Il viaggio della speranza… parole residue, tra le tante in fondo alla giornata. Le ho lette in farmacia, su un bussolotto di vetro accanto alla cassa, c’era l’asola per infilare i soldi e la fotografia di un bambino appiccicata con lo scotch, uno di quelli da portare lontano per tentare un’operazione, un viaggio della speranza, appunto. Mi giro sul cuscino, macino respiri sonori. Guardo il corpo di Giuliano, fermo, pesante. Dorme come dorme lui, supino, a torso nudo. Dalla bocca ogni tanto cava fuori un piccolo grugnito, come una bestia placida che scaccia moscerini.
Tutto pareva convincermi che l'unica soluzione era quel viaggio per cercare di trovare qualche soluzione a un problema di per sé gravissimo.
Lui dormiva, non voleva farmi pesare la sua preoccupazione, dimostrava coraggio per trasfonderlo in me, allo stremo delle forze, con i peggiori pensieri catastrofici che mi assillavano togliendomi il respiro.
Senza di lui sarei morta di dolore, una vita insieme, ero poco più di una bimba quando lo incontrai, frequentavo la terza media, ricevetti una lettera tramite sua sorella che era in classe con me, una vera e propria dichiarazione d'amore.
Pochi anni di fidanzamento, il matrimonio e i figli.
Una vita colma d'amore, ora che i ragazzi erano sistemati e avevano la loro vita, ecco la terribile diagnosi, neoplasia pancreatica e lui dormiva, allontanando i pensieri.
Ormai era tutto pronto, niente ripensamenti, ancora poche ore e saremmo partiti, in gioco c'era la sua vita, non importava la cifra che avremmo dovuto spendere tra viaggi e visite col grande luminare nel settore pancreatico, nella nostra regione non esisteva quella branca specialistica, non c'era altra alternativa, dovevamo giocare quella carta, l'unica per la vita.
Le valigie erano pronte, la notte appena cominciata, come potevo prendere sonno con l'assillo della morte che alitava al mio fianco in attesa di portarsi via la ragione della mia vita.
-Dio Santo-. Pregai.
-Prendi me e risparmia lui se questo viaggio non ci darà risposte positive alle nostre speranze-
Finalmente giunse l'alba, grigia come i pensieri che ci adombravano ma il mio Giuliano aveva un sorriso dolce, si rendeva conto che lo osservavo preoccupata e mi rassicurava stringendo le mie fredde mani tra le sue calde.
Non era bello come quando lo conobbi, era il mio uomo, lo adoravo nonostante la rotondità pronunciata della pancia che lui d'estate esibiva con fierezza: “Coltivata in casa” diceva sorridendo felice.
Ancora non avevamo compreso che si stava insinuando il mostro che poi avremmo cercato di sconfiggere con le unghie e con i denti.
Eravamo quasi giunti all'areoporto di Elmas, Milano non era poi cosi distante eppure il mare era una barriera col resto della penisola, isolati e penalizzati in quegli anni non facili per le rotte aeree, erano l'unico mezzo celere, in giornata si poteva partire e rientrare salvo complicazioni, in quel caso avremmo dovuto pernottare in qualche albergo vicino alla clinica.
L'aereo rullava, pronto al decollo, avrei voluto smettere di pensare a quel viaggio della speranza, sarebbe potuto essere una bella vacanza da qualche altra parte, magari alle Maldive, in spiaggia rilassati tra un tuffo e l'altro, che sciocca, non sapevo neppure nuotare, magari prendendo un thè freddo sotto una palma e la spiaggia tutta per noi.
Avevamo bellissime spiagge in Sardegna, dovevo smetterla di volare con la fantasia, bastava l'aereo.
In poco meno di due ore stavamo per arrivare a destinazione.
Il cuore in tumulto, finalmente a terra, una fila di taxi in attesa, ne prendemmo uno a caso dando l'indirizzo del centro tumori.
Un percorso interminabile, pareva girassimo sempre nelle stesse vie, sicuramente un furbastro e il tassametro conteggiava al ritmo della mia apprensione.
Niente importava, il pensiero era proiettato al responso della visita, ci attendeva una interminabile giornata, non restava che accomodarci e pazientare dopo aver compilato una lista di domande su stato di salute indirizzo e reddito, cosa c'entrava il reddito con la visita?
Ancora me lo chiedo.
-Numero 17 ambulatorio 3- Eravamo numeri, primi o ultimi, solo numeri.
La visita era terminata, nessuno dei due osava proferir parola per tutto il tragitto di ritorno, non avevamo pranzato ma eravamo sazi e nauseati.
Posai il capo sulla spalla di mio marito, mi accarezzò i capelli e vidi un velo d'ombra sul suo sguardo, non riuscii a trattenere le lacrime mentre l'aereo prendeva quota, dopo un po' Giuliano mi disse:-Il nostro amore è immenso e senza confini, guarda amore-.
Un brivido serpeggiò nel mio cuore.
Alzai la testa. Il mare aperto era sbarrato da un banco di nubi nere, e il quieto corso d’acqua che portava ai confini estremi della terra scorreva cupo sotto un cielo offuscato – pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa.

Genoveffa Frau

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Profilo Autore: genoveffa frau  

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Passo giornate infinite a non fare quasi nulla, se non studiare. Sono giovane e dovrei essere piena di sogni, di vita invece mi sento morire. Una morta che cammina, senza gioia e senza dolore, apatica da morire. Svegliarsi da un momento all'altro all'interno di un mondo che già vacillava, adesso durante la pandemia mi sento morire. Impotente davanti alle leggi, spesso contraddittorie, si sa che al mondo c'è chi ha troppo e va avanti, e chi invece è dimenticato da tutti  muore e a nessuno importa. Sono giovane, ero una ragazza semplice piena di speranze, amavo la vita. Adesso invece sono solo un'altra morta che cammina.
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Profilo Autore: Child  

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Profilo Autore: Er pirata  

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Distratta accompagno
gli spigoli della notte
attendo la vita
oltre il tramonto
in un mondo non mio.
Mi devasta
non aver la forza di reagire
Attendo l'orizzonte
con la speranza
che mi porti la ragione.
Attendo il ritorno del sole
che porti via le nuvole
per potermene andare
aldilà della vita.
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Profilo Autore: Silvana Montarello  

