Dalle fessure della finestra i raggi del sole rischiaravano la stanza, nella quale io e le mie sorelle dormivamo praticamente abbracciate.
Al centro un comò antico separava il nostro dal lettone grande e più in la vicino al caminetto , il tavolo con le sedie, la credenza, il lavatoio e poggiato su una panca un giradischi tutto dorato che mia mamma aveva avuto in dote da mia nonna, funzionante prima  era ormai diventato stridulo nei nostri pomeriggi , quando tutti intorno  al fuoco ricamavamo tele di lino, intrecciavamo i capelli di bellissimi fiocchi colorati e sgargianti e  raccontavamo vecchie storielle .
Sebbene non avessimo tutte le comodità e fossimo lontani dal paese, non sentivamo il bisogno di tutto quel vocio o di quei rombi di macchine e di tutto quel chiasso nelle vie, il nostro unico compagno di giochi era Capriccio, il fiume.
Nelle giornate calde amavamo sguazzare nell'acqua, rincorrere i pesci, bagnarci i vestiti e sfuggire alle urla di nostra madre che sbottava , a stenti riusciva a prenderci e quando ci riusciva...quante botte! Quella che le prendeva sempre ero io, la più terribile diceva!
In effetti non ero una bambina modello, Chiara e Maria Grazia erano cosi diverse da me , cosi graziose nei vestitini rosa quando alla Domenica andavamo a messa, anche io lo indossavo ma come se fosse un indumento non un accessorio da sfoggiare con civetteria.
Che certi miei comportamenti fossero poco femminili me lo ricordava mia madre tutte le sere con quelle sue raccomandazioni e le cose da fare o non fare .
Rosa mi diceva:  le tue manine sono graziose e non devono saper di terra o di lucertole, sei una bella bambina e le bambine non fanno i dispetti, le smorfie e non tirano i sassi alle persone che vengono a trovarci, quelle persone ci danno da mangiare, sono il nostro pane!
Ma all'età di 10 anni come potevo capire i sacrifici della vita?
Certo capivo che quando le pioggie erano frequenti nostro padre imprecava, capivo che quando qualche giovinetta del paese doveva sposarsi, mia madre era indaffarata a ricamare e capivo pure che ogni Domenica mettevamo sempre lo stesso vestitino.
Io , la più "terribile" avevo intuito la semplicità della nostra famiglia e  avrei tanto desiderato di cambiarla.

Durante la bella stagione l'orto era zeppo di verdure e gli alberelli in festa, accanto alla staccionata giaceva un carretto che nostro padre utilizzava per andare a vendere al paese, quel mestiere lo portava sempre fuori dall'alba al tramonto e quando rincasava aveva l'aria stanca di chi avesse in un solo giorno capovolto il mondo.
Con quel suo continuo annuire sulle cose, quella sua vita piena e vuota di calli, di capelli bianchi e di duro lavoro nei campi.
La stagione fredda invece era un castigo,  costretti a rimanere dentro, ad ammiccare lo sguardo  dai vetri, a guardare "Capriccio" in piena e gli alberi senza vita, tutto aveva un velo di tristezza, solo quel grande quadro appeso alla parete pareva vivesse in armonia, un paesaggio di tutti i colori pastello e di pascoli abbeverarsi lungo la riva del fiume.
L'inverno si affrettava a passare e tutto fuori riprendeva lentamente a vivere , le prime foglie, le prime gemme e le giornate ripresero il gusto dell'aria aperta, tutto ricominciava!
E fù proprio in una di quelle belle giornate che dal cancello spuntò una grande macchina,  strombettando impazzita, all'improvviso apparve lei : "Zia Elvira"!
Era la sorella di nostra madre che non avevamo mai conosciuto , si era sposata con un uomo ricco più grande di lei,  che aveva soldi a palate e siccome aveva deciso di cambiare vita se ne andò con lui in America.
Lei, dissi tra me e me sarebbe stata  la nostra occasione !

Una donna elegante, ben vestita, molto diversa da nostra madre, una grande chiacchierona,  parlava e parlava , ci raccontava di tutto, persino della  prima traversata del mare-oceano  con la nave chiamata "Lazzaro" che durò un mese, poi di quando arrivarono a New York , tutti quei posti meravigliosi e lontani dalla miseria , della nostalgia della  famiglia , poi ci parlò tantissimo del marito,  di tutti i grattacieli che aveva costruito, gli occhi gli luccivavano, perchè era scomparso da poco, la sola cosa che non si perdonava era quella di non avergli potuto dare dei figli, sapete ci disse:  tutta colpa dell'oceano, la cicogna non era riuscita a toccare terra!


Sulla nostra si! Dissi io ... e ne ha portato ben due e la stessa notte!

Chiara e Maria Grazia erano gemelle,  cosi diverse da me , loro timide ed io terribilmente sfacciata!

I giorni che seguirono furono bellissimi e le notti organizzavamo balli, feste e spesso dormivamo sotto la grande quercia , la Zia ci raccontava storie bellissime e noi  sognavamo ad occhi aperti principi azzurri in groppa a cavalli bianchi galoppanti e delle lucciole ne facevamo fantasmi danzanti, intrecciavamo collane di primule e margherite , riempivamo cesti di more selvatiche,  ci sentivamo libere e quel cielo era soltanto il nostro, stando insieme a lei ero diventata un'altra e la mamma me lo ricordava a tavola di quanto fossi diventata brava! 
Sentivo di volerle un gran bene, per tutte le cose buone che ci comprava, per i consigli, per l'affetto,  lei mi aveva dato tanta voglia di crescere!
Poi un giorno dentro quella grande macchina , la vidi scomparire nel nulla, cosi come era arrivata cosi se ne era andata, lasciando un vuoto grande come il cielo.

Si sa che le cose non durano all'infinito , dopo tutto quel soffocare rivelai la mia vera natura, quella di una capra selvaggia , dai capelli avizziti  di erba e mani sporche.
Ben presto dimenticai quell'Estate meravigliosa, tutte quelle passeggiate all'aria aperta, le storielle, i giochi spensierati, i vestiti , quanto era cambiata la nostra casetta tutta imbiancata con i fiori alla finestra e quel giradischi sempre acceso, quasi volesse rompere la nostalgia.
Ma non dimenticai lei, quella donna era riuscita a farmi desiderare di essere grande.
Ogni anno ad Agosto, nella notte di San lorenzo, alzo gli occhi al cielo e per ogni coda luminosa che sfreccia rapida desidero che il mio affetto oltrepassi l'oceano e arrivi dritto al suo cuore.  




                                                                                                                                                                    Giugno 1996
                                                                                                                    (Fatti e personaggi descritti sono immaginari)
Profilo Autore: Caterina Morabito*   Socia sostenitrice del Club Poetico dal 14-03-2014

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Commenti  

Giò
+2 # Giò 23-11-2015 09:36
Un dolcissimo ricordare gli anni dell'infanzia , vuole essere questa storia, anni che, in ognuno, restano indelebili nel bene e nel male.
Molto dolce, pacata e a tratti malinconica.
Piaciuta! Un abbraccio, ciao...
Caterina Morabito*
+1 # Caterina Morabito* 23-11-2015 09:56
:-) Una dolcissima fantasia.... grazie Giò
Silvana Montarello*
+1 # Silvana Montarello* 24-11-2015 15:31
Molto bella, fantasia che mi ha colpita, grazie.
Caterina Morabito*
# Caterina Morabito* 24-11-2015 18:05
Grazie a te per averla letta ....

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