Il carro di mimose

trasmuta blandizie nell’uragano fetido.

Durante un lungo sguardo di porpora

la linfa ci esclude dai pori lavosi

e scende in un golfo che inchioda la gola di un rettile.

Onde di melma dorata tracimano trucioli ardenti nel sacro

e sfondano il battito assurdo di ghiande policrome

forate dall’ozio di un’unghia di pollice.

Basta un’ipotesi e tutto s’incrina ed assume il fetore dell’asma.

Ma è solo un forzato capriccio, un inutile sfogo di piaghe

che gli occhi trapiantano in mare.

Sul cuore di note solari

il vento non osa trascendere avanzi di china

non sputa diritto sul tempio che incaglia le ali assassine.

Un patibolo è appeso alle pale di un pino

legato coi ricci sfibrati di cagne. Le pale

rimuovono l’afa e una danza uniforme di spighe

accerchia ribelle quest’oasi di pianto lubrico.

I cirri soltanto sono fermi nel vuoto.

Ancora un deserto di frasche

e il candido volo di puerpere esauste

si sfrena nel tasto estroverso.

Un galleggio di bitte erompe sul quadro

fregiato da strenne pendenti.

Il sonno allontana la morte

ma quella riemerge dall’ora più fresca.

La luce! La luce si accende

la luce sul volto che brucia

avanza la luce con voce superba

e tuona la fine.
Profilo Autore: Diego Bello  

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