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   Al tramonto mancava qualche ora. La strada, seppur in discreta ascesa, era gradevole nonostante quei marciapiedi troppo stretti. In alcuni punti Simone sembrava un improbabile equilibrista tanto evidente era l’impaccio nel mantenersi ben messo, ritto per evitare di invadere l’asfalto. Stimolato dal luminoso fine pomeriggio, aveva scelto di fare a piedi l’ultimo tratto.
   La provinciale era trafficata. In tanti rientravano verso i propri paesini dopo una giornata di lavoro in città o nei campi giù a valle. Simone aveva parcheggiato la sua auto qualche chilometro prima, in uno slargo sicuro. Lì, gustando un buon caffè, aveva ripassato bene a mente le indicazioni ricevute da Chiara, una poetessa amica di vecchia data. La stessa titolare del chiosco bar, una tipa pittoresca e sognatrice, gli aveva confermato l’eccellenza e il mistero del luogo dove si stava dirigendo.
   Proseguendo nel cammino, l’attenzione volgeva al paesaggio, agli arbusti sparsi qua e là, alle prime foglie in via di decadimento, a qualche fiore selvatico, alla graduale riduzione della luce del sole. Peccato che, trattandosi di una strada tutta interna alla costa, non potesse ancora osservare il mare. L’aria pulita, fresca e godibile ricordava quella di un amabile metà settembre. La colorazione del cielo offriva suggestioni tanto numerose quanto capaci di fare scoprire un sofà su cui sostare fino al sopraggiungere di un qualunque sogno.
   Tra immagini della natura e prolungate romanticherie, giunse a una curva in un punto dove la carreggiata si restringeva non poco. Udì un brusio, poi le note inconfondibili di una banda e cori, preghiere, grida d’invocazione e canti intervallati da momenti di silenzio.
Preceduto da un prete piuttosto anziano, il quadro della Vergine era incastonato in una cornice molto larga, illuminata da piccole lampade. Da buon cattolico, Simone fece d’istinto il segno della Croce. La Madonna dell’Addolorata sembrava volesse guardare fin dentro i suoi occhi sbigottiti. Totalmente invischiato in una scena inaspettata, dopo qualche minuto si ritrovò in mezzo ai fedeli al seguito della sacra effige. La stranezza della situazione consisteva nel fatto che centinaia di persone andavano verso una direzione e lui soltanto verso quella opposta. Gli vennero in mente i documentari sui salmoni che risalgono i fiumi.
   Col trascorrere del tempo, un crescente nervosismo si stava impadronendo di lui. Pensando alla destinazione finale, doveva assolutamente trovare una rapida soluzione per evitare quel caos ma la strada stretta e nessuna via d’uscita disponibile acuivano le difficoltà a liberarsi dalla morsa. Allungò quindi il passo stando molto attento a non scontrarsi con chierichetti, bambini, donne, uomini e soprattutto vecchiette. Una di queste lo guardò con sospetto e un’altra, a mani rigorosamente giunte, gli rimproverò aspramente di non avere alcun rispetto per la cerimonia. Effettivamente Simone rappresentava un intralcio al transito di una moltitudine di gente di cui non era la velocità a preoccuparlo ma l’altissima densità distribuita in lungo e in largo su quel tratto di provinciale.
   A una ragazza (quant'era bella!) domandò:
«Sai dirmi quanto manca per il “Cuore di pietra”?»
«Ah, conosco benissimo quel posto! Dopo la prossima curva c’è un casolare diroccato. Vai a sinistra e continua sul sentiero in terra battuta per circa duecento metri. Vedrai tre querce. Guardati attorno e troverai ciò che cerchi.»
«Sei gentile e carina, grazie! Mi chiamo Simone.»
«Io sono Greta. Se vuoi, ti posso aspettare all'uscita del Santuario.»
«Quale Santuario? Dove si trova?»
«Siamo quasi arrivati. Ancora dieci minuti di processione e svolteremo verso il boschetto.»
Un po’ confuso e forse emozionato, Simone fu tentato di mettersi al fianco di Greta e abbandonare il progetto iniziale. Decise, però, di continuare il suo cammino. Si scambiarono i numeri di cellulare e la salutò:
«Chissà, magari avremo modo di rivederci, ciao e grazie!»
   Per un attimo, ma soltanto per un attimo, riguardò il cielo. Affrettò il passo e, approfittando di una sosta del corteo, sfruttò i varchi liberi per passare. Urtò più volte persone tutte assorte nella preghiera e visibilmente disturbate dalla sua presenza. I minuti intanto passavano, ormai erano le 18,30. Soltanto mezzora per essere puntuale. Da svelto il passo diventò di corsa e lo slalom cui fu sottoposto lo fece quasi sorridere poiché, a dire il vero, non era mai stato un atleta. Le vecchie Superga che portava ai piedi, tuttavia, gli furono d’aiuto e finalmente raggiunse la coda della processione. Sistemando i jeans all'ombra di un muro di sostegno, guardò indietro per valutare meglio la marea di gente dentro la quale si era, suo malgrado, infilato.
Adesso bisognava soltanto correre. Sudato e nervoso, sollecitò al massimo la forza dei suoi ventiquattro anni in quella lotta contro il tempo. In certi punti la pendenza del percorso era assai critica ma non ci fece caso. Tirò comunque un sospiro di sollievo quando, finalmente, infilò il sentiero in terra battuta. Si concedette qualche attimo per prendere fiato. La totale assenza di nuvole favoriva ancora un’ottima visibilità ma l’azzurro del cielo virava già verso toni lievemente rosei. Riprese a volare scansando rami secchi e sassi taglienti. Le tre querce ora le vedeva. Bisognava soltanto oltrepassarle, cosa che gli riuscì agevolmente per poi trovarsi in mezzo ad un agglomerato di grandi sassi disseminati in prossimità di uno strapiombo sul mare.
«Uhm, dove sarà questo cuore di pietra?»
Si arrampicò su una roccia per godere di una visuale migliore. Da lì scorse ciò che andava cercando: il masso si trovava un po’ di metri sotto, proprio sul punto critico del precipizio. Scese giù prestando attenzione a non scivolare ed evitando di distrarsi alla vista della scogliera. Alla fine, stanco ma soddisfatto, raggiunse la pietra. Che strana! A parte la forma di cuore perfetto, guardandola da vicino, il colore tendeva al rosa e la superficie levigata, quasi lucida, pareva emanasse qualcosa di molto simile a energia.
   Simone era avvolto in una spirale di magia. Di fronte a lui il mare, il cielo e il sole, c’era di che sentirsi straricchi. Da quella posizione, lo sguardo attonito assorbiva l’essenza della sua profondità più interiore, l’anima. Sì, l’anima che a volte si pensa sia soltanto una derivazione psico-filosofica, eterea, e che invece quel ragazzo avvertiva come cosa concreta, un’appendice del corpo legata a muscoli e ossa, al battito del cuore, al proprio respiro.
Il silenzio occupò la scena. Per rispettarlo, qualche gabbiano evitava di battere le ali, le ultime lucertole restavano immobili per non rumoreggiare strisciando, i passeri se ne stavano zitti quasi fossero stati privati del dono del canto. L’unico brusio proveniva da giù, dal mare con il suo costante toccare e lasciare la falesia. Lo strapiombo era inquietante eppure a Simone non sfuggì la schiuma delle onde che si disperdeva tutt'intorno per poi ricomparire in un gioco d’aria e acqua di frizzante sincronismo.
Come quando stiamo sorbendo un cono gelato, piano piano per non privarci troppo presto dei nostri gusti preferiti, allo stesso modo lui sollevava gli occhi, lentamente, quasi col timore di abbracciare troppo presto il mare. Il variare dei colori sull'acqua lo incuriosiva a tal punto da chiedersi come cavolo facesse il sole a governare quelle sfumature di luce.
Man mano che lo sguardo s’innalzava, si sentiva fortunato prigioniero della potenza della natura. Da quella prospettiva la linea dell’orizzonte coincideva con una retta impeccabile, spezzata qua e là soltanto dalle sagome delle navi di passaggio.
Perché tanto stupore? Da sempre adorava il mare e chissà in quante altre occasioni lo aveva già ammirato, alba o tramonto che fosse. Adesso, questa era la novità, afferrava con più convinzione il bisogno della poesia. L’accorato invito di Chiara a non privarsi di quella veduta, lo aveva condizionato? Oppure, il cuore di pietra sul quale stava seduto, quasi ipnotizzato, nascondeva un qualche arcaico mistero?
   Nel frattempo il disco del sole, un cerchio che più perfetto non si può, si stava immergendo in quella retta. A Simone ricordò l’intingere un biscotto nel tè.
Il giusto amalgama di aria, luce, vento, colori e correnti sfociava in una nitidezza ottica che non ricordava di aver riscontrato in altri luoghi. Il mare, man mano che l’occhio cercava sempre più il largo, sembrava dirgli: «Vedi quanto sono calmo?»
   Magnetismi, d’accordo, ma urgeva confondersi nell'appagante territorio di quiete. La bellezza, assaporata a piccole dosi, gli strillava la certezza di essere più vivo che mai. Infelicità, stress e fatica si allontanarono repentinamente e insieme con loro gli angusti locali del Call Center, dove trascorreva le sue giornate, legato come vittima sacrificale al totem del profitto d’altri.
Fermarsi… fermarsi un po’ allo scopo di riscoprire fascino e sedare il vortice della tempesta d’ogni giorno. Fermarsi e, prima di affidarsi al tramonto, usare il linguaggio dei silenzi della mente rivolgendo la parola soltanto alle nuances in ordinato divenire sull'acqua, alle striature inafferrabili che il cielo incideva, al sole dai contorni così netti e vicini da poter esser toccato con mano.
   Peculiarità tanto necessaria quanto temeraria in una società artefatta, la sensibilità di Simone fluiva nel posto giusto al momento giusto. E fu per questo che non si meravigliò di sentire umidi i suoi occhi. Inzuppato di atmosfere ad alto tasso glicemico, ormai pretendeva che quella straordinaria stella non morisse più. E che paura lo assaliva quando, lo sguardo ormai consegnato al cielo, sentiva il rischio di intravedere parvenze di luna esordire nel “suo” teatro! Per allontanare questo pensiero, viaggiò dentro l’amaranto e sui vermigli di riflessi impareggiabili. Intanto, l’orizzonte aveva un tenero sussulto: il sole si offriva a metà, un semicerchio disegnato col compasso, una gigantesca lampara rossa. Simone, sempre più incredulo, ebbe un tenero ricordo per Marcello, un caro amico scomparso anni prima. Fu quel pescatore a fargli scoprire il mare di notte nel corso di una battuta di pesca.
   L’ora cominciava a chiamarsi sera e, intenso, il profumo di salsedine saliva dalla scogliera. Sul mare, i tocchi degli ultimi riflessi favorivano il formarsi di un cono di luce surreale all'interno del quale il ballo cadenzato delle onde si apriva e si chiudeva a loro piacimento. Ancora qualche orlo del giorno resisteva ma il meriggio stava per lasciare la scena al crepuscolo.
   Incendiato dagli impulsi di quelle seduzioni irresistibili, Simone si fece vincere dall'introspezione. Viaggiò a ritmi felpati all'interno della sua vita battendo i sentieri del riconoscimento dei propri errori ma anche quelli dell’autostima e della gratificazione per ciò che di giusto e leale era fino a quel momento riuscito a fare. Svolazzò nel futuro accompagnato dalla fiducia e dalla speranza per una vita, non solo la sua, migliore. Si soffermò molto sul presente perché tutto impregnato dall'incanto del luogo che stava vivendo.
   Per quanto felice di aver respirato un tramonto speciale e quasi esclusivo, un velo di tristezza lo colse quando, con le ombre della sera, si sentì solo.
A Simone mancava l’amore di una donna, l’amore vero. Qualche esperienza e qualche flirt gli avevano lasciato solo tracce gradevoli, non segni inconfondibili. La visione romantica della giovinezza che stava cavalcando e del domani che era dietro l’angolo, precludeva all'esterno la buona ricezione del suo sentire. Un ragazzo per bene, amante della famiglia e dei buoni sentimenti non ha spazio - pensò - nella giungla del tutto subito e del tutto pronto.
«Non devo demordere! Chiamo Greta e la raggiungo all'uscita del Santuario. A volte si potrebbe mirare a un lembo di cielo e conquistarlo se solo si alzasse lo sguardo.» - si disse.
   Quel giorno si era recato al cuore di pietra su deciso invito di una poetessa sua amica. Lo aveva fatto con la passione di un cercatore d’oro, con l’entusiasmo di un bambino nella caccia al tesoro, con la fame di emozioni da soddisfare. In quell'Eldorado ritrovò se stesso, la ricchezza migliore per non essere povero del tutto.
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Profilo Autore: Aurelio Zucchi*   Sostenitore del Club Poetico dal 04-03-2020

