Terzine di endecasillabi a rime incatenate. Il primo verso perché è stata scritta poco prima di Pasqua.


Siamo nel tempo dell’ultima cena
ma ad altro evento si sposta la mente:
nel mese d’agosto, tutt’altra scena

agriturismo, serata accogliente
io, tu e tua moglie, stiamo festeggiando
l’impresa in corso molto promettente

su cui del resto tutto stiam puntando
ma prima pausa per due settimane
perché l’estate ci sta cucinando.

Però stai sentendo dolenzie strane
ch’a me parevan troppo familiari…
ma le parole m’uscivano vane…

per me quei segnali eran troppo chiari
ma tu non mi stavi proprio a sentire:
“Prima pensiamo a completar gli affari

e dopo il cardiologo andrò a sentire.”
“Bene, ma son lunghe prenotazioni,
facciamole e intanto andremo a finire

e nel frattempo un po’ di precauzioni,
la più banale: smetti di fumare!”
Lì tu mille scuse, ridimensioni,

ti nascondi, provi a minimizzare
con me che doglie sopportai per anni,
tanto che andammo quasi a litigare.

Guardo le foto, rivivo gli affanni
che mi portavan le tue prese in giro
le finte richieste, stupidi inganni

che volevi esser qualche giorno ghiro
rimandando qualsivoglia controllo
a un dì che sia dal lavoro il ritiro!

Agosto finì - e ancora barcollo
ricordando il colpo quella mattina
che nostro padre con gli occhi in ammollo

entrò dicendo con voce d’angina
“È morto… è morto… è morto tuo fratello.”
Al mio cervello si staccò la spina.

L’ambulanza non raggiunse il cancello
dell’ospedale ch’è troppo lontano,
la morte aveva steso il suo mantello.

Da allor sul cor ho un peso sovraumano
perché se avessi ancor di più insistito
non saresti nel loculo spartano.

Il cuore a me l’han tutto ricucito
tanto che ancora adesso sopravvivo
eppure era ridotto a mal partito!

Il tuo era in stato meno apprensivo,
sarebbe stato facile salvarti,
senza intervento come il mio invasivo:

semplice infarto! Certo, riposarti,
vivere in modo molto più tranquillo
ma qui saresti, vivo a riguardarti.

È già tardi, spengo, bevo un mirtillo,
entro nel letto pieno di mestizia
mentre cerco ai miei pensieri un sigillo.

Inesorabile l’incubo inizia:
“Dimmi: perché perdere m’hai lasciato?
Perché t’abbandonasti alla pigrizia

e dal cardiologo non m’hai tirato?
Ebbi moglie, gran bel lavoro e figlia,
te dipendente pure stipendiato.

Di te più giovane ma con famiglia
e prospettive concrete al futuro,
non come te che la vita assottiglia

quel che ti resta di destino oscuro
pien di limitazioni e di dolori
con donna e casa ch’hai perso, venturo

ormai il tuo tempo solo di dottori
che neanche ti riesce di prenotare
e di impossibili remoti amori?”

“Neanche t’immagini il mio disperare
quanta stanchezza, quanta delusione,
più non tengo a questo mondo restare.

Ma non esiste nessuna pozione
valida a spegnermi e farti tornare,
non c’è maniera per sostituzione

non posso la morte tua e mia scambiare.
Se si potesse questa circostanza
del cederti il posto e farti tornare

credi che n’avrei qualche titubanza?
Ma son ateo convinto, impenitente,
privo d’ogni ultraterrena speranza

certo che di noi non resta più niente
che possa essere riportato indietro
poscia che il metabolismo è silente.

L’esistere mio certo è molto tetro
e in mille frantumi finirà presto
questo mio fragile cuore di vetro

troppo generoso, gracile e onesto,
ma la mia morte non riporta in vita
chi la sua vita ha perso troppo presto!”

Ancora immerso in angoscia infinita,
mattina, vibra l’orologio al polso,
finisce l’incubo senza una rima.


07/04/2023


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Profilo Autore: ioffa  

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