Luoghi così caratteristici non ne ho mai visti. Le case a differenza delle nostre sul mare si mostrano tristi. Una ragione c’è, il forte vento. Le finestre sono così piccole che un soffio d'aria fatica a entrare. È la mia prima escursione in solitaria. Sono in Romagna, nella valle del Montone. Sul valico l'osteria "Primavera della vita" è adibita pure a rifugio. Punto tappa dove passo la notte. È sera quando arrivo, davanti all’osteria, ci sono molte persone affollate, l'occhio mi cade su una ragazza che ha all’incirca la mia età. Capelli rossi, occhi scuri. Quel contrasto mi piace, non riesco a togliergli gli occhi da dosso. Ha i lineamenti del viso spigolosi che rimarcano il carattere forte e coraggioso della ragazza. Scoppia improvviso una baruffa tra un gruppo di ragazzi e la rossa dagli occhi neri entra in modo veemente nella rissa che sta per scoppiare. Sto per intervenire ma sono bloccato da un braccio massiccio. Il volto è quello di un signore calvo con una lunga barba rossa. “Non ti impicciare sono beghe di paese.” È intervenuta per difendere il fratello, e nella concitazione del momento lo chiama per nome. ”Beppe, sono qui”. Lo toglie dalla mischia e la bagarre di poco prima cessa. Il calvo con la barba rossa è lì vicino a me con un'aria soddisfatta, gli domando il perché della zuffa. Non ottengo risposta. Soltanto: “hai visto ragazzo che forza mia figlia? Devono sbrigarsela da soli. Pure dopo una scazzottata, da queste parti si rimane amici.
Ho sulle gambe una ventina di chilometri caratterizzati da forti dislivelli e, il mattino successivo voglio raggiungere la vetta dell’Alpe di San Benedetto. È mattina. L’aria della notte si fa sentire. Dopo l'abbondante colazione mi metto in marcia. Mi inerpico aiutandomi con i bastoncini per la cresta sassosa del monte Tramiti. Un gran dislivello. Salita faticosa. La tentazione di tornare indietro è forte, ma non è altro, che la ribellione della pigrizia contro la volontà. Riprendo il cammino passo lento senza fermarmi se non per una sosta a bere una sorsata d'acqua. Il piacere della scoperta non mi abbandona, anzi stimola l’attenzione e affina i sensi.
 Mi avvicino a una capanna, una donna energica mi fa segno di avvicinarmi e con un fischio chiama  le capre che stanno pascolando. Arrivano in gruppo, mentre le pecore e le mucche continuano come se niente fosse a brucare l'erba e a scacciare le mosche. Si lasciano carezzare dalla pastora che le chiama per nome, poi ne munge alcune e mi offre una ciotola di latte caldo e spumante. Chiacchieriamo amabilmente seduti su di un masso, un incontro inatteso che mi permette di capire quale è il valore del lavoro in quelle zone montane. Ho la cima del monte davanti a me, guadagnarla non è facile. Consulto la carta e trovo un percorso alternativo che è più lungo ma più agevole. Ho raggiunto la vetta e lo spettacolo che si presenta ai miei occhi mi appaga della fatica compiuta. Una vastità di monti. L'appennino centrale è lì davanti, in lontananza fanno capolino le vette più alte. Una veduta che non ho più dimenticato. Arriva il momento in cui mi devo distaccare da quell'incanto, mi attende la sorgente dell'Arno che raggiungo con gran soddisfazione. Bevo con le mani a coppa l'acqua limpida e gelata. Rigenerato e gratificato riprendo il cammino in forte pendenza su un sentiero inaridito dal sole. Quando arrivo nei pressi dell'osteria la gente mi guarda con curiosità.
Mi viene incontro un ragazzo e mi chiede se sono socio del Club Alpino? Rispondo, sì. - Pure lui lo è. Instauriamo un rapporto di fraterna amicizia, il collante è la passione per la montagna. Ceniamo assieme scambiandoci le nostre esperienze. Si chiama Arturo e il mattino seguente lo trovo ad aspettarmi. Facciamo una abbondante colazione assieme e poi mi accompagna per un buon tratto di salita per l'eremo che non raggiungo a causa delle scarse indicazioni nel corso del percorso. Ritorno su i miei passi contento e felice di aver fatto questa escursione in solitaria. Abitualmente il trekking sui monti lo pratico con un gruppo di amici e raggiungere le vette dei monti è sempre una grande emozione che condividiamo assieme. Quello di cui scrivo oggi è un modo diverso nell’affrontare il cammino sui monti, ho goduto appieno il silenzio del bosco e non ero mai solo, in compagnia dei miei pensieri e del mio fiato. Per me non è una sfida a quelli che sono i miei limiti sto molto più attento e ricettivo ai particolari che spesso cambiano con il mutare del tempo. Macino dei gran chilometri di cammino e dislivelli importanti evitando le traccie che tagliano il bosco, a ogni deviazione controllo la carta e verifico la mia posizione, ci vuole poco a sbagliare, riprendo la marcia solo quando sono sicuro di essere sul sentiero corretto. In gruppo sono meno cauto perché posso contare sull’orientamento di un compagno o sul suo aiuto per superare i passaggi più difficili. Le raccomandazioni che ricevo ogni volta che affronto un trekking in solitaria sono svariate e tutte hanno una loro ragione, solo che te le fanno persone che non hanno mai praticato la montagna, io rispondo sempre che essere in compagnia non annulla i rischi. Mi piace adeguarmi al territorio. Per chi è nato in montagna questa capacità è innata, così come per gli animali, per me ogni volta è una conquista.
Alla prossima cari lettori.

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Profilo Autore: Francesco*   Socio sostenitore del Club Poetico dal 04-10-2023

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Alle Sorgenti.

                                                                                                La preparazione.

Dopo aver bevuto alla sorgente dell’Arno è giunto il momento di bere a quella del Tevere. Ne parlo con Adelmo, appassionato di caccia e buon camminatore. “Bella idea ma, nel periodo di caccia non mi sposto dalla mia zona.” - Abbiamo pensato di partire a Luglio, ti unisci a noi? L’idea non mi dispiace, ma, qualche cima dobbiamo farla, altrimenti io resto a casa. Io so delle doti di Adelmo, non solo come camminatore ma, pure come esperto di cartografia. Molti pomeriggi li passiamo a studiare i sentieri e i vari percorsi, stabiliamo il punto tappa. Il paese di Balze è un buon punto di partenza. Inoltre ci sono varie alternative per il trekking che abbiamo in programma. Si decide di noleggiare un’auto per il viaggio e stabiliamo la regola di guidare a turno, mentre lasciamo alla sorte, la scelta della logistica.

                                                                                          Il giorno della partenza.