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Sono immersa dal buio della notte, fuori fa freddo e piove. Ho finito di guardare uno dei miei film preferiti, uno di quelli ambientati in campagna che parla di giovinezza, degli istinti primordiali, passare del tempo in un casolare fuori dal chiasso della città, un dolce isolamento.
Vorrei anche io essere in campagna in questo momento di isolamento forzato. Sentire la brezza tra i miei capelli, il profumo dei fiori di campo , gli alberi di arancio e i grilli.
Mi ricorda quando ero bambina, a giocare lì in mezzo alla natura, con il gesso a disegnare la stacca o a staccare le lumache dagli alberi , metterle dentro un bicchiere con l'acqua per farle uscire dal guscio. Fare la pasta fatta in casa insieme a tutte le grandi signore, andare verso la zena a dare da mangiare ai pesci; attaccare l'altalena sull'albero di carrubbe e ridere, come se il tempo fosse tutto lì, come se non dovesse passare mai.
Io sono ancora lì, dentro piccoli bagliori di spensieratezza e felicità, sono ancora lì.
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Profilo Autore: Child  

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Era uno di quei pomeriggi autunnali ma miti, il vento accarezzava quei veli fiorati davanti le finestre e portava con sé l'odore dei ciclamini schiusi, nella tenera notte.
Camilla rientrata da poco dopo una mattinata intensa di lavoro si accingeva a riposare un po' sul divano, guardando un film...
Gli altri erano ognuno nella propria stanza e lei si godeva il silenzio, il suo amato silenzio.

Aveva un tormento dentro, radicato nell'anima, l'amore, quello della sua vita, quello che le aveva fatto perdere il controllo, la stabilità, quello che l'aveva portata in paradiso e scaraventata nell'abisso infernale più profondo.
Quell'amore che gli invadeva i pensieri, gli violentava l'anima costantemente e lei, doveva fingere, doveva ostentare, sempre più spesso, quella sicurezza fiera, oramai perduta, forse per sempre e, tirare il viso in una smorfia di sorriso, guardare avanti, coprendo quei suoi occhi ormai spenti,con occhiali sempre più scuri

Era destino .. si diceva, ripetendolo a se stessa .

