Papà si chiamava Domenico. Papà condivideva le giornate oramai da degli anni con una lesione al tendine del braccio che gli tarpava le ali. Un dolore divenuto lancinante, come se qualcosa si lacerasse… quando se ne andò.
Il sole che scalfisce la sua lapide oggi pare un fiore dai grandi capolini giallo aranciati con i petali spettinati.
Quando toccherà a me lo farò in una nota calante, con l’odore di pioggia e foglie gialle delle caldarroste che impregna le narici. E gli occhi stanchi, e saturi di parole.
Se sarai, come fai sempre quando non ci sono allo scrittoio, figliolo… alza la carta carbone. Non mi arrabbierò, e riscrivi con il tuo rispetto quell’unica frase sottolineata. Leggerai senza comprendere, e senza comprendere cercando di pulirti dalla guancia una macchia privata obbedirai a tuo padre. Aspetterai che asciughi, e che i cuori sulla soglia entrino come un torrente tumido a rincorrersi con le anime felici, chiudendo la porta e restandoci per sempre. Guardandoti il palmo attenderai che anche il tuo ritorni a battere come si deve. E scriverai…
Ricorda che siamo gente semplice che per arrivare a fine mese lavora e prega, e…
Scrivila adesso quella frase.
… Il suo cuore rileggeva sempre lo stesso capoverso.
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