Il punto d’incontro è la piazza del paese. Cinque ore di guida alternata per arrivare a destinazione. Ci mettiamo in movimento carichi come muli, dobbiamo trovare posto per sistemarci. Non c'è un albergo nemmeno a morire! Adelmo: - armiamoci di pazienza e qualcosa troviamo! Siamo nei pressi di un punto panoramico, una indicazione provvidenziale: Albergo Sorgente del Tevere. In forte salita arriviamo a destinazione. Entriamo. Siamo accolti calorosamente da una signora bassa di statura e robusta di corporatura, a me sembra una pallina. Domandiamo se ha posto per un soggiorno di mezza pensione per una settimana. “Certamente!” Lo esclama con un sorriso straripante, contagioso. Le fossette sulle guance risaltano, rendendola ancora più simpatica. Il prezzo è economico, ideale per le nostre finanze. Ci mostra le camere. Ne prendiamo possesso e ne approfittiamo per un meritato riposo. Poi, un giro nei dintorni per fare arrivare l’ora della cena. Quando rientriamo in albergo, la signora, trotterellando ci viene incontro. Ci accompagna nell'ampio salone e indica il tavolo. Arriva con due piatti ovali colmi di salumi, li posa nel mezzo del tavolo e in due cestini di Vimini con dentro il pane ancora tiepido. La segue a ruota il marito con due fiaschette di vino nero e due caraffe d'acqua. “ Dalla sorgente del Tevere per voi! Mettiamo in movimento le mascelle e ci buttiamo a capofitto sul pane e sul salume. Tra una boccata e l’altra escono pure fuori le parole. Prima fluide, poi, un pochino impastate. Aneddoti che ognuno di noi racconta con spensieratezza. La cena termina con due certezze, la prima: ci siamo saziati a dovere, la seconda è che siamo in cammino verso una meta che non conosciamo ma, vogliamo scoprire. Il giorno dopo ci troviamo di buon mattino nella sala per consumare la colazione. Pane, marmellata, miele, frutta, cereali e caffellatte sono a disposizione nel buffet preparato appositamente per noi. Quindici minuti di passo veloce e siamo all’attacco del sentiero. Il sole appena uscito non è il massimo per affrontare la salita considerando che nel corso della giornata picchierà forte. Siamo fortunati, il sentiero almeno nella parte iniziale si snoda in una immensa faggeta. Alla testa del gruppo c’è Adelmo che con un’andatura omogenea permette al gruppo di stare unito. Man mano che si sale osserviamo che oltre ai Faggi, c’è un’altra varietà di alberi, quelli con quella chioma ampia, Cerri. Normalmente si trovano ad altitudini più basse, probabilmente nei boschi sottostanti ce ne sono molti. Senza nessuna sosta in una quarantina di minuti guadagniamo la sommità del monte Aquilone. Una vistosa indicazione indica: “Eremo di San Alberico.” Per raggiungerlo si percorre un tratto di sentiero dove si alternano gradoni a massi che affiorano all’improvviso. Più avanti le felci ostacolano il cammino. Con il machete, Adelmo toglie le felci per agevolare il passaggio. Un centinaio di metri dopo il territorio cambia aspetto, si apre e spiana. Si intravede una costruzione in pietra e proseguendo un cartello, con scritto a lettere cubitali: “Terra del miracolo”. Siamo davanti alla costruzione in pietra. E’ l’Eremo. Parliamo liberamente a voce alta, non c’era nessuno intorno, solo noi e la bellezza del bosco. Ci sediamo su un gradino di pietra davanti all’entrata e mangiamo un frutto. Nel frattempo discutevamo su quale via prendere per guadagnare la cima del monte Fumaiolo. All’improvviso una voce baritonale: Ohi voi! E’ un frate. “Cosa pensate, che questo posto sia un bivacco? Vestiti in queste condizioni? Via! Via! Questo è un posto di preghiera!” Tutti noi siamo imbarazzati per quella accoglienza ma mentre gli altri mettono ordine ai loro zaini pronti per riprendere il cammino, io non riesco a stare zitto, mi rivolgo al frate con: “Il suo via! Via! Per me è il benvenuto!” Riprendiamo il cammino. Siamo davanti a un quadrivio privo di indicazioni. Non possiamo andare a sensazione, dobbiamo consultare la carta. Direzione nord. Procediamo in un ambiente caratterizzato da rocce imponenti che costeggiano il sentiero immerso nel bosco. Procediamo con attenzione, la vegetazione a tratti invade il sentiero poi, un altro scenario: usciamo allo scoperto e costeggiamo dei pascoli, mucche con le mammelle gonfie, capre e pecore che non si fermano un attimo dal mangiare erba. Il pascolo è ben recintato. Nonostante questo un Pastore Maremmano ci segue lungo il sentiero fin che non termina la recinzione, a quel punto ritorna sui suoi passi. A passo spedito arriviamo su una strada asfaltata, un cartello indica il sentiero per le sorgenti del Tevere. Imbocchiamo quella direzione e saliamo in un altro bosco che ben presto prende le sembianze di una maestosa foresta di Faggi. Con un po di fortuna individuiamo una colonna di pietra, è il punto in cui la sorgente esce fuori dalla montagna. A turno con le mani a coppa beviamo l’acqua che fila dalla sorgente. Più avanti un monumento stona con l’ambiente. Ci sono tre teste di lupo sovrastate da un’aquila e vi è incisa una scritta: “Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”. Siamo curiosi, consultiamo la carta e con l’ausilio della bussola traguardiamo il punto in cui il rapace guarda la direzione è quella di Roma. Mussolini ha fatto erigere in quel verde acceso delle sorgenti il simbolo dell’impero romano riutilizzato nell’epoca del fascismo. Dopo la divagazione storico culturale, zaino in spalla diretti al rifugio Bianca neve. Siamo alle pendici del monte Fumaiolo. Imbocchiamo il sentiero ben segnalato, passo dopo passo in dolce salita. Perdiamo la cognizione del tempo tanto è suggestiva la camminata. Sulla cima del monte una vista a perdita d’occhi. Il tempo è passa velocemente e nostro malgrado dobbiamo riprendere in fretta il camminoSeguiamo l’indicazione: “cascatella del Tevere”, c’è una parte di bosco con molti alberi tagliati e le indicazioni si perdono, una piccola sosta per fare il punto. Occorre fare un po di cammino fuori sentiero ma, poco più in basso ci colleghiamo nuovamente alla via da seguire che diventa sterrata terminando nel paese di Balze, da lì raggiungiamo l’albergo. L’essenza del nostro pensiero è il dono che noi abitualmente facciamo al magnifico contesto della natura.