Tutto sempre uguale, tutto da riscrivere, passo su passo, un dolore che sbiadiva alla luce di un neon colorato che illuminava, le vie di una statica e piena città.
Piena e vuota simultaneamente, libera e incatenata, incarcerata come lei, fra le pieghe, di in tempo che vuole fiorire, andarsene e poi morire.
Così si sentiva lei, morta dentro, uno zombi che andava avanti senza alcun entusiasmo, senza quel senso, il senso dell'amore, che tutto muove e, tutto ciò da quel maledetto giorno in cui le loro strade si svincolarono in direzioni opposte!

Si erano conosciuti per caso, un Foulard impigliatosi tra i sediolini di un pullman pieno di gente, un pullman che conosceva ogni segreto racchiuso nei respiri e sospiri di una disincantata Camilla, stretta in una morsa che ogni giorno la inghiottiva sempre più, imprigionandola in una quotidianità che le aveva rubato sogni e passioni.

Tommaso l'aveva addocchiata tempo addietro, le piaceva guardarla con la sua aria sognante persa in quello scenario che scorreva tra i vetri di quel vecchio bus.
Lui era un avvocato quarantacinquenne , sposato e più disincantato di lei, perso nelle sue insoddisfazioni personali ed intime.
Il sorriso di Camilla per lui era il sole in un dipinto di pioggia, la guardava, vedeva quelle smorfie che  il suo viso faceva senza manco accorgersene.
Quel Foulard gli diede l'occasione giusta per conoscerla, tutto si avvicendò in un attimo, sembrava uno di quei film romantici che fanno sognare.
Guance arrossate, sorrisi accennati, sguardi timidi e carezze che facevano rimbombare nell'aria i profumi di emozioni acerbe e di passioni adolescenziali, ma vissute con una consapevolezza che intimidiva il mondo.

Rumori e vapori, facevano da sipario, ad una guerra di sensazioni, pagine di vita scritte, su muri che origliavano quell'amore.

Poi le nubi, il buio, soffiò il vento del dolore, il silenzio inghiottí tutto.

Dovettero rinunciare a vivere per le innumerevoli responsabilità, per le scelte fatte in un tempo sbagliato!
Lui l'ultima volta che la fece sua tra quelle lenzuola che ormai desideravano il calore di quei corpi che s'incastravano, le lascio un biglietto con su scritto "Ti vengo a prendere dove ci siamo persi" e poi...

E poi sparì, dissolvendosi nella foschia di una sera  accennata, portandosi con sé il cuore di Camilla e lasciandogli il suo.

A lei, in quel solitario risveglio rimase quella macchia di colore, diventata parola urlante, uno scarabocchio che col tempo andava consumandosi.
Urla mute, sommerse che tacciono se non ascoltate...
Tutto camuffato da un tam tam quotidiano, tutto rinchiuso in un cassetto segreto anche quel biglietto sbiadito, tutto ad ossigenare un sogno che prima o poi lei era sicura si sarebbe realizzato.

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Profilo Autore: ...Io...❤️... Moronese Maria Angela  

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Quella notte scattò in Francesco la scintilla giusta: decise che avrebbe ricominciato a scrivere, era la sua passione che amava tanto. Quella notte non andò neppure a letto e si mise sul terrazzo dove la visuale del mare era davvero stupenda. Con carta e penna ed iniziò a scrivere…


Lei lo guardava dal divano e sognava il suo bellissimo scrittore firmare autografi su dei libri. Decise che voleva aiutare l’economia della casa.


Il giorno dopo iniziò a girare per la cittadina a chiedere se qualcuno aveva bisogno di una Tata, mentre Francesco riposava aveva scritto quasi tutta la notte e la sera iniziava a lavorare come cameriere in un locale in città.


Sembrava che la fortuna girasse bene perché alla prima fermata  che fece Elena in un panificio, per chiedere se volevano qualcuno che curasse i bambini, la signora le disse “stavo appunto cercando qualcuno per la mia nipotina! Mia figlia lavora qua con me, ha una bambina di soli due anni e non può lasciarla la mattina prestissimo per venire qua” “sa questo è un lavoro che si svolge la mattina presto” “se a lei non le crea problemi credo che mia figlia ne sia felice” Elena era un po' perplessa ma disse lo stesso di si, voleva guadagnarsi qualche soldino.


Si misero d’accordo che si vedevano nel pomeriggio con la figlia per andare a conoscere la bambina che doveva curare.


Si mise a camminare sul lungo mare e a pensare al lavoro che forse aveva già trovato.


“Ma si” disse Elena “forse andrà bene cosi Francesco lavora la sera fino a tardi ed io la mattina presto fino a mezzogiorno poi avremo il pomeriggio per stare tutti e due insieme” aveva deciso di lavorare e questo andava benissimo con i suoi piani.


Quando tornò a casa Francesco stava facendo il caffè, Elena aveva comprato dei cornetti in panificio, “buongiorno amore” esclamò Elena “buongiorno a te” ribattè Francesco, “Ti porto una bella novità ho trovato un piccolo lavoro che mi occuperà la mattinata la signora del panificio ha bisogno di una persona che faccia da baby sytter per la sua nipotina” Francesco la guardò la prese fra le braccia è la baciò, un lungo ed intenso bacio…


“amore sei straordinaria” le disse “il futuro non mi spaventa più saremo felici insieme” Francesco era sorpreso di questa decisione ma felice.


Sapeva con quanto amore avrebbe accudito quella bambina con lo stesso amore che un giorno crescerà i nostri figli pensò Francesco, gli occhi divennero lucidi per l’emozione era molto contento il futuro in quella cittadina finalmente non lo spaventava più di tanto.

Francesco aveva lasciato sparsi sul tavolo alcuni fogli…

Elena ne prese uno ed iniziò a leggere:


“Avanzava lentamente senza distogliere lo sguardo dalla sua preda. Vincenzo Nardi aveva gli occhi spalancati dal terrore, teneva la bocca serrata, il suo cuore era vicino a gli ultimi battiti, si stava ghiacciando. Sperava fosse un incubo. Il sole stava calando velocemente. - Addio !! 


Alle ventuno e trenta, di quello stesso giorno, dovevo recarmi a casa di un certo Vincenzo Nardi, ex maresciallo dei Carabinieri, in pensione, da tanti anni amico di famiglia dei Donati, vive da solo, almeno dieci chilometri fuori dal paese, in una casa lungo la provinciale e distante da altri fabbricati. Silvia mi aveva detto di averlo incontrato, casualmente, due settimane prima. A casa mangiai qualcosa in fretta, per essere puntuale all’appuntamento. Presi le chiavi dell’auto percorsi una delle vie che porta fuori dal paese, alla mia destra una serie di villette tutte colorate, i pioppi scorrevano velocemente, il giorno, se ne stava andando. Adesso il paesaggio iniziava a mutare, procedevo lento, avevo la sensazione di essere seguito. La provinciale presentava alcune curve a gomito, in quel tratto, una certa angoscia iniziava ad assalirmi. Quando parcheggiai, l’auto che apparentemente mi seguiva, proseguì dritto e scomparve; ero davanti al numero trecentosettantanove. Le rughe sul mio volto iniziavano a distendersi, gli occhi riacquistavano serenità. C’era un cancello ed il citofono, il nome illeggibile, premei il pulsante in ottone. Mi accorsi che il cancello era socchiuso, emise un cigolio sinistro e doloroso, appena cercai di spingerlo, un silenzio gelido, nonostante facesse molto caldo, regnava in quel giardino. La facciata della casa, a pochi metri da me, era trascurata e scalcinata, non vedeva l’opera di un muratore chissà da quanti anni. Il sole, se ne era andato e la luce lo aveva seguito. 

