Reciproco mistero intride il mito
di Psiche cui veder d’Amor il volto,
quando già dentro sé l’aveva accolto,
desio dovea restar inesaudito.
“Fors’è un mostro” insinuaron le sorelle,
e Psiche una lucerna a notte accese.
Di fronte a tal bellezza lei s’arrese
ma ardente goccia gli ustionò la pelle.
Amore si destò e fuggì tradito
mentre Psiche, raminga e disperata
a lungo dagli Dei fu tormentata
avendo al fato suo disubbidito.
Lunga storia d’invidie e di follie
che vide infin gli amanti ricongiunti
dal perdono di Venere raggiunti
ebbri d’ambrosia in complici armonie.
E Amore ancor più amo immaginare
di lei cercar del volto i lineamenti
capirne i più segreti intendimenti
ché amor vuol pure l’anima svelare.
Dei loro amplessi immagino pitture,
Amore e Psiche immersi nel mistero
ritratti coi pennelli del pensiero
di sé intense pur le sfumature.
Sol cornice la lor fisicità.
ché d’anime eran giochi appassionanti
e d’anime i momenti culminanti.
Nacque una figlia a nome Voluttà. (*)
(*): Edoné nella mitologia Greca, Voluptas nella narrazione latina (Apuleio, Le Metamorfosi)
Nel tepore del letto,
pregno e intriso di odori.
“Sciogli e muovi i capelli”,
leste lingue armoniose...
Son sospiri affannati,
lenta è l’esplorazione,
nelle labbra bagnate,
il contatto volgare,
che incomincia a sfondare
dentro anfratti segreti;
invasione di campo.
Ed il membro arrogante
crede di essere acciaio,
lui s’immola al suo ruolo,
per donare piacere.
Spinge, affonda e ritorna,
nel giardino scompare
lava tiepida oliosa,
che lo cinge e lo inchioda.
Impetuosi vulcani;
or si vedon ballare,
con la mano li afferra,
come spugna li strizza.
Spinge, affonda e ritorna,
vien l’orgasmo stellare,
non la smette di urlare,
poi la bocca si avventa,
nel microfono accesso,
un giocoso cantare,
e quell’altro a remare,
viva la resistenza,
ma un gran fiotto gli esplode
denso centra il bel viso,
lei lo guarda e un sorriso...
Son due corpi sfiniti.
Sonetto in endecasillabi a maiore, a rime alternate ABAB ABAB CDC DCD, giusto per cazzeggiare un po’.
Ricordo ancora quando il mio obelisco
agli occhi suscitava ammirazione
quando qualche fanciulla in tempo prisco
di maneggiar cedeva a tentazione.
Non tante estimatrici, che arrossisco
troppo in fretta per farne collezione
ma le due che compagne definisco
non pensarono mai all'astensione.
Ora invece se guardo da supino
quel che rimane resta orizzontale…
s'alza poco convinto nel mattino
ma torna a cuccia e pensa «Ma a che vale
se non c'è più nessuna a far giochino»…
Mi sa che questa rima è uscita male.
13/03/2025
Son anfore votive i nostri cuori
dedicate al più bello tra gli Dèi,
quell’Eros che trascina negli ardori
e avvinti ci solleva agli apogei
sinché colmi d’ambrosia tracimiamo
con Psiche in intrigante fantasia
ch’io te e tu me d’incanto diventiamo
e raggiungiam reciproca follia.
Son accondiscendenti le fattezze
ma brancolanti invano i tentativi
d’autentiche sentir quelle tue brezze
or mutate entro te in fantasmi schivi,
sicché non pago della tua malia
vorrei l’anima tua in mio possesso
come pegno affidandoti la mia,
almeno per il tempo d’un amplesso.
Ma per Eros fatale sacrilegio
sarebbe illuminar di Psiche il volto (*)
e svelar con arcano sortilegio
il mistero di cui l’amor è avvolto,
ch’è magico ingrediente quel mistero
che insaporisce quel che sa di poco
e addolcisce il sapor acre del vero,
che solo sa dosar sapiente cuoco.
Furon pochi ed effimeri gli amori,
nidi fragili d’esuli piaceri,
che m’attrassero e colsi come fiori
incontrati qua e là lungo i sentieri
ch’or ritrovo essiccati, conservati
tra pagine di libri impolverati.
Compagne dilettevoli d’un viaggio
d’avventura dal labile futuro
un sogno ad inseguir, forse un miraggio,
arrendevoli a quel richiamo oscuro
di chi può solo offrir amor corsaro,
complice giocator furtivo e baro,
era gioco svelar le intimità
e del pudore rompere i confini,
di un’anima assaggiar carnalità,
nella penombra eludere i destini,
accender fuocherelli in cupe grotte
scaldar fiammiferaie nella notte.
Talor voluto avrei altro finale,
mutar quell’indiscreto gioco baro,
trasformarlo da ludico in fatale.
Ma infin languìa quell’empito corsaro
d’un giovane poeta parolaio
non fiamma, forse sol fiammiferaio.
quell’enigma che giace in solitudine
nei fondali del tempo prigioniero,
di fantasmi dissolti in abitudine
ch’a rievocar emergono talora,
quel vissuto che fu, ch’a dir tuttora
inadeguate sono le parole,
ché sono pur le musiche svanite
e quel che gioia fu o che ancor duole,
ansie illusioni, speranze tradite
e infin gli inconfessabili segreti
ch’ebbrezze son dei lirici poeti.
Scenari rivissuti fuori scena
che la mente ha filtrato oppur distorto
e narra come un canto di sirena
ma t’ammalia evocando ciò ch’è morto
come fosse un romanzo condensato
la trama d’un autore emarginato.