 

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Profilo Autore: Francesco*   Socio sostenitore del Club Poetico dal 04-10-2023

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Il mio nome è molto più interessante del mio aspetto. Il viso è anonimo, il che nella mia professione è un vantaggio. Pietro, il mio mentore, è anziano, fa rutti alla cipolla, fuma la pipa. Passale giornate a brontolare e a scherzare. Abita vicino a casa mia. Lo osservo mentre attraversava faticosamente la strada, avvolto in una nuvola di fumo, con le sue stampelle in legno. Ha perso una gamba in guerra. Ho tredici anni quando comincia a interessarsi a me. L’artrite lo fa soffrire, impedendogli di lavorare. E' un buon maestro, migliore di quello che avevo alle elementari. Preciso. Esigente. Lo chiamano mano lesta. Faccio pratica nel suo appartamento, sempre al pomeriggio, dopo che ritorno da scuola. M’insegna i trucchi del mestiere. Ha costruito un fantoccio riempiendolo di stracci e mi fa esercitare, in quella che chiama arte. Passate alcune settimane Pietro indossa una vecchia giacca. Incomincio a fare pratica su di lui. E' molto critico. Mi rimprovera: - devi imparare a concentrarti! Dopo alcuni mesi comincia a farmi esercitare in pubblico. Devo individuare il passeggero sull’autobus di linea al quale dovrei sfilare il portafoglio. Non solo sull’autobus ma pure al mercato, all’angolo delle vie. Alla fine di tutte le prove supero l’esame. E' ora di mettere alla prova le mie abilità. Il teatro della mia prima è Riva Trigoso, piazzale della Chiesa, Le maestranze del cantiere navale lo attraversavano di corsa a mezzogiorno per raggiungere la mensa aziendale. Nei giorni precedenti avevo individuato lo sventurato a cui avrei tentato di sfilargli il portafoglio. E’ un uomo massiccio, muscoloso. Noto che quando corre zoppica leggermente e la sua corsa non è sciolta come gli altri operai. Il giorno stabilito, ci piazziamo poco prima dell'ora di pranzo con Pietro al centro del piazzale della chiesa in attesa. Indico l'operaio che arriva nella nostra direzione correndo, Pietro gli si mette davanti nel mezzo del piazzale; l’operaio inciampa e cade bestemmiando. Prontamente, come stabilito, lo aiuto a rialzarsi, ma lui mi spinge via con rabbia. Il gioco è fatto. Gli ho sfilato il portafoglio. Corro nel bar, è nelle immediate vicinanze. Entro, mi dirigo alla toilette, do due giri di chiave alla porta e apro il portafoglio. Ottantamila lire ”moneta in uso in quei anni”, i documenti, una foto di una donna giovane, una rubrica telefonica. Metto i soldi in tasca e, in un sacchetto di carta infilo il portafoglio e la foto che getto con noncuranza nel bidone della spazzatura. Non so dire il perché infilo in tasca pure la rubrica telefonica. Raggiungo Pietro a casa sua, dividiamo i soldi in parti uguali. - Hai fatto tutto come ti ho insegnato? Hai buttato via tutto? Arrossisco. Mostro a Pietro la rubrica telefonica. - Credi che ti venga a trovare in prigione? Proprio no! Abbi un po di buon senso! Da quel giorno i bidoni della spazzatura ricevono tutto, tranne i soldi. Era un comportamento che mi dava fastidio, perché i malcapitati oltre ai soldi persi devono rimpiazzare i documenti. Una seccatura che fa perdere molto tempo e spendere altri soldi. Farsi prendere dalla compassione ed evitare di farli sparire significa il fallimento dell'impresa. Ora sono adulto e con i soldi sono sempre stato oculato sicuramente più di tanti altri che conducono una vita così detta normale. La mia è monotona. Sono sposato, ho due figli. Sono egoista. Faccio le vacanze in montagna con la mia famiglia, amo viaggiare e, quando sono in ferie non esercito mai. Mangio leggero, mi tengo in forma con delle belle camminate sui monti. Mi piace il buon vino, la musica. Conduco una vita tranquilla. Non mi aspetto molto dagli altri, così non corro il rischio di rimanere deluso. La mia professione è interessante. Il modo in cui provvedo al mantenimento della famiglia incuriosisce. Vorrebbero conoscere i dettagli. Io sto attento a non scoprire la mia vera natura. Tempo fa ai giardini pubblici, ho sfilato il portafoglio a una persona distinta; volete sapere cosa ho trovato assieme ai pochi soldi? Una bustina di Eroina. Finita nel bidone delle immondizie assieme al portafoglio. I soldi gli ho messi in saccoccia.
                                                                                                          ............................