Girai dietro la casa, con la speranza di vedere qualcuno o almeno una luce accesa, quel luogo appariva deserto, ma ero certo di non aver sbagliato indirizzo, al telefono la descrizione della casa, fattami dal Nardi, corrispondeva esattamente. Una piccola porta era completamente spalancata, pronunciai il nome del padrone di casa ad alta voce, ma non ebbi risposta. Pensai di aspettare qualche minuto. Poi decisi di entrare. 

Era tutto buio intorno, cercavo un interruttore per accendere almeno una lampadina, ero immerso nella oscurità più totale. Un sussulto dovuto ad un rumore improvviso mi inchiodò alla parete, dovevo calmarmi e pensare. Tornai fuori, la luce dei fari di un auto di passaggio, mi illuminò il percorso verso la mia auto, avrei preso una torcia. Tornai all’interno, ero in un piccolo locale adibito a lavanderia, un lavello in pietra ed un filo teso per stendere i panni ad asciugare, una caldaia apparentemente in disuso. Aldilà di una porta di legno vecchissima mi trovai nella cucina, il tavolo al centro era apparecchiato ed avvicinandomi compresi che il Signor Nardi aveva cenato lì poco prima. Non capivo perché non riuscissi ad accendere la luce. Percepii un movimento al piano superiore, il solaio era in tavole di legno, con due grandi travi in abete, che facevano da rompi tratto, il gelo mi assalì, ma non potevo permettermelo in quella circostanza, qualcuno era sicuramente presente, sentivo come strisciare, trascinarsi, iniziai a muovermi cercando la scala, lentissimamente e prestando attenzione ad ogni movimento, ero finito in un corridoio stretto e lungo, una finestrella su lo sfondo, con le imposte serrate, immaginai che alla fine del corridoio avrei trovato la rampa delle scale. Il gelo dentro di me, si era trasformato in sudore su la pelle, le gocce mi scendevano lungo le tempie, i miei occhi si fermavano dappertutto, su tutto quello, che la torcia riusciva ad illuminare, avvertivo che qualcuno fosse sempre più vicino a me, mi sentivo indifeso, trasparente, le mura erano gonfie di umido, quel corridoio pareva non finire mai, odori malsani, faticavo a respirare, il soffitto pareva abbassarsi, il caldo e l’umido la facevano da padroni, avrei voluto vomitare. Una rauca richiesta di aiuto, interruppe il fragore delle mie emozioni, trovai il coraggio di salire le scale, riverso sul pianerottolo giaceva un uomo, mi resi subito conto che le sue condizioni erano disperate, dal mio cellulare chiamai una autoambulanza pregando di avvisare anche i carabinieri. L’uomo presentava diverse ferite all’addome, nei pressi un coltello da cucina, insanguinato. Mormorava che aveva paura, di tutto e di tutti, parlava di ombre che vedeva intorno a lui, le poche parole gli uscivano dalle labbra come fumo, cercavo di farmi dire chi lo aveva ridotto così e quale fosse il suo nome, non parlava più, un sussulto, l’espressione del volto distorta, il ghigno del viso spaventoso, come la morte. Quando giunsero gli altri, non poterono che constatarne il decesso. Un’altra persona collegata a Silvia era stata uccisa, ero certo, che fosse così. 


“Quando di notte sogno quel giorno, vuol dire che devo uccidere. Non so se esco dalla porta o dalla finestra, voglio tenere gli occhi aperti, per vedere quale bestia ho ucciso. “


Elena, si guardò intorno, estasiata da quanto aveva letto,  bellissimo pensò.



E ricordando ancora i primi giorni, durante i quali si era conosciuti, prese un foglio bianco, la penna e scrisse di getto questo pensiero:


Un uomo ti stupisce perchè non lo aspettavi, è per questo che pensi, felice, che sia il momento giusto.

Quando smetti di pensare, quando riesci ad abbandonare le tue tristezze, quando smetti di essere distratta, eccolo che arriva, che entra nella tua vita e dentro di te, lo fa nel modo più naturale e semplice possibile. E ci resta anche quando non c'è.

Lo lasciò sul tavolo accanto ai fogli di Francesco.

Si aprì la luna, per versare il suo liquido incolore a terra. Francesco stava tornando dal lavoro, e non c'era atmosfera migliore perché i suoi pensieri fiorissero. I suoi petali notturni erano come il pelo di un lupo, arruffato e in attesa di fili che lo trascinassero verso un luogo indefinito, per sopravvivere. Ultimamente era solito accompagnare il proprio borsello con un blocco note, da utilizzare nel caso in cui gli fossero sopraggiunte idee da integrare nelle sue scritture. Pensò, fra sé e sé: "Ah, Luna, quanti mondi finiti nello spazio! Inudibili, intoccabili, irrecuperabili. Di me si è perso qualche pezzo, sciolto nel vento acido dell'universo, ma queste perdite vanno limitate. Spero che così sia tutto migliore". Effettivamente, il problema di Francesco era chiaro: aveva idee, pensieri, scorci di opere che invadevano la sua mente in ogni momento della giornata, persino mentre lavorava. Ciò lo preoccupava, dato che molte di queste scintille si univano al Sole e al suo tramonto, finendo in un fastoso cimitero. Fu anche questo a interrompere la sua voglia di scrivere, oltre al tempo da dedicare alla sua famiglia e al mondo del Capitale, re supremo del mondo. 

 Erano quasi le due di notte, quando egli rincasò dopo un'ora di straordinari. Elena era in procinto di coricarsi, quando udì la porta lamentare spensierata il proprio movimento. "Sono a casa amore! Scusa il ritardo" disse lui. "Bentornato caro, e non preoccuparti. Dev'essere stata una serata molto pesante, ti preparo qualc…" "No Ele, vai a dormire. Sgranocchio qualcosa al volo e dormo, non ti devi disturbare. Domattina alle 8:00 devi essere dalla bambina, non puoi restare ancora sveglia. I tuoi occhi poi la spaventerebbero!" rispose ridendo di gusto Francesco, che in quel periodo era particolarmente in vena di battute. "Hai ragione! Se non mi riposo a dovere, non farò una bellissima impressione alla mia assistita. Buonanotte amore, dormi bene". I due si baciarono, per poi l'una abbracciare il cuscino, l'altro aprire il frigo per procurarsi un po' di insalata. Mentre consumava il proprio pasto, lo sguardo cadde sui fogli che aveva lasciato lì vicino, e notò con stupore dell'inchiostro che non aveva versato. Leggendo ciò che Elena scrisse prima del suo ritorno, ebbe un lampo di benessere, era una delle poche volte in cui si sentì consapevole della propria fortuna, e di chi la curava ogni giorno, deviando la sua traiettoria da quella di scorie potenzialmente pericolose, che qualche volta riuscivano a colonizzare i pensieri dello scrittore. Gli venne l'idea di andare subito a ringraziare la sua amata per quelle parole, ma non aveva la minima intenzione di disturbare il suo sonno. 

