Zarathustra disceso dal monte cioè da una solitudine voluta, divenne pieno di sé e si compiacque di ricordare le strade che portano al mercato – così lo infamano gli abitanti del villaggio. Non si curava più della pianura. In realtà era da molto che la sapienza non si tramuta in disgusto - nella lotta con se stesso vince quando perde. Aumentando la potenza attraverso la montagna, come una valanga. Così a sua volta si guardò da fuori dal punto di vista del funambolo e si ricordò dell’uomo e del suo lavoro - si immedesimò nell’uomo e nel suo lavoro - si tramutò in uomo e decise liberamente il suo lavoro.

Il concetto è attraente e irreale: ri-fondare l’uomo e la sua libertà – liberandolo dalle monadi e dal tomismo aristotelico. La libertà fa penar fame all’uomo – per questo è necessario ri-fondarla. In fondo è necessaria ogni digestione, per questo ruminare il passato da sapore al presente e nello stesso procedimento il ricordo si nutre del presente per dare gusto al passato. La libertà rifondata da Zarathustra scardina ogni nutrimento – permettendo all’uomo di nutrirsi con una digestione ciclica.

Perciò il villaggio si mosse contro le prove che danno valore al sapore e sapore ai sensi di quanti sanno: <<Abbiamo ora udito abbastanza del funambolo; fate che adesso lo vediamo!>> Ed è proprio il nutrimento un arte circense – un camminare sopra alti precipizi tra nutrienti e morigerare malizie intestine, arcane e private.

Perché l’uomo viva bene deve digerire bene – il tempo nella stessa nutrizione che dà all’uomo, languisce acqua salmastra, aspettando se stesso per rifondarsi: con ciò, perché l’uomo ri-viva bene deve ri-nutrirsi bene di una diversa pietanza temporale. In realtà non ci vogliono arti segrete per eterni ritorni né alchimie arcane - è necessario essere nutrimento del tempo affinché sia quest’ultimo a ri-fondarsi e quindi ritornare all’uomo ciclicamente.

Il nichilismo in questo convito è dialogo e geremiade. Un instaurare rapporto tra ospiti – e tra i vari sé di ogni se stesso e di ogni altro parolaio. Tronfi ognuno nei propri intenti. Come questo dialogo e la sua sicumera devianza – solo per impreziosire merda con retorica di ruminante, ma di colpo rapito il dialogo per un ospite inquietante che ride.

Anche se a questo punto Zarathustra raccogliendo il corpo del funambolo ormai a terra esangue si propose di tornare per altre strade nel villaggio per raggiungere altri funamboli un po’ meno reticenti verso la salvezza delle loro anime – pieno di malia per i villeggianti il nostro filosofo dell’arte del cammino così diceva al morente: <<Non è così, disse Zarathustra; tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere; in ciò nulla vi è di spregevole. Ora tu perisci pel tuo mestiere: voglio quindi seppellirti con le mie mani>> Che irrisione! Due anime morte e solo uno ancora vivo! Solo per divertirsi ad accogliere vite altrui senza difetto. Nel mercato nel lato verso la chiesa i violisti ci intonarono una seconda geremiade, altri ad ei: <<ci si piaccia nei suoi discorsi lividi – sì, ma solo a gloria di decadenza!>> Ma una mente più acuta iniziò ad abbarbicarsi in decodificazioni azzoppate dalla sua stessa ricerca codificata di una verità asintotica – che per primigenia inclinazione pose in essere come definitiva della verità fondante ma e però - esclusivamente - immanente.

Il vecchio - che in realtà sui quarant’anni disceso dal monte in modo satirico previde il futuro in un afflato cinico – portò con sé la carogna – caricata sulla spalla – avanzando, ogni ora lo divorava – e come nel convito di cui sopra lo ri-fondandava come grammofono. Un pietista gli diede del pane e del vino per avere qualcosa di più sostanziale da cui avere energia, ma solo dopo essersi fatto pregare nello spirito, lo spirito che sarebbe dovuto morire ma solo dopo la nutrizione – implicitamente ringraziò e lasciò il cadavere nel tronco di un albero perché né fosse sbranato da bestie né di lui vivesse ricordo – e come fosse reale il nostro protagonista comprese, nel medesimo tempo in cui la melodia che lo incantava si disperse. Così realizzò sagaciamente: <<Una