A Genova presso il museo della navigazione rimango di stucco quando mi accorgo di aver sfilato il portafoglio a un agente di polizia in borghese, quando rovisto nel portafoglio trovo la sua tessera identificativa . Lascio immediatamente la zona del museo e mi avvio in direzione dei magazzini del cotone. Mi disfo del portafoglio e della tessera dell'agente di polizia. Un'altra volta in un grande magazzino, mentre salgo con la scala mobile per giungere ai piani superiori, allungo la mano nella tasca di un avventore e ho sentito il calcio di una pistola. Mi sono ritirato prontamente. So calcolare i rischi e sono contrario alla violenza. Sestri Levante, mia città natale, entro nella sala cinematografica quando il film programmato, è già iniziato. Mi guardo intorno, intercetto un spettatore, mi siedo a due file di distanza e osservo i suoi movimenti. Mi sembra agitato, si muove in continuazione sulla poltroncina, il film sicuramente non cattura la sua attenzione. Nell'intervallo, la sala si illumina, mi alzo per andare in toelette, quando ritorno alla mia postazione noto che pure lui si è alzato, inspiegabilmente è vicino alla mia poltroncina. Avverto subito quel piacere pruriginoso che per me è il gusto, il godimento di una sensazione piacevole che provo ogni volta che scarico l'adrenalina dal mio corpo. Infilare le mani nella giacca dello sconosciuto è una vera goduria. Con abilità riesco a sfilare fuori dalla tasca della giacca del malcapitato una busta dal contenuto pesante. Continuo a guardare il film attendendone la fine. Le luci illuminano la sala. Lo sventurato si alza e si avvia all'uscita, io rimango seduto sulla poltroncina in attesa che inizi il secondo spettacolo. Passa una mezzora e la mia curiosità di vedere cosa contiene quella busta pesante supera quella di vedere il film. Mi alzo e mi dirigo alla toilette. Chiudo la porta a doppia mandata. Non sto più nella pelle. Estraggo dalla tasca interna del mio giubbotto la busta che ho sfilato e ne esamino il contenuto. Come mi era stato insegnato avrei dovuto tenere i soldi e gettare tutto il resto. Non va in questo modo. La busta contiene duemila lire, una vera miseria; fogli stropicciati di ricette mediche, indirizzi di medici specialisti in oncologia, il libretto della mutua, la carta di identità e, una busta con dentro una lettera. Rimango deluso dal bottino. Apro la busta e leggo la lettera. Mi sudano le mani, mi tremano; mi siedo sulla tazza e fisso la firma. Lo scritto è una raccomandazione della moglie, malata di cancro. La frase che mi colpisce è: affronta in modo dignitoso questo triste momento della vita. Ti amo. Mi prende il rimorso. La lettera devo consegnarla al destinatario. Quello che fino a quel momento è stato semplice diventava tutto ad un tratto maledettamente complicato. Esco dalla toilette e a passo indeciso mi avvio all'uscita. Entro in un bar, ordino un caffè e mi siedo a un tavolo, trascrivo l'indirizzo che ricavo dalla carta d'identità su un taccuino che porto sempre con me. Pago il conto e acquisto un biglietto dell'autobus. Mi dirigo alla fermata e salgo sul primo autobus che passa. Quando sono in zona prenoto la fermata, scendo, mi dirigo all'indirizzo che prima ho annottato. Suono il campanello del portone, dal citofono mi risponde una voce di donna, chiedo di Giovanni Lo Persico, La signora mi invita a salire e mi fa accomodare. Persico non vive più qui da tempo, si è trasferito in un alloggio popolare nel quartiere Corea, altro non so dirle. Ringrazio, scendo le scale, esco dal portone e mi incammino in direzione del quartiere. Chiedo informazioni, nessuno conosce Lo Persico. Poi, chiedo a una signora anziana - conoscevo bene quella sfortunata, è morta soffrendo tantissimo, il marito dopo la dipartita della moglie si è trasferito in un monolocale nella periferia della cittadina. Mi dà l'indirizzo. Ringrazio, stringendole la mano. Nel pomeriggio raggiungo l'abitazione di Lo Persico, Il portone è aperto, salgo la prima rampa di scale e suono alla porta; mi apre un uomo a pezzi, barba lunga, spettinato, allampanato; non gli lascio il tempo di proferire parola. - Ho trovato questa busta; penso sia importante per lei. Prende la lettera dalle mie mani, mi fa cenno di entrare poi, scoppia a piangere stringendo al petto la busta. Grazie! Grazie! Sono imbarazzato da quel comportamento. La lettera di sua moglie mi ha commosso, il suo dolore non affrontato con dignità mi sembra patetico. La moglie gli ha chiesto di essere coraggioso, al contrario Lo Persico è un uomo distrutto. Non aggiungo parola, giro sui tacchi e esco. Ho bisogno di aria fresca. Tutto, tranne i soldi si deve buttare nella pattumiera!
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Genova Anno 1983. E’ attivato il collegamento sotterraneo funzionale all’incremento del traffico metropolitano, è stata realizzata la nuova fermata sotterranea chiamata “Genova Principe sotterranea”; dotata di due soli binari di corsa. L’accesso alla fermata sotterranea è possibile sia attraverso le scale mobili, poste nell'edificio della stazione ferroviaria, sia dall'esterno. La vita sotterranea non ha niente in comune con quella che si stende in superficie. Pendolari che entrano ed escono correndo per recarsi al lavoro, studenti urlanti in abiti sportivi. Non è un posto allegro, ma è diventato il mio nuovo territorio di lavoro. Scelgo una postazione dove posso osservare con attenzione senza essere notato. Anziani, barboni, giovani senza dimora si precipitano da un vagone all’altro per mettere insieme un pezzo di pane, i passanti allungano il passo per evitarli. Altre volte lo scenario è diverso. Musica allegra e chiassosa che rimbomba nei corridoi. Fisarmoniche, chitarre, sassofoni, trombe; suonano insieme. I nordafricani vendono ogni genere di merce, mendicanti senza gambe agitano i piattini per le elemosine; altri vendono castagne e noccioline. Lì sotto non c’è violenza.