"Come resta la luce che vediamo nel più cupo dei mondi, resteranno queste parole, impresse sul testamento delle nostre Menti, viaggiatrici e divoratrici di sensi" 

E andò a coricarsi di fianco all'altra mente, che con la propria forza opprimeva il sonno, in un duello vinto ancor prima dell'arrivo della stella cadente, cinque minuti dopo. Ma questo, purtroppo per loro, è stato visto solo dal narratore di questa storia, spirito evanescente.

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Profilo Autore: Alessio  

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Francesco quel giorno, non era stato molto fortunato, l'unico posto di lavoro che era riuscito a trovare era presso un ristorante, dove cercavano un cameriere, orario pessimo di lavoro, ne avrebbe parlato con lei…

Vagava per quel piccolo paese, quando la vide, seduta su un muretto che guardava il mare, con il sole che la scaldava, quel tanto agognato sole che entrambi avevano sempre cercato e desiderato, avevano scelto quel luogo anche per questo. Francesco le si fece vicino " Mi sei mancata, brutta, sono state troppo lunghe due ore senza di te, adesso che sei tutta mia ".

Elena indossava in completo giacca e pantaloni blu, Francesco aveva sempre sostenuto che il blu, non le stava molto bene, ma quel giorno gli sembrò che il blu fosse il colore più adatto per lei.

" Allora dai raccontami dell’arredamento" disse Francesco mentre si accendeva una sigaretta.

" Niente, non ti dico niente, sorpresa, mi hai detto di fare come volevo e così non ti dico proprio niente, antipatico" Si alzò e si mise a correre verso un giardino, la guardavo allontanarsi, ogni poco si voltava, sorridendo…  anche le suola delle scarpe, che correndo si alzavano da terra, sorridevano.

In un attimo che era voltata, mi nascosi dietro un grande albero, dove non avrebbe potuto vedermi, rimasi in attesa... Non c'era quasi nessuno intorno, escluso un nonno con il nipotino. Riuscivo a vederla in lontananza, si era fermata e si guardava attorno, cercandomi. Ripercorse camminando lo stesso tratto, che aveva fatto, poco prima, correndo, tornò fino a quel muretto, dove l'avevo trovata seduta, un broncio che conosco bene, si fece strada sul suo volto, su le sue labbra,aveva quell'espressione dolce, che mille volte mi aveva fatto morire, uscii dal nascondiglio e mi vide, mi avvicinai " Ti va un bacio?" le proposi.

" No" rispose voltandosi dall'altra parte. " Sicura ? " aggiunsi, e lei " Si, lo voglio, ma non lasciarmi, mai più da sola " disse sorridendomi. Appoggiai le mie labbra alle sue, leggermente e la strinsi forte a me. " Dai alziamoci, ho fame " le dissi tendendole la mano sinistra.

Mi piaceva perfino vederla mangiare ied è da quando la conobbi che mi chiesi e me lo chiedo ancora adesso ma dove sei stata tutti questi anni, senza aver mai incrociato la mia strada ?

Per un attimo mi guardò, con l'espressione preoccupata " Francesco i camerieri fanno orari, che non mi piacciono, io la sera voglio stare con te " le risposi " non vuoi nemmeno che provi? che vediamo come va? " e lei " Io non vorrei, ma se credi sia giusto così, fallo pure". Non le avevo mai rivelato, dal giorno in cui avevamo deciso di trasferirsi là, che la mia intenzione era di trovare un luogo che mi trasmettesse tranquillità e che la sua compagnia mi donasse quella serenità, di cui avevo bisogno, per scrivere, si avrei voluto riprendere a scrivere.

Volevo il mare, la vita di mare, una piccola casa, una terrazza che mi aiutasse a fantasticare ed a riportare tutte queste emozioni su un pezzo di carta, ma sopratutto volevo lei, adesso avevo tutto quello che mi serviva per provarci ed in quel preciso istante, stringendole una mano e perdendomi in quelli occhi scuri le dissi " Signora, mi sopporti per un pò, se decidessi di rimettermi a scrivere? "

" E' quello che volevo anch'io, perchè so che ti piacerebbe, devi farlo Francesco, o quanto meno provarci, adesso devo scappare è quasi l’ora, a dopo amore "

Alzandosi, posò le sue labbra su le mie e scomparve alla mia vista, dopo pochi attimi. La immaginavo salire quella scala che conduce al primo piano, dove c'è il nostro appartamento, entrare quasi di corsa felice e apprensiva nello stesso tempo...la vedevo cambiarsi, indossare una tuta nera e le scarpe da ginnastica bianche, raccogliere i capelli alla nuca ed un filo di rossetto su le labbra….

 

"Andrò a fare una passeggiata" disse fra se e se, "cosi al ritorno mi fermo al mobilificio per dare conferma della cucina". Intanto si godeva il paesaggio intorno a lei, piccole casette, stradine con i sanpietrini, a dare risalto nei negozi piccole luci colorate, vetrine allestite con manichini e fiori, un negozio attira la sua attenzione..Un bellissimo divano color champagne tre posti più penisola "Belloooooo" esclamò "mi piace molto il colore" entrò molto timorosa, aveva paura che costasse molto.
Pensava "se poi Francesco non guadagnerà abbastanza come faremo" chiese alla commessa il prezzo si rese conto che ci poteva stare, disse "ripasserò ci penso un pò grazie" "prego" le rispose la commessa "arrivederci" intanto si diresse verso quel lungo mare fantastico, osservò che giravano i Gabbiani gli piaceva il verso che facevano.
Le onde si consumavano sulla sabbia, in lontananza una piccola Barchetta attraversava il tramonto ormai vicino, "che pace che serenità in questo luogo" era sempre più felice di esser arrivata li con il suo amore.

 

Nella sua testa molti pensieri passano, molte preoccupazioni, ma molta felicità per una vita che stava prendendo una piega che a lei piaceva molto. un pensiero insistente ma che lei ricacciava subito indietro passava sempre più spesso, ma prima di quello ci sono molte cose da risolvere, da cambiare, nel suo futuro e in quello di Francesco lei sognava un piccolo fagottino...un bambino, lo aveva sempre sognato, sempre voluto, ma per il momento c'era il cambiamento della casa, della città, pensava di trovare un lavoro per aiutare pure lei al fabbisogno della casa. Era giusto che Francesco riprendesse la sua passione che amava tanto.

