Recensione Alberto Automa
“ Una parte del mondo ha il gusto di tornare/ indietro nel tempo” (Tornare 26/2/2017). E’ in quel “ gusto”, il profumo dell’universo poetico di Alberto Automa. Gusto, appunto, non vizio, un assaporare con i tempi lenti della memoria gli eventi del passato. Trasformandoli in delicati bozzetti, accarezzati da una patina di malinconia, lieve e talora corretta dall’ironia. Nessuno slancio lirico, niente spettacolari esplosioni magmatiche, ma un totale controllo del verso, perché esprima i movimenti appena accennati dell’anima. C’è l’intelligenza a sorvegliare tutto e un raccontare per metafore ispirate alla natura e una cura certosina del dettaglio, che particolare dopo particolare ricostruisce il clima dell’anima e lo imprime sulla carta. Anche quando la parola si fa denuncia, non cede al roboante, non ricorre mai all’iperbole, ma ricama per accenni, costruisce una coreografia, un contesto adeguato allo scopo. Come ad esempio nel “ Calicanto di Pffaffikon” dove nella seconda strofa l’autore scrive “ Qualcuno dei vetri dal lungo collo di chiesa/ figli di antiche fiale sembra portare nel cuore il fluido barbitale/ che dà l’eutanasia- o si tinge per finta,/ per il gioco d’amore tra il vento e la fontana/ di velenosa ampolla.” E’ tutta nella differenza d’atmosfera tra i vetri di chiesa e nel gioco d’amore tra il vento e la fontana e le velenosa ampolla, figlia di antiche fiale, il cuore della poesia dell’autore, ricamata da parole antiche e preziose e sorretta dal gusto del bello. O come in “Mazurka” dove la malinconia del ricordo si fa più viva e racconta attraverso la metafora delle orchidee e della loro malattia, l’affetto e la nostalgia per un mondo che non c’è più ( le vedo in fila le esotiche malate/ una del compleanno/ una del matrimonio/ una regalo d’una colomba/ l’estate che il caldo fortissimo se la portò via). In “ Versi di fine inverno” invece, la memoria disegna un altro tempo, segnato dalla povertà e non intaccato dalla civiltà dei consumi e da quella dell’apparenza, un tempo più umano, dove i contatti tra gli uomini sembrano avere tutta un’altra profondità “ dai bastoni della vecchia/ addirittura: ancora viaggia col cappotto mattone/ ma con dei bottoni nuovi”. E in questo delicato bozzetto, nel cappotto mattone, impreziosito da nuovi bottoni, c’è l’idea di una semplicità da ritrovare o a cui tornare per ricostruire una realtà a misura d’uomo. Nelle ultime composizioni cresce il tema della stanchezza della scrittura e della sua inutilità nel riannodare i fili di una realtà che ogni giorno sfugge di più di mano. Come in aria del 19 marzo dove l’autore scrive “ Cosa mi dai scrittore della sera/…massimo quattro righe da tinello/ una per il vaso vuoto/ una disse di ciliegio nuovo/ una di polvere che all’inizio del gioco/ sembrava il nugolo cangiante dei colombi” E anche qui la differenza di climax sta tutto nella metafora del vaso vuoto di ora confrontato col nugolo cangiante dei colombi d’inizio gioco. In “ Rimorso” del 1 aprile 2017 la scrittura è ancora più diretta “ Che rimorso scrivere ancora/…che non è ancora/ o che non è più, stagione” e l’interrogazione sull’utilità della scrittura si fa più pressante, abbinata alla stanchezza interiore. Tema che torna pure in “ Niente” del 4 aprile 2017 “ Niente rive niente fiumi niente canti/ solo una brezza che mi accetta/ che mi pensa dolce”. E che giunge sino a esprimere e a toccare la stanchezza della memoria nostalgica, nucleo fondante della poesia dell’autore, in questa fase della sua esistenza, come in “ Ultimo fiore di Campbell”, i versi che abbiamo deciso di raccontare per musica e immagini in bianco e nero. “ Parlo per me che ieri sera non ricordavo la parola cardellino/ parlo per me che posso vivere pensando al mio ultimo fiore,/ ingiallito/ parlo per me di quando Plutone era l’ultimo pianeta del sistema solare”. E quel “ perfetto” che conclude la composizione sta a dimostrare che pure nella difficoltà del ricordo e nella stanchezza interiore, la memoria ha sempre un senso, perché è l’identità della vita e di un’esistenza che vale la pena di raccontare con l’arte della scrittura e della parola preziosa. Alberto Automa è probabilmente l'autore con maggiore anzianità di servizio del “ Club Poetico”, una figura di riferimento per chi vuole esprimere attraverso la scrittura, il proprio immaginario. Ci ha dimostrato che si può esserlo con senso della misura, con classe, con umanità. Grazie di tutto.
-Recensione a cura di Francesco Burgio-
Commenti
E grazie naturalmente al meraviglioso Staff e la Direzione di Club Poetico.
Un caro saluto a tutti i club-amici, e...buona poesia,
da Albert
Francesco Burgio ha senza dubbio, colto tutti i lati della tua scrittura, che viaggiano in tempi e spazi poetici non comuni e
originali, io personalmente, ne ho sempre colto i dettagli, l'amore e la cura che hai per un mondo fatto di particolari, di sensazioni, di nostalgie e di bellezza,che ritrovo in ogni tuo testo.
Grazie a te, per aver condiviso con noi la tua interiorità poetica, è stato un piacere e un onore.
Il suo modo di esporre i pensieri è semplice, non ricco di inutili fronzoli e obsoleti classicismi... e quindi va dritto agli occhi e al cuore
e la brevità delle poesie ne determina l'efficacia.
Complimenti ad Alberto e a chi ha lavorato con lui per arricchire testi che cmq parlavano da soli.
La poesia di Alberto ha sempre parlato, il tributo è all'artista e credo si evinca soprattutto attraverso le parole della recensione a lui dedicata.
Ciao e grazie per aver apprezzato e per esserti soffermato comunque.
Complimenti al Club poetico per quest'ottima iniziativa. Un caro saluto Alberto!
Albert
Naturalmente ho apprezzato sia le immagini che la recensione, entrambe appropriate, ma il fulcro del tutto rimane la scrittura, quel far scorrere parole per identificarsi, per ri-conoscersi nell’immenso tempio del tempo che va.
Ciao
Aurelio