellule pizzicare l'acqua,
delle farfalle le ali colorate vezzose specchiarsi,
immersa nella ginestra ne ho respirato il suo profumo,
dal basso ho ammirato gli alberi antichi e testimoni
e ne ho spinto i rami chini e adagiati nella menta selvatica e margheritine,
sono scivolata sulle pietre con risvegli di muschio,
e sorprese le lucertole al sole sparite poi nell'ombra
con il cammino vivace e contorto,
fatto di meraviglie , rivoli allegri , sorrisi e fili di voce...
Non ricordo
era un sottobosco che non vedrà nessuno
Con aureole di schiamazzi e lucciole
Non mi riprendo
il suolo coperto di felci fango e miracoli
con cadenze disastrose di cecilie rintanate
Non lo so davvero più
guarda le impronte sbiadite dei cacciatori
sono così vecchie che possiamo urlare Tutti fuori!
Io non ricordo
una coperta verde un po' smagliata
ci passava il sole a svegliarci troppo presto
Io non mi riprendo
dai cinghiali che balzano via per la paura
da cercatori distratti che non vedono
funghi come rughe su una faccia che ha ormai pianto
Io non mi vedo
anche il lupo stanco se ne va a letto
delle urla la sua luna se n'è fregata
Adesso ti sento
sei un fruscio che striscia
un cinguettare bestemmie sull'aurora
una gamba liscia rovinata in un prunaio
e forse ricorderò un posto dimentic