 

Camminando, sognando e ridacchiando sotto sotto, "potrei fare la baby sytter" intanto che arriverà il mio di Bambino gli si illuminarono gli occhi, "farò cosi si" era al settimo cielo felice come non mai. Entrò nel mobilificio a dare conferma per la cucina il commesso gli promise che il giorno dopo sarebbero andati a montarla subito, una musica dentro di lei si scatenò per la felicità.
Si incamminò verso casa per attendere il suo amato uomo, si fermò sulla spiaggia era troppo bello il tramonto per passare cosi di corsa, voleva intrappolare quella magia, era troppo bello.
"Domani verrò con Francesco a vedere questo spettacolo" Intanto doveva pensare qualcosa per la cena visto che ancora non avevano la cucina.
Sulla spiaggia passeggiava un uomo con un cagnolino "scusi forse potrebbe indicarmi un posto carino dove andare a cena con il mio amore?" il signore la guardò e gli disse "si signora se vuole posso indicargli la mia Osteria che si trova a due passi basta solo che attraversate la strada" "certamente sarò felice di cenare da lei grazie lei è molto gentile, sa ci siamo trasferiti qua da un giorno non conosciamo nessuno" nessun problema signora" le disse "qualsiasi cosa le serve chieda pure a me sarò felice di aiutare due giovani appena arrivati in città" Elena era ancora più felice di prima, "grazie allora a più tardi grazie" grazie a lei signora a dopo"

 

Avevano un sogno da realizzare, un fuoco in spiaggia…

Quella notte era bellissima, la luna illuminava tutto l’arenile.
Avevano indossato entrambi i jeans, scarpe di gomma, lei bianche , lui grigie;
Francesco l’aveva preceduta di qualche minuto, aveva fatto una buca che riempì di legna, raccolta qua è la su la spiaggia.
Lei arrivò dopo poco era tanto brutta quanto incantevole.
Quei jeans la fasciavano completamente e sopra aveva indossato una maglia pesante presa nel cassetto di lui, era nera, sembrava un abito per lei, era proprio come piace a lui. Aveva uno zaino con dentro una bistecca, due piatti, le posate, un solo bicchiere, una bottiglia dì acqua ed una piccolissima di vino toscano, quando la tirò fuori lo guardò e disse: ” Antipatico deve bastarti, mica vorrai diventare brutto e ciccione?”. Francesco sorrise, su queste cose non l’avrebbe mai contraddetta.
Intanto il fuoco era acceso, dovevano aspettare che si creasse un pò di brace per cuocere la carne, si misero seduti, lui a gambe divaricate, lei nel mezzo appoggiando la schiena sul petto di Francesco.
Guardavano il fuoco ed oltre il fuoco c’era il mare…
Si facevano cullare dal dolce suono della risacca. Gli occhi di lei si specchiavano nelle fiamme, lui non la vedeva, ma sapeva che stava sorridendo.
Non lasceranno mai che il tempo cancelli quelle ore.
Lei si era innamorata della sua voce all’improvviso disse:
” Parlami… ”
A lui piaceva parlarle e:
” Riesci ad ascoltare il suono del cuore, il suo incessante battere, pensa a ieri, vivi oggi, sogna il domani.
Io faccio così e mi dicono che sono matto. Vorrebbero farmi vivere di ricordi, dimenticare il presente, per programmare il domani.
Ma la gioia ha trovato altre mete? O sono io ad avere ideali diversi ?
Ovunque mi volto, vedo persone smarrite, perse nel quotidiano, nell’accontentarsi.
Vedo felicità solo negli occhi di pochi e nei tuoi.”
Lei pensava a ciò che ascoltava, ma lui non aveva finito, quella nuova vita lo aveva coinvolto erano ormai complici!
E riprese:

“Gesù disse a Giovanni: “ Non puoi essere felice, perché hai creduto solo dopo avermi visto, sono beati coloro che non mi hanno visto ed hanno creduto “.

Abbiamo sempre la necessità di avere i piedi ben saldi sul terreno, guai a lottare per un’idea, non si deve fare è pericoloso, solo i matti lo fanno.
Ebbene noi ci siamo lanciati, lotteremo per questo sogno e non staremo con gli occhi chiusi, è bellissima l’avventura.
Se sceglierai solo semplicità, otterrai semplicità.
Se sceglierai ciò che non sai, potresti ottenere molto, ma anche poco.

A me piace rischiare.
Non ignorare quel treno che senti fischiare e che non sai dove ti porterà, sali sopra, abbi fiducia in te stessa.

Abbiamo deciso di evitare di guardarci mille volte e di restare con il pensiero sospeso… perchè il tempo fugge.

Abbiamo deciso di non aspettare oltre. Ti volevo e ti ho presa, tu mi volevi e mi hai preso.
E’ oggi che conta. E se domani ci accorgessimo di aver sbagliato ?
Beh ..avremmo perso, ma almeno abbiamo giocato.

Da quando siamo qua e stanotte in particolare abbiamo acquisito la capacità di percepire i colori ed i suoni, i lamenti ed i sussurri, la voce ed i sorrisi. Non potevamo negarceli per la paura del domani.
Quando mi venne in mente, due mesi fa, di proporti di venire a vivere qua, lontano da tutto, nella mente mi martellava un pensiero: Dai matto, costruisci la tua nave e se la condurrai su quella spiaggia lontana fatti questa domanda:

“Ciao ti ricordi di me ?”

“Si, sei il mio io.”

Gli anni passano restano le stelle, il mare, il sole, la luna.

Noi abbiamo preso il volo, ci siamo tolti dalla testa, il timore di ciò che avremmo potuto incontrare e stiamo assaporando il gusto della vita.

Rimasero entrambi in silenzio per svariati attimi, poi lei:

” Ho scoperto in te una dolcezza inaspettata che ha minato la mia vivace baldanza, la passione che riesci a trasmettere è una carezza dolce, un gioco che non ha regole ed è una nuova vita.”
In tre righe era riuscita a sintetizzare quello che lui aveva detto per almeno quindici minuti.
Ma a lui piaceva ricamare con le parole, farcire i discorsi di aggettivi, di avverbi e di verbi, lei era diversa, ma non per quello meno attraente.

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Profilo Autore: Silvana Montarello  

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Se ne erano andati da un giorno, un viaggio lungo, ma che a loro sembrò tanto bello. Arrivarono in quel paese del nord Sicilia. Francesco aveva provveduto ad acquistare un piccolo appartamento sul lungomare: un soggiorno con terrazza abitabile, cucinotto, camera e servizio con doccia. Parve ad entrambi piccola, quella casa, ma senza dirselo pensarono che sarebbe loro stata sufficiente, almeno per un pò di tempo. Un imbianchino trovato per pura combinazione aveva provveduto a rendere le pareti bianche e pulite il resto dell'abitazione era completamente vuoto. Elena si avviò verso la terrazza, appoggiando la spalla sinistra allo stipite in pietra della porta e guardando fuori, cercava di impare a conoscere quel posto e tutto ciò con cui aveva deciso di convivere. Francesco avrebbe voluto avvicinarsi ed appoggiare il petto alla schiena di lei, ma non lo fece, pensò che quel momento era tutto suo e rimase fermo ad osservarla. Passarono alcuni minuti, lei si ricordò di non essere sola, girò il capo verso destra, voltandosi e chiamandolo con un sorriso dei suoi, sorrisi che ormai lui conosceva bene. G. si avvicinò, le cinse la vita con entrambe le braccia ed appoggiò il mento su la spalla di lei,

Ti piace? le sussurrò....

Lei strinse le mani di lui, forte, ed un " mh, mh " le uscì dalle labbra.

Era ancora presto quella mattina di primavera inoltrata, c'era da trovare un lavoro, da arredare la casa e come minimo avere un letto per quella sera. Ma era difficile, per entrambi, interrompere quel magico momento.

