ma che rumore avrà fatto il pane
spezzato dalle mani di Gesù?
avrà crepitato come il tuono e il lampo
nel cielo ingolfato di Giorgione?
e mi sarei impolverato i piedi passeggiando
ai confini dell’orto dei giulivi
in un caffettano blu?
il mio ritratto in madreperla e ribes
avrebbe sfiorato il tuo nel letto tiepido
delle sabbie d’Egitto, in venti secoli?
c’è la pioggia sui tetti di Venezia
ma non è la stessa cosa: mille bacche
succo di luce, gocce d’oro alchemico
hanno migrato sopra le tue labbra.
i tuoi occhi forgiati ai primi secoli
dell’era volgare. forano di fiamme
una lastra di marmo spessa ventisei
sospiri. la luna vi chiude le palpebre
vimini, quando emerge nuda dal Gange
e profuma di seta, ogni notte d’estate.
l’estate eterna dei lidi acciottolati
che le follie greche bruciano e lambisce
la risacca assetata, la folle di vaniglia e schiuma.
il sangue uggiola, pigola, bramisce
infine ulula allo sciame chiassoso delle stelle
che trascorre, fino a bagnarsi al Tevere.
come un serto di elettroni e di benedizioni.
il sangue che beccheggia dentro i muscoli
ha il tuo nome, il tuo nome di smeraldo,
diadema di piume rosa, trono di giunco
e di pelliccia, affacciato su Cariddi,
rugiada sul cuore, rinvenuta una
domenica mattina da mani pallide
ed affannate. cuscino d’astri
e nome di mille iddii, ti vedo
ora, ora e da sempre, giocare
assisa sul costone del vulcano
come sulla cruna del mondo
come in una veranda sulla Senna
come in una camera di frasche
giocare con le rose e con gli occhi
di perla della tigre che è il tuo cuore
è da quattro millenni che tu parli
soltanto respirando la mia lingua .