L’uomo con sul dito una coccinella si lascia scivolare sulle gambe. Ora dorme. La testa ricurva in avanti, nella sfumatura intensa di un’alba che gli pesa sulle spalle. Il coleottero a piccoli passi torna tra gli alberi sulla tappezzeria. Fino ad ora non era stato molto fortunato. Era uscito di casa per trovare una foglia dove lasciarsi amare da un raggio di sole, non se ne era accorto nessuno. Aveva altre domande, diverse da quelle dell’uomo.
Le fronde mormoravano di una coccinella come lei, solo più vorace, dalla livrea arancione e gialla nel grande bosco lontano che aveva tutta l’intenzione di governare da dove lo sguardo può arrivare… fino a capire quanta sia stata la fortuna di esserci. Un’altalena dondolava da sola, si sentiva smarrita.
Degli abeti secolari non restava niente, se non il ricordo disegnato nel cielo dai petali dei piccoli fiori. I saggi gufi, le vecchie querce continuavano a morire. Restavano loro, i fiori. Giovani fari capaci di colorare il sole quando cieli cupi ricoprono i pensieri, piccole lucine anche quando è buio.
La coccinella si domandava come potesse un suo simile non darsi cruccio di sfregare incurante le zampette e liberare quel veleno. Quell’odore repellente era nell’aria.
Lei che porta in giro ogni giorno un cuoricino ovalizzato dal peso dei puntini che hanno lasciato chi legge senza la possibilità di prendere fiato.