Da lì a poco si separarono, con intenti diversi...lei alla ricerca dell'arredamento per la camera, lui alla ricerca di un posto di lavoro. Si sarebbero ritrovati, alle 13:00 a quel bar, sotto la rocca, dove avevano fatto colazione. Entrambi spaesati si lasciarono. Faceva già caldo, in quella piccola città del sud. Elena aveva un compito preciso avere una camera montata in casa, per quella sera, la notte precedente trascorsa in auto, era bastata ad entrambi. Si accorse girovagando qua e là, che quello era un paese ricco, bei negozi, bella gente, tutto completamente ristrutturato, davvero carino.

Un negozio di arredamento la costrinse a fermarsi...entrò. Non era da lei decidere e scegliere subito la cosa da acquistare, ma era arrivata in quel posto, con la convinzione di voler essere diversa, con tanta voglia di decidere, di fare, di essere contenta. La commessa del negozio l'accompagnò sul retro dove era allestita una grande mostra di camere da letto, alcune le piacquero, ed una particolarmente moderna la attrasse, le fu detto che era disponibile nel magazzino, identica a quella a stava osservando.
Sorrise dentro di sé, e pregò la commessa di pazientare un attimo, prese il cellulare allontanandosi di qualche passo..." Francesco, avrei trovato una cosa che mi piace, ma prima di acquistarla vorrei dirti come è, di che colore è, insomma metterti al corrente".

"Signora, se a te piace, piacerà sicuramente anche a me".?
"Tu dici? In ogni caso, non mi piace fare acquisti utili a entrambi senza avertene prima parlato con cura. Il letto è in legno di quercia, con un materasso così morbido che ci farà sognare cose mai scoperte da nessuno. Mi ci stavo quasi per addormentare sopra! Il comò è sempre in legno, ma più chiaro, tendente all'arancione. Ha qualche venatura qua e là che io trovo veramente azzeccata. Sai, con la luce della lampada potrebbero diventare dei portali, usando l'immaginazione! So di essere una sognatrice, ma so anche che in questo ci compatiamo da sempre.

"Eh già amore, noi sappiamo davvero essere pazzi. La camera comunque mi piace. Te l'avevo detto che ciò che piace a te sarebbe stato anche di mio gradimento! Ma tu non mi credi mai!"
"Ah tesoro, manca l'armad..."
"Ele, va bene così. L'armadio sarà sicuramente ottimo e adatto a noi. Puoi pure comprarla, sono convinto!"
"Non vedo l'ora di scrutare dalla finestra il furgone davanti a casa nostra! Ma dimmi, hai qualche novità riguardo alla tua ricerca?"
"Purtroppo no. In zona c'è molto poco, quindi devo cercare in città per sperare di trovare qualcosa. Ne parleremo stasera amore, ora devo andare. Ti amo". 
"Ti amo anch'io. A stasera". 

Morì il sole, e con lui gli uccelli. Si alzò un vento fiabesco che portava musica per le stradine del paese, mentre in lontananza un clacson emetteva il suo secco lamento. Francesco tornò a casa con aria visibilmente soddisfatta, visto ciò che aveva precedentemente trovato nella città vicina. La camera era montata, mancavano solo le ultime formalità, per le quali Elena voleva aspettare il suo amato.
"Una firma qui, prego" - "E un'altra qui" - "perfetto, ora siamo a posto. Le auguriamo una buona serata signori, arrivederci". 

Era mattino. Nell'aria c'erano ancora strascichi di sogni, persi o ricordati. Il sole era nato, e con lui gli uccelli, a comporre la melodia del risveglio. Francesco stava preparando i documenti da portare in città per il suo nuovo lavoro, mentre Elena cercava altri elementi per abbellire il loro modesto ma ora caldo appartamento.
"La semplicità, amore, è una delle cose più complesse da ottenere. Ma non per noi. Adoro come stiamo plasmando il nostro covo, e ancora di più il fatto che siamo solo all'inizio!"
"Amore, restiamo con piedi per terra, dai! So che costringere una rondine con le ali di un'aquila a non volare è un peccato, ma potremmo cadere e non riuscire più ad alzarci."
"Ma su, non indossare ancora la tua maschera da triste filosofo, noi sogniamo e siamo fatti per questo! Ricordi quella canzone... Quella sera..."

Francesco era appena uscito di casa, mentre la sua compagna scrutava i meandri di internet sul suo laptop, con lo scopo di trovare delle occasioni per arredare la casa.
"Mmh... Ora però mi è venuta voglia di riascoltare quella canzone! Apro un'altra finestra e la cerco dai, non posso non avere un sottofondo musicale per la mia ricerca."
Tutta contenta, digitò il nome della canzone ("Dreams", dei Cranberries) e la fece partire, mentre la tenda soffiò un flebile raggio in direzione della ragazza, quasi come un gesto di approvazione.
*Musica*" They'll come true, impossible not to do..."

“Diventeranno realtà, non è vero? In parte già lo sono...”

 Ed ecco, come per incanto arrivò un'immagine sullo schermo di una cucina dai colori caldi ed accoglienti, una piccola cucina con tutto il necessario per affrontare i primi tempi della convivenza in quella casa che piano piano prendeva forma, il forno alto come piaceva a lei, piano cottura grigio perla, il lavandino con una vasca bianco perla, i pensili con le antine di due colori, uno color miele l'altro nocciola chiaro, il frigo con un piccolo congelatore sotto - "ecco questo è quello che mi piace piccola e bella esclamò Elena"!

"Bene, adesso speriamo di trovare un soggiorno con un bel divano per le nostre serate!
Intanto mi dedicherò a prendere tutte le misure per avere la certezza che tutto combaci alla perfezione". subito partì come una scheggia impazzita con carta, penna e un metro.
Il gioco è fatto! Misura di qua... misura di là... Ed ecco apparire sul suo viso un sorriso che mostrava tutta la sua felicità
"sììì ci sta...Ci sta...
Le misure vanno benissimo, la nostra vita può iniziare così" - voleva rendere partecipe anche Francesco di questa scelta cosi lo chiamò al telefono, ma lui non potè rispondere, dato che era impegnato con un colloquio di lavoro abbastanza importante.
Fu così che Elena prese la decisione da sola, questa volta. [Disse fra sé e sé] "Deciderò io da sola, sono sicura che Francesco ne sarà felice. Prese il telefono per chiamare il mobilificio: "sì mi interessa una cucina che ho visto in esposizione online... Potrei venire a vederla?". "Certo - rispose il commesso dall'altra parte del telefono - mi dica quando vuole venire che prendiamo appuntamento, in modo da illustrarle anche altre cose per arredare". "Sì, magari! - rispose felice lei - allora io le direi che vengo stasera per le 18:00, le potrebbe andare bene?". "Certamente - rispose il commesso - mi farò trovare qui, così vi seguirò io personalmente. Grazie e a stasera signora". Cosi iniziò a sognare e girovagare per casa, saltellando come una trottola per la felicità. 
"Inizia una nuova vita..." "...il futuro mi sorride!": erano queste le frasi che la rendevano orgogliosa e felice.
Dal terrazzo l'odore della sabbia arrivava fino a dentro casa, l'odore dell'amore per la famiglia. L'odore dell'amore.

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Profilo Autore: Alessio  

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