Il mare ancora invisibile ma assordante. La corsa è finita sulla sporgenza di uno sperone roccioso appeso nel vuoto che separa la vita dalla morte. Un passo mimato a ritmo di danza mi solleticava per provare un'ebbrezza di cui avrei voluto godere almeno per una volta. E non c'erano limiti alla paura camuffata dalla stoltezza.
Il saltello dei passi, uno dopo l'altro in triste andirivieni, era scanzonato e infondeva coraggio. Mi facevo forza, e aspettavo di volare preda di ali immaginarie che mi crescessero forti e lunghe. Aprivo le braccia e respiravo aria e profumi che arrivavano dal precipizio, un miscuglio di salsedine, rosmarino, di salvia e di mirto per dare aroma alla mia incoscienza che negava il pericolo. Una folata di vento m'istruiva nel chiedere perdono, era benevola nell'assoluzione che non sapevo di chiedere, mi prometteva una risata che cavalcava in corsa su prati e dossi verso l'inverosimile caparbio e affascinante.
Prima del grande passo mi voltavo a scoprire se alle mie spalle ci fossero angeli ad abbracciarmi in volo. Ed io, girando il capo, mi scoprivo lieve con gli occhi poi chiusi annusando forte la paura degli uccelli, rossa come la corteccia denudata del sughero.
C'erano i rami degli ulivi che provavano dolore nel torcersi con un richiamo di foglie d'argento al sole accecante.
La corsa è finita al richiamo di un amico più piccolo che aveva occhi azzurri come il mare ed una bocca da uccellino implume che cinguettava nel forsennato silenzio intorno.
I ricordi sono le orme impresse nella terra arsa di uno sperone roccioso appeso nel vuoto che separa la vita dalla morte.
Il saltello dei passi, uno dopo l'altro in triste andirivieni, era scanzonato e infondeva coraggio. Mi facevo forza, e aspettavo di volare preda di ali immaginarie che mi crescessero forti e lunghe. Aprivo le braccia e respiravo aria e profumi che arrivavano dal precipizio, un miscuglio di salsedine, rosmarino, di salvia e di mirto per dare aroma alla mia incoscienza che negava il pericolo. Una folata di vento m'istruiva nel chiedere perdono, era benevola nell'assoluzione che non sapevo di chiedere, mi prometteva una risata che cavalcava in corsa su prati e dossi verso l'inverosimile caparbio e affascinante.
Prima del grande passo mi voltavo a scoprire se alle mie spalle ci fossero angeli ad abbracciarmi in volo. Ed io, girando il capo, mi scoprivo lieve con gli occhi poi chiusi annusando forte la paura degli uccelli, rossa come la corteccia denudata del sughero.
C'erano i rami degli ulivi che provavano dolore nel torcersi con un richiamo di foglie d'argento al sole accecante.
La corsa è finita al richiamo di un amico più piccolo che aveva occhi azzurri come il mare ed una bocca da uccellino implume che cinguettava nel forsennato silenzio intorno.
I ricordi sono le orme impresse nella terra arsa di uno sperone roccioso appeso nel vuoto che separa la vita dalla morte.