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I musicisti. Ho avuto l’occasione di ascoltarli sul posto di lavoro. Verso la fine dell’esibizione mi sposto per mettermi in prima fila, noto che ai piedi dei musicisti c’è una custodia di chitarra piena di monete e banconote. Uno del gruppo, capelli lunghi legati in una coda di cavallo, si sposta nel mezzo della folla per la raccolta delle offerte, nella tasca della giacca tiene un rotolo di banconote, si ferma accanto a me, getto alcuni spiccioli nel cappello e gli dico quanto è bella la loro musica. Annuisce con naturalezza. Un signore gli tocca il braccio e lui va oltre per raccogliere altri soldi. E’ in quel frangente che con la mia consueta abilità gli sfilo il malloppo. Un gioco da ragazzi. Mi dileguo tra la folla e m’incammino con disinvoltura lungo la via. Le note della musica mi risuonano in testa. Entro in un bar, ordino un panino farcito, mi siedo a un tavolo nell’angolo e mi gusto il panino che innaffio con una birra, poi entro nella toilette per contare i soldi. E’ stato un buon colpo. Mi chiedo se quel giovane musicista ha perso il suo contegno. Spero di no. E' stato poco attento e, la mia tentazione troppo forte.
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Poteva essere il mio allievo. Lavoro tra la folla di turisti che si recano a visitare l’acquario. I turisti sono bersagli facili. E’ un giorno positivo. La stagione turistica è nel pieno. I marciapiedi lungo via Gramsci sono gremiti. I portafogli balzano fuori dalle tasche per conto loro. Le mie dita non sono mai state così così agili. A un certo punto della mattinata decido di andare alla mia postazione provvisoria, scelta con cura, per svuotarmi le tasche e nascondere il malloppo. Ho bisogno di staccare. Dopo una mezzora sono nuovamente in piena attività. Il lavoro procede con regolarità. Non è cambiato niente A un tratto vedo un ragazzo che sta tentando goffamente di rubare un portafoglio. Il bersaglio è un turista grande e grosso. Scosta con uno strattone la mano del ragazzo. E’ il tipico incidente che capita ai principianti. L’uomo fa un balzo all'indietro e strilla. Il ragazzo scomparse velocemente dalla visuale dell’uomo. Lo seguo lungo il marciapiede per parecchi isolati, svoltava in un vicolo, è appoggiato al muro intento ad accendersi una sigaretta. Gli tremano le mani. Lo osservo attentamente, all'orecchio sinistro porta un orecchino, sono attratto dalla sua insolenza, mi avvicino, e stabilisco un contatto che in poco tempo avrebbe potuto divenire un rapporto di lavoro. Dice che è arrivato da poco in città., è di Catania ed è assolutamente deciso a non finire in fabbrica a timbrare il cartellino per tutta la vita. Ha intenzione di diventare ricco rapidamente e il suo sogno è quello di vivere su una barca stando sdraiato tutto il giorno a bere e a caccia di donne. Io, memore delle lezioni di Pietro penso che in questo mestiere una cosa pericolosa è l’avidità, una persona avida si assume dei rischi assurdi, corre pericoli eccessivi e alla fine si fa prendere. Mi accorgo subito che il punto debole del ragazzo è proprio questo. Quando si è troppo ambiziosi, si può anche non raggiungere la maturità. Pensavo di aver trovato un socio in affari ma, come spesso dice mia moglie, non ne è il caso. Tengo il pensiero per me e, gli auguro buona fortuna. Ci separiamo. Proseguo a passo spedito in direzione della stazione ferroviaria per salire sul primo treno e tornare a casa.
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La dimenticanza. Sono sul marciapiede della stazione in attesa che il treno arrivi al binario, un pensiero improvviso e un brivido lungo la schiena, non ho ritirato dalla mia postazione quello che in quel giorno mi sono preso. Mi avvio a passo veloce, è l’ora di punta, le persone brulicano le vie della città per ritornare alle loro case. Presto la massima attenzione e raggiungo il nascondiglio dove è ben nascosto in una nicchia il sacchetto con il guadagno della giornata e lo infilo nella tasca del giaccone. Per la prima volta nel corso della mia lunga carriera, quel giorno, commetto un imperdonabile errore. Riprendo la strada per raggiungere la stazione, non ho fretta, il prossimo treno in partenza mi consente di prendermela comoda. Una gran giornata e sopratutto non mi sono lasciato trasportare dal sentimento nei confronti del ragazzo catanese, una saggia decisione. Fischietto per tutta la strada che mi separa dalla stazione. Nei pressi della stazione trovo il ragazzo con cui avevo parlato prima, l’aria di sfida sul viso e un sorriso compiaciuto. Mi si avvicina e dalla tasca dei pantaloni tira fuori tre orologi, - lavoro di quindici minuti, mio caro signore. Gli faccio i complimenti, augurandogli il meglio. Il ragazzo, mi stringe la mano e si presenta, Vincenzo, lo fa con estrema semplicità e cortesia tanto che io commetto il secondo imperdonabile errore di quella che sarebbe diventata una stramaledetta giornata, lo abbraccio e con fare paterno gli raccomando di stare sempre all’erta e di lavorare in solitaria senza dare troppa confidenza alle persone. Lo scambio di saluti è concluso e ognuno per la propria strada. Prendo il primo treno e, dopo un’ora e mezza arrivo a casa. E’ tardi, I miei famigliari erano già a letto. Ciò nonostante accendo lo stereo, metto le cuffie e ascolto un cd di musica classica. Apro una bottiglia di prosecco, accendo una sigaretta e mi corico sul divano. Un brutto presentimento, mi alzo di scatto, tolgo le cuffie e vado in corridoio dove ho appeso la giacca all’attaccapanni, infilo una mano nella tasca dove avevo messo da parte l’incasso della giornata. Era vuota. Accidenti! Sono sconvolto. Mi gira la testa, fatico a respirare. Muovo un passo di lato, barcollo, poi fortunatamente mi riprendo. Cammino avanti e indietro. Maledizione al ragazzo e pure a me stesso! Ho fatto un bel po di trambusto e, nel momento in cui mi mordo la mano per la rabbia che ho dentro, mi accorgo che mia moglie e i miei figli si gustano la scena. Ora vogliono sapere del mio comportamento. Mi calmo e trovo il modo di dare loro, una spiegazione convincente. Chiarita la situazione imbarazzante ritornano a letto mentre io esco sul terrazzo e, scuoto la testa per il disappunto. Osservo la strada che è desolatamente vuota, poi rido di gusto. Il ragazzo mi ha fatto fesso con una prestazione davvero magistrale. Rientro in sala sconfitto, mi verso altro vino e in buona pace ad ascoltare la musica. E’ vero, ho perso le entrate di quella giornata. Che cosa ci posso fare? Il mondo è pieno di ladri.

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Sotto la lava del vulcano in eruzione giaceva caduta una perla, si sentiva bruciare poco a poco dalla sua rabbia, le faceva male, era piu' certa che doveva morire che vivere, ma se poteva scappare sapeva che sarebbe diventata nuovamente se' stessa, ma prima doveva lottare contro l' inferno, l' inferno soprattutto di essere  sola a lottare.
Mentre sbatteva le sue ali di color angelo, bianco, luminoso, nel fuoco torrido, senti' un brivido di gioia vedersi ancora " nuotare" fra quel luogo, poi sali' sempre piu' su nonostante tutto finche' riusci' ad uscire.
Tania appena uscita dal profondo del cuore del vulcano senti' il vento delle emozioni di gioia, ma per poco ha potuto restare a sentirle, perche' qualcuno gridava aiuto, ma non c'era piu' nessuno che poteva aiutare, solo lei, gli altri erano tutti scappati via, pensavano solo a se' sessi.
Senza piu' paura di nulla " nuoto" fino a dove si sentivano le grida, ma ormai non c'era piu' nulla da fare, ma si promise a se' stessa che non avrebbe piu' lasciato che nessuno morisse fra le sue braccia da ora in poi.
Ando' ancora piu' lontano per vedere se c'era qualcun altro da poter aiutare, ma nulla, soltanto un paese che pareva un gigante gelato squagliato, mentre stava da sola a testa in giu', si sentiva persa, sola al mondo, senti' ad un tratto una mano sulla spalla incenerita, nera dalle bruciature e sporca, non voleva nemmeno voltarsi, si sentiva arrabbiata con il vulcano, ma anche con se' stessa per essere rimasta li' senza poter nemmeno piangere per sfogarsi.
In tanto che tutto era andato a rotoli sapeva che qualcuno era li' per lei, soltanto per lei, anche se adesso era solo una semplice perla, non piu' come una volta, bella splendente come un raggio di sole, ma sapeva che per lui sarebbe stata la sua amata, la sua amata perla nera in viaggio per la destinazione di una vendetta.
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Profilo Autore: Maddalena  

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- Chi sei tu?

- Sono Daniela

- Daniela chi?

- Tua figlia

- Ho una figlia? - mormorava con voce tremante e scoppiava a piangere.

Mi tendeva la mano ormai smagrita. Io osservavo silenziosa quell’ittero che rompeva gli argini dagli occhi e straripava sul viso, uniforme che ormai lo rivestiva, e mi chiedevo se fosse quello il dolore. Allora allungavo la mia e mi avvicinavo.

È dolore questo?

Poi entrava mia sorella. Così piccola, così fragile.

- Papà! - gridava, con la gioia negli occhi, e lui ricominciava a piangere, ma quello era già un pianto diverso.

L’amore mi arrivava addosso tutto e mi investiva. Non era per me quell’amore, era per lei.

È questo il dolore?

Alla fine mia nonna ci faceva uscire dalla stanza, diceva che era l’ora della medicazione, che era più sano che i bambini non fossero presenti. Da quando aveva deciso che il figlio dovesse stare a casa sua, era diventata gelosa di ogni cosa che lo riguardasse.