Questa tua alterità dimenticata
ch’affiora da un remoto tuo recesso
diventa mia passione raffinata
che si placa soltanto nell’amplesso,
di possesso quel fremito fugace
che non scioglie di te il desio mordace.
Essere te vorrei per un istante
per immergermi nella tua malia
nell’infinito tuo inebriante,
poi provare a tradurlo in poësia
da tenere segreta in un cassetto
con la chiave nascosta dentro il petto.
Cosa mai avrà in mente,
Il suo seno si comprime su di te,
Che sul divano eri a sorseggiare un the'.
I suoi occhi sembrano posseduti,
I pensieri allor si fanno arguti,
Le sue mani hanno presa la bassa via,
Comincia ora la vera poesia.
Il movimento è lento e sapiente,
A tratti meticoloso e intelligente,
Poi i suoi occhi non si vedono più,
La sua cute osservi far su e giù.
Al divano ormai sembri incollato,
Lei avverte che sei quasi arrivato,
Improvvisamente si cambiano le pose,
Da una lacrima sul viso capisci tante cose. (Cit .. Bobby Solo)
Recentissima rielaborazione di un testo scritto a 17 anni. Seguito ideale di “Zingara musa randagia” pubblicato il 13.11.24.
Purezza e redenzione in povertà
d’ogni orpello di questo falso mondo
in cui mi sento ancora alienità
vorrei trovar nel ventre tuo profondo,
d’amor pagano zingara battista,
immergermi vorrei nei tuoi umori
per farti dei miei demoni esorcista
e farmi allestir scena a nuovi amori,
dal peccato catartica salvezza
–peccato è non aver ancor peccato–,
che vivo con frustrante timidezza,
stesso copione sempre recitato,
mutevole secondo le stagioni
secondo i nuovi volti conosciuti
promesse d’amorose trasgressioni,
desideri inseguiti ed incompiuti,
ogni volta una fata inconcludente
dalla bacchetta magica stregata
che trasforma in un sogno evanescente
la zingara che cerco in quella fata.
sento i tuoi sensi arresi al mio possesso
che accolgo consonante nell’amplesso,
tra fantasmi dall’anima riemersi
che allontanar vorrei del tuo vissuto,
ch’esorcizzo con goffi tentativi
di sottrarre i miei lemuri lascivi
alla passion di te in cui son caduto,
quell’eros combustibile segreto
ch’arder mi fa e mi tiene prigioniero
che m’avvolge in un’aura di mistero
l’amar o il non amar d’un cotto Amleto,
qual demone maldestro in cupa ebbrezza
che ti vorrebbe l’anima afferrare
ma annaspando la può solo sfiorare
con una vaga timida carezza.
brama d’aver conoscenza carnale
di donna amata, mio spirto animale
che un’anima ricerca e si corrode
non potendo in suo volto contemplare
quell’idolo enigmatico ch’è Psiche,
che vo sfiorando in fantasie impudiche
sirene che mi fanno naufragare,
ché insidie sono i nostri conversari,
gli ingannevoli racconti dell’Io
ch’eludono, tra menzogna ed oblio,
del vissuto gli autentici scenari.
Nel mito Psiche t’amò fiduciosa
accettando di non veder tuo volto
per voler superiore, gretto e stolto,
finché le fu fatal l’esser curiosa.
Ma il mio mito è l’opposto del narrato:
a te fu il volto di Psiche precluso
e del sol corpo il mistero dischiuso,
sicché amavi restando inappagato
finché tu non vedesti sue sembianze
nella notte accendendo una lanterna,
così ti condannasti a noia eterna
ché Psiche avea finito le sue danze.
Anch’io pria che il rovello mi distrugga
vorrei vedere nella notte oscura,
quel volto che m’attira e mi spaura,
ma pur volendolo spero mi sfugga.
Come un ratto
Scappo dalla città
Notturna come la pelle
Di un ivoriana in uno strip club
Neon in templi di peccato
Lei è il mio corpo del reato
Stipato nei miei sensi di colpa
Battezzato ma non cristiano
Sento ancora la voce di donna
50 euro mezz'ora
Un amplesso con sopra la madonna
Un quadro,della situazione
Una pessima notizia nella mia nazione
Narra la TV, Barbara D'Urso, mentre lei caccia un urlo.
Io sull'orlo della depressione
Questo locale sembra una pensione
Di terz'ordine
Lei mi indica i vestiti
Come fosse un ordine.
Ordino i capelli
Sento il suo profumo che permea i miei vestiti.
Destini incrociati,un lampo di vita,lei sfinita.
Esco dal locale,mi guardo in giro.
Faccio un tiro,rimembro il suo corpo,il mio membro,nel complesso andò bene l'amplesso.
Rosso come fuoco, che arde e brucia
è il colore dell'eros, simbolo di passione innata.
Rosso come il vino, che inebria i sensi, come il sangue, che scorre nelle vene.
Rosso come la rosa, che è simbolo d'amore e piacere, di gelosia indomita.
I suoi petali vellutati, sono carezzevoli, ma le sue spine, pungono inesorabili.
Rosso come labbra, carnose e seducenti, pronte a catturare in un bacio appassionato profondo,da lasciare senza fiato.
Rosso come l'orgoglio, l'eccitazione, il desiderio.
Essi infiammano il cuore, ed annebbiano la mente.
Rosso come l'energia che è dentro di noi, quando l'eros trionfa, in un'esplosione di puro piacere.
Rosso il turbinio di emozioni,
che ci travolge nell'estasi, il segno indelebile del godimento,
che ci marca, ci possiede, ci consuma.
Rosso come la passione, senza inibizioni, fiamma che divampa e mai si spegne.
Rosso come l'urgenza ad unirsi, di due corpi, quando il desiderio, diventa un incendio fatale.
Giusy leotta e Massimo R.
31/05/2024