C’è un peso, E’ un peso, che sembra solitario ma, è quella falsa impotenza creata dalla sofferenza di essere consapevoli che il mondo non è solo e centrato sulla nostra vita.
C’è una parte di violenza, quella violenza di sangue,carnale... da padri a figli
ingiustificabile, son come doni pensano, caduti dalla stupidità, dall’ignoranza umana e lì, si cimentano per un’auto-conferma di potere
FOLLIA!
Non vi è una realtà di differenza riguardante le razze, è violenza …e basta, gratuita, spontanea.
E' la bestia che si risveglia che, se fosse veramente un animale, verrebbe soppresso, ed invece, si rimane ad ascoltare in silenzio e spesso, se non sempre, senza muovere un dito.
T’incontrai alla fermata dell’autobus
nevicava fitto fitto, il freddo attraversava
i miei indumenti, e tu, li tremante
con un vestitino di lana e un leggero golfino
tremante guardavi nel vuoto della notte
composta, con il capo che sprigionava dignità
Tante domande mi passarono nella mente
ma poche te ne feci
Tremi perché hai freddo? Il tuo cappotto dove lo hai lasciato?
- Non ho potuto fare altrimenti, sono scappata da casa
mio padre mi ha picchiato ancora, e sono fuggita così come mi trovavo.
Pochi secondi, e le mie viscere si contorcevano
la nausea saliva fino alla mia bocca
Come è possibile, mi domandavo
Mi tolsi guanti
mi spogliai del superfluo
ti diedi il mio ombrello
e l’unico biglietto dell’autobus che avevo in borsa
Non ci furono parole, ma quattro occhi che si guardavano dentro
Oggi mi domando dove sei...e quante cose avrei potuto fare...
angusta prigione a cielo aperto.
Come topi in gabbia,
spietata retorica la verità insabbia.
Mi chiami terrorista,
il mio nome hai scritto
su una lunga lista.
Indignarsi è peccato,
il mio sangue viene sprecato.
Polvere si stende,
come a lutto il sudario.
La memoria diventa dolore,
della mia terra non sento più l'odore.!
Piove sangue, dalle nuvole grigie
e lamenti, si alzano al cielo
strazianti oggi, come ieri
senza riuscir a cancellar dolore.
E il pensiero, va alle immagini
che mettono sotto morsa, il cuore
per la ferocia di uomini
che nel cammino, hanno perso l’onore.
E non finirà, il venir giù di lacrime
finché il ricordo, resterà dentro
a memoria, di anime pure, volate via
con la sola colpa, d’esser nate.
Striscioni ai cancelli!
La lotta è tornata!
La fabbrica è occupata!
Anche un prete è con noi, ha deciso di passare la notte qui!
Si parla, si mangia, si prega.
Dormiamo a turni.
Socchiudo gli occhi e
penso a quando c'era la competizione fra di noi,
pur di dimostrare che eravamo uno migliore dell'altro.
E adesso uniti, siamo qui a lottare!
Tutti con lo stesso scopo: la difesa del nostro lavoro.
Chissà se la fabbrica ripartirà... il nostro futuro è incerto.
c'è molto pessimismo, ma sono certa e fiera che nessuno dimenticherà
questo momento di unità!
E tutto sarà diverso.... o almeno per un po!
tenendo i miei stati d'animo bloccati come cani in un canile
le canalizzo attraverso dei tic nervosi
da rendere la mia figura pericolosa come certi picchi nevosi
dove si scia come quando mi hanno chiuso qui per una scia di cocaina
perchè tradivo il mio presente con il passato usando come preservativo la monotonia.
Ora preservo ancora un ancora che nel mare inquinato dell'anima mia
dove come netturbini annoiati nel mio corpo farmaci buttano via.
Mia moglie si era presa una sbandata per un altro
come anche la mia sanità mentale sbandò quando la uccisi nell'atrio
eppure lei ora ha le chiavi del paradiso
io starò qui altri 50 anni in questo inferno condiviso.
impaurite e dal viver segnate
si riversa la pioggia sporca
su angeli innocenti e senza colpa
Sosteranno a lungo, solo pianti
stretti in sgradevoli bisbigli
chiusi da amari risvegli
di amici che si confessavano santi
E nel tempo colpirà il graffio
dei fiori dai sorrisi neri
e le notti dallo andar adagio
mai liberi da mostri menzogneri
di una notte
senza fine
si riflettono
come in uno
specchio
immagini di vita travolta,
caotiche
in bianco e nero
svaniscono
nella memoria
di immemori
indifferenze.
Note
di un requiem
civile
si alzano
dalle strade
bagnate
di pioggia
accese
di rabbia,
dove i giorni
languono su
visi, corpi
di identità cancellate
legate a speranze
dissipate
in primavere mai nate
in un riscatto abortito.
La vergogna intride
la nostra terra da nord a sud,
noi burattinai del Mangiafuoco
che sull'Olimpo risiede
Le tre settimane sono arrivate a due,
la pioggia è lacrime di chi
“il portone” antro del luogo
dove lasciava sudore e stanchezza
in faccia si è visto sbattere ….
Muore la speranza
seminando incazzature forti
ed il cuore del paese martella incessante
gonfiando, pallone aerostatico
che nel cielo si immolerà esplodendo,
ormai troppo gravido partorirà
ribellione allo stato puro
La natura si ribella
aggravando il malessere,
si unisce a noi in un corte di protesta
perchè questo incerto futuro
impaurisce, secca le fauci
fa gorgogliare le pance
dando voce ad una musica
che puzza di morte
Mercantini scrisse:
“eran trecento eran giovani e forti e sono morti”
Noi la patria salveremo
alcuni soccomberanno
ma non tutti moriranno!!!
La vita sempre
in me freme
con un occhio
di riguardo,
e trovo spunti
negli amici
senza mai niente
dire a chi
scherzi poco
sinceri sa
fare.
E mai le
persone se la scampano.
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Prefazione
Questa poesia farà parte del concorso
L’ha chiamata un desiderio irrevocabile di pace
L’urlo di qualcuno stanco di una vita ormai tormento
occhi che ormai vedono oltre
Sacre immagini e pagani amuleti rimossi
Ancora istanti di vita nella stanza
Tempo terreno sospeso
sarà eterno tra poco
dopo l’ultimo stanco respiro
Adesso il silenzio è più intenso
Ora c’è un’altra presenza
Un’attesa
Un preludio di fine
Nessun altro osa entrare dove la vita si ferma
A capo coperto l’ultima madre
lascia pianto alle spalle
Ha offerto una vita all’eterno
esaudito un ultimo sogno
L’accabadora scivola via nella notte ormai fonda
Ha condotto per mano chi voleva partire
lasciato all’ignoto chi ha voluto finire
rifiutando con l’ultimo grido il dolore
e lentamente scorre
per posarsi sul ramo
che l’alba attende
si accendono le stelle
e penetra la luce
nel cuore impietrito
dell’uomo che più
il sole non scorge
perché il pensiero
è granitico e l’orizzonte
non sogna.