- Tu non sai curarlo e non sei capace di cucinare -, aveva detto a mia madre, - È per questo che perde peso! -

Non sapeva, quella poveretta, che il figlio aveva un tumore che lo stava accompagnando all’uscita e le sorelle di mio padre avevano intimato a mia madre di non fare nessuna rivelazione che potesse mettere in crisi l’equilibrio emotivo della “vecchia”. Così, davanti a tutti, mia madre era passata per quella che non sapeva accudire il marito.

Noi, io e mia sorella, andavamo ogni giorno a trovarlo, dopo la scuola.

A volte dormiva. Io lo guardavo. Guardavo quelle coperte che si sollevavano e si abbassavano a fatica, lente. Non avevano più la forma di otto mesi prima, quelle coperte. Si erano scarnite attorno a quel corpo che odorava, ogni giorno di più, di malattia. Una malattia che ti imputridisce.

A volte contavo i secondi, il lasso di tempo che si frapponeva tra un’ispirazione e un’espirazione. A volte l’alzarsi e l’abbassarsi si incontravano in un punto imprecisato. Per un attimo pensavo che la coperta non si sarebbe più mossa da quell’altezza.

Era quello il dolore?

Vedere un respiro sofferente con gli occhi dei nove anni?

Di tanto in tanto mia nonna non si accorgeva della mia presenza durante le medicazioni, presa com’era dall’ordine di esecuzione delle operazioni da effettuare: la sacca del catetere veniva staccata e cambiata, quella della fisiologica era controllata sistematicamente e, una volta tolta la garza dall’addome, una fistola di sette centimetri in corrispondenza del pancreas lasciava intravedere l’interno di un corpo ormai alla deriva, una fistola suppurante dalla quale sembrava uscire la vita nel suo color sangue più cupo. Mia nonna ripuliva la piaga teneramente.

Forse albergava proprio lì dentro il dolore?

Io ci infilavo gli occhi, anche se lontana.

A volte sembrava che mi morisse davanti e poi morì sul serio.

La nera Signora arrivò in un giorno di febbraio, come questi.

Io cercai il mio cuore quella mattina, quando mia madre poggiò la fronte sulla mia spalla, affranta. Dicono che faccia male in quei casi. Cercai il dolore nel petto. Non c’era. Non era tra le costole, non nascosto dietro lo sterno, nulla. Dunque, senza dolore, non puoi nemmeno piangere cara mia, mi dicevo. Gli altri, invece, il dolore l’avevano trovato, piangevano tutti! Io no, pensavo solo che non avrei mai più preso schiaffi da nessuno. La sua furia non mi avrebbe più raggiunta. Non avevo lacrime, solo sospiri di sollievo. Avrei voluto chiedergli “perché” in uno di quei giorni.

La morte si è portata via la risposta alla mia domanda.

Io lo so che mi guarda dall’abisso, lo sento quando ci affondo le mani e il vento di ritorno mi porta indietro le sue parole, un’onda d’urto che travolge.

Ogni tanto quell’abisso mi chiama, mentre bevo il mio caffè guardando il mondo dalla finestra. Torno a riavvolgere un nastro ogni volta, in cerca di una traccia, uno straccio di ricordo.

Dove sei, dolore?

Mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta senza rotelle a cinque anni. Era una vergogna che una signorina non sapesse farlo.

Mio padre mi ha insegnato a nuotare sebbene lui avesse una gran paura del mare.

Mio padre mi ha insegnato la profonda solitudine.

- Se non sai abitarla ti soffoca, è come affogare in mare aperto. Impara a gestire la paura più grande, quella di restare sola -.

Una grande salvezza, in certi casi.

Quando ero piccola mio padre mi portava all’aeroporto.

Lui l’aereo lo prendeva spesso per venire a Milano da Napoli, dove vivevamo. A quei tempi il computer muoveva i primi passi e i corsi di aggiornamento si rendevano fondamentali per gli avanzamenti di carriera. Piaceva ad entrambi il momento in cui le ruote si staccano dal suolo. Senti un improvviso vuoto d’aria nello stomaco e, per un attimo, ti alzi in volo.

Io mi alzavo sulle punte e sentivo che lo faceva anche lui. Lo avvertivo dallo scatto del braccio che mi tirava su, insieme alla mia mano nella sua.

Non ho mai preso un aereo ma continuo, di tanto in tanto, a frequentare le zone aeroportuali.

La scorsa mattina sono andata nei pressi di Linate a vedere le partenze.

C’è un prato a pochi chilometri da casa mia dove si possono osservare bene anche gli arrivi. Linate è così grande! Davanti a me c’era una bambina. Avrà avuto sei anni.

- Arriva papà?

- Sì, guarda, adesso fa la curva e poi prende velocità.

Quando l’aereo si è staccato, i loro talloni si sono alzati e la mano del padre teneva stretta quella più piccola.

Guarda questi due, mi sono detta, quasi cercando somiglianze con un mio vissuto ormai passato. Mi sono avvicinata a guardare i loro volti che si alzavano in volo, poi la mia attenzione si è riversata su quelle mani, la piccola che si affida alla più grande.

Quanto poco può bastare per sentirsi felici!

Ho guardato la mia di mano.

Forse, per tutto questo tempo, ho cercato il dolore nei posti sbagliati.

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Profilo Autore: Lilith50  

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COME IL MARE CHE BAGNA QUEST'ISOLA
Agrigento 1957
Sono ancora stordita, in preda ad una forte confusione mentale, le gambe mi tremano, mi fanno male , e un forte torpore invade ogni muscolo del del mio corpo giungendo fino alle palpebre.
Forse è meglio che non sottoponga il mio corpo a sforzi eccessivi, ma si ! Forse la miglior cosa è sedermi un po' qui , sulla panchina che si trova nello spazio esterno del befotrofio.
Le finestre sono ancora spalancate e si sentono pianti assordanti malamente attutiti dalle nenie delle inservienti:
" Amore mio ti voglio bene,
Gli occhietti di mia figlia sono sereni, cosa ha la figlia mia che piange sempre?
Vuol essere cullata tra gli aranci. Oh! "
La ragazza si accascia sulla panchina affranta , quasi fosse una marionetta in preda agli eventi, prende un sospiro per placare l'ansia che l'assale partendo dal basso ventre. Gli occhi le tremano per trattenere il pianto , ecco che un lacrimone sta per calarle sul viso. Di colpo le vengono in mente le parole della madre: " a piangere figlia mia , che risolvi? Pazienza ci vuole dinnanzi alle burrasche" " Pazienza ci vuole dinnanzi alle burrasche " mi ripeto, la saggezza popolare mi è sempre di grande conforto. Come sono arrivata a questo punto? Lasciare una cresturella piccola, indifesa, un ' appendice di me , che mese dopo mese si nutriva delle mie parole, delle mie paure, dei miei sentimenti, della mia voce di madre- bambina.
Una figlia da me non voluta, una figlia del terrore. Perché dall'unione forzata, dal dolore indicibile deve venir fuori un seme d'amore? Amore malato ! Ho pensato guardandomi il ventre con ribrezzo, sicché volevo soffocarlo , annientarlo , strapparlo da me. Che ci fai tu stupido esserino ? Nessuno ti ha mai chiesto! Nessuno ti ha mai voluto. Ora che è successo quel che è successo, ora che il mio corpo è una brocca in frantumi a nessuno interesserà e non lo voglio nemmeno io !
La ragazza dal bel corpo esile e dagli occhi verdi come acque di smeraldo scoppia in un pianto ininterrotto. Il labbro superiore le trema, le guance si gonfiano e colorano di un rossore ustionante , la fronte sembra perlata dal sudore , anche se in realtà è una mattina qualsiasi dei primi di giugno e il caldo ancora non si fa sentire.
Mio padre , è stato lui che ha sistemato ogni cosa.
Sopraggiunte le prime doglie mi ha accompagnata qui.
" tutto si è risolto nel migliore dei modi! " Ha sussurrato in un sorriso la levatrice:
" è una bambina! Come vuole chiamarla ?"
" Che importanza ha!" stavo per obiettarle, poi ci ho ripensato.
Se questa bambina non potrà conoscermi ne carpire in me qualcosa di lei, se non potrà avere un ben che minimo contatto con la mia famiglia, che si chiami Anna , come la nonna materna o come la protagonista infelice di un romanzo di Tolstoj sperando che però lei sia la sua antitesi. Possa avere un ' esistenza fluida nonostante le increspature, come il mare che bagna quest'isola.
Quando mio padre ha chiamato la clinica per accertarsi sulle mie condizioni ho risposto in un sol fiato: " si chiama Anna come la mamma"
PS
So che allora in Sicilia era ancora in vigore la possibilità di contrarre il matrimonio riparatore, tuttavia nei racconti è sempre concesso desiderare un' alternativa meno brutale.
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Profilo Autore: Arianna Mosconi  

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Le piaceva giocare suonando il campanello a qualsiasi porta che trovava per strada andando verso casa e qualche volta anche alle porte dei posti in cui giocava con gli amici, di solito non rispondeva nessuno, si era già sparsa la voce di questo gioco dispettoso.
Un giorno pero' Michael ebbe una sorpresa completamente inaspettata, qualcuno  le apri' la porta, prese a correre ma dietro a lui senza alcun sforzo si ritrovo' l'uomo di cui era fuggito, lo prese per il collo e le chiese semplicemente dove andava e perche' continuava a fare quegli scherzi di cattivo gusto, non sapeva cosa rispondere, allora Jason lo prese con se'  in casa e le disse che avevano da parlare di molte cose, soprattutto di una particolarmente.
Il ragazzo era un po' spaventato, perplesso, ma anche curioso, che cosa poteva dirle uno sconosciuto proprio a lui?
Michael si diceva che nulla poteva andare peggio di come andava gia' tutto.
Appena arrivato si sedette sulla poltrona accanto alla scrivania, Jason le diede un libro e le disse di leggerlo, ma al ragazzo gia' dalla copertina le pareva qualcosa di conosciuto, comunque  lo apri' e incomincio' a leggere qualche pagina fino a che trasali' come bruciato e lo chiuse dandolo a Jason con gesti rapidi come qualcuno le avesse messo una pistola alla tempia.
<< Lo sapevo che la tua reazione sarebbe stata questa, nonostante tutto o deciso di farti vedere la verita' >>
<< Quale verita'? >>
<< Mi pare che tu non abbia letto attentamente cio' che ti ho dato da leggere, nemmeno quelle poche pagine>>
<< Non ho letto interamente, perche' una simile cosa puo' essere solo che in una storia, in una favola, in un film, ma non nella nostra realta' >>
<< Pensavo che ormai eri pronto per sapere tutto, ma mi sbagliavo>> disse Jason mentre apriva una porta di pietra con un tocco solo di un dito e poi scese nei sotterranei per continuare con il suo lavoro di una vita affinche' Michael sarebbe stato pronto per affrontare la dura verita'.
Jason non sapeva cosa l' avrebbe spaventato esattamente, anche perche' poi... 
<< La dura verita', si..>> disse lui ridendo e prendendo un altro libro per studiarlo
<< Questo e' solo l' inizio dell' aventura Michael>> rise di nuovo e poi senti' la voce di Michael dicendo:
<<Puoi aprirmi per favore?>>
<< Perche' dovrei farlo?>>
<< C' ho ripensato, voglio sapere tutto, soprattutto le mie origini antiche e di chi sei tu veramente>>
Jason penso' bene prima di aprire la porta e farlo scendere insieme a lui e mostrarle la sua proprieta', ma poi lo fece scendere e il ragazzo rimase a bocca aperta vedendo quel mucchio di libri e pensare che storia avrebbe nascosto ognuno di loro, sperando che non solo la propria storia, ma anche la storia dell' antichita' perduta, delle cose mai trovate da nessuno.
Michael piu' pensava e piu' si ritrovava fascinato da tutto, ma aveva anche una paura pazzesca di non essere ancora mandato indietro nel tempo per non aver messo "il pezzo del puzzle al posto giusto", voleva rimanere li', in quel passato presente e continuare finche' avrebbe trovato la strada per uscire da questo "labirinto".
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Profilo Autore: Maddalena  

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CERIMONIA IN POMPAMAGNA
Ieri nel mio atelier situato in via Maqueda si è presentata una ragazzina sulla ventina. Trainava faticosamente una carrozzina, in sé portava una bellezza un po' artefatta:
" Talia cu beddu fu stu vestito, puru si pi mia mi pari n'anticchia strittu 'n vita "
"Come posso esserle d'aiuto?"
" M' avi a maritari u mese ca vene , a dda essere a cerimonia chiù ' mpurtanti i tutta Palemmo. Vossia mi può aiutari?" Il dialetto volgare mal si addiceva alla sua giovane età .
" Le posso mostrare questo abito a sirena molto aderente, impreziosito da piccole paillettes " la ragazza legge:
" Clere MC Ardell, chistu Nun è più mia , è pi na 'mericana , na forestiera!"
" Signora sull'etichetta dell'abito è esposto il nome della stilista non quello della destinataria"
" Vero è " risponde imbarazzata , continuo a sorriderle seppur forzatamente mentre un pianto accorato attira la nostra attenzione, proviene dalla carrozzina che ora è posata ad un angolo del grande divano:
" Ma cu avi sta nica mia ca sempri chianci ?"
" Se quell'abito non l'agrada posso mostrarle questo in pizzo di Bruxelles , stile provenzale "
" Nonzi io a una nobile vogghiu assumigghiari , cumu a Lady Diana o a chiddre du Casteddu De Cerimonie ' n televisione "
A sorpresa senza che io possa intervenire in nessun modo, la ragazza tira fuori un'orribile stoffa rossa decorata con disegni Barocchegianti " Di denari mi patri ci nni spenni assai pi sta cerimonia e famigghia cummannera noi semu!"
Poi tira un sospiro per placarsi e continua fissandomi con gli occhi fuori dalle orbite:
"Da cca ci avi a fari l' abbitu miu, o chiustu u nuddu! M'antindisti ?"
Esasperata rispondo in un sol fiato:
" Signora , il matrimonio è tra un mese e lei mi commissiona il vestito solo ora?! È per caso impazzita ?, poi la invito a raggiungere l'uscita.
" Ogni cani è liuni a la so casa !" Mi grida furiosa sbattendo la porta dietro di sé.
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Profilo Autore: Arianna Mosconi  

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Le uscite in campagna, nella tarda primavera, ci trasportano in un universo parallelo, un mondo che troppo spesso dimentichiamo, travolti da una multudine di impegni , costretti a barcamenarci in una realtà tra il frenetico ed il virtuale che ci allontana sempre più dal nostro sentire, dalla nostra vera essenza.
Non ci fermiamo mai ad ascoltare il fruscio delle fronde di un faggio nel bosco raramente respiriamo a pieni polmoni l'aria pura durante una passeggiata in montagna ne rimiriamo una distesa smisurata di spighe di grano impreziosita da una fitta fioritura di papaveri rossi come rubini. 
A questo pensava Edith , che all'età di 27 anni dopo aver vinto una borsa di studio, si era trasferita nell'affascinante Londra, allontanatosi dal paesino nel quale aveva trascorso la maggior parte dell'infanzia.
Ed ora era lì , seduta sulla valigia, con i capelli che si confondevano col grano e le coprivano una parte del viso. Lì nel campo che aveva fatto da cornice ai suoi giochi , alle estati trascorse a rincorrersi , ridere , scherzare con le figlie di Luce. Ora era tornata in paese solo per una triste ricorrenza, Luce o per meglio dire la sua vice-madre era venuta a mancare scivolando nell'altra dimensione in tutta facilità, durante il sonno 
Era una donnina esile dagli occhi cerulei incorniciati da una nube di capelli dapprima neri, negli ultimi anni che tendevano ad imbiancarsi così da farla sembrare una creatura di zucchero -filato.
Edith sin dalla prima volta che l'aveva vista, aveva pensato che mai nome per lei sarebbe stato più appropriato, poiché a partire dai tre anni era stata il faro della sua esistenza. I suoi veri genitori da quel viaggio nel lontano maggio nel 1943 non li aveva più rivisti. Li pensava ogni giorno: la mamma dal bel sorriso di fata con le mani morbide e delicate , il babbo riccioluto e talvolta autoritario. Così da un giorno all'altro senza che lei potesse capire bene il perché era diventata la terza figlia d Luce, amata e vezzeggiata se non più , al pari delle sue figlie di pancia.
Quando finì la guerra Edith aveva poco più di cinque anni , ogni giorno stava affacciata alla finestra del grande salone, saliva su un panchetto per guadagnare una migliore visuale sperando un giorno o l'altro, di veder sbucare il volto della sua mamma, quella vera , all'uscio della porta: 
" Andiamo a mangiare un bel gelato alla vaniglia tutti insieme! Vieni angelo mio !" 
Questo sarebbe stato il suo più grande desiderio, ma quel giorno non arrivò mai .
Edith si era abituata a starsene sempre un po' nell'ombra come una formica sul muro bianco per non disturbare , sempre un po' diffidente non per cattiveria ma per il timore di essere nuovamente abbandonata.
Quando a 21 anni Luce le aveva consegnato una lettera indirizzata a lei da sua madre, la ragazza non aveva voluto nemmeno aprirla: " Siete voi la mia famiglia!" Aveva sospirato,lasciando bruciare nel caminetto quel foglio misto alle parole che per lei non avevano poi un così grande significato, non considerando il fatto, che si sarebbe amaramente pentita di aver assecondato quel gesto impulsivo.
Nonostante le innumerevoli sofferenze di una giovinezza in continuo tormento Edith, fino a qualche mese prima si sarebbe definita una donna realizzata. Conduceva una vita tranquilla svolgendo la professione di infermiera con Mark un uomo meraviglioso, l'anima più pura e leale che avrebbe mai potuto incontrare nel suo percorso di vita, ma che ormai da un anno l'aveva lasciata come la sua vera madre , dall'oggi al domani. Solo un biglietto sul tavolo ancora imbandito dalla colazione: " A breve sarò padre " lei era scoppiata in un pianto ininterrotto regredendo all'infanzia, e aveva vissuto un momento di grande crollo emotivo. Non era mai semplice lasciarsi quindici anni di matrimonio alle spalle . Ora Edith che aveva ereditato questo raffinato nome di matrice francese complice la passione di sua madre per la minuta e potentissima Edith Piaf tenendo tra le mani il filo di un acquilone che aveva trovato in chissà quale angolo rintanato del salone era immersa nel campo di grano e papaveri. Mentre ripensava ai versi di una canzone di De Andrè era finalmente diventata conscia che la rinascita sarebbe dipesa dalla riscoperta della sua libertà. Apri la valigia e non si stupi di trovarvi la parte superiore dell'acquilone , l'aveva portata con sé appositamente, un tenero ricordo d'infanzia. Lo monto' e lo osservò volteggiare nell'aria , tirando un sospiro di sollievo. Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior.
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Profilo Autore: Arianna Mosconi  

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Mi sono alquanto inquietato quando quel giorno in Questura, non essendoci il questore che di solito a quell'ora era qui, ho chiesto ad un querulo questurino di Acquiterme dove fosse andato. Mi disse che si era acquattato in un acquitrino per fotografare un'aquila col suo aquilotti. Al che mi acquietai e andai a fare degli acquisti insieme ad un acquacultore del segno dell' acquario proveniente da Aquisgrana con una maglietta con il logo di Qui Quo Qua comprata nel Qatar. Dopodiché mi venne una certa acquolina per cui entrai nella trattoria l'Acquarello, nei pressi di un acquedotto, con le pareti tappezzate di parecchie acquaforti e  con un fastidioso vapore acqueo,dove mi abbuffai di anguille, acquadelle e alquanti calici di acquavite. Tornato a casa mi acquattai sul mio materasso ad acqua e mi appisolai sognando di andare su un acquaplano all'Aquafan di Riccione gridando a questi e a quelli,una quantità di consigli per gli acquisti!

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Profilo Autore: Ferruccio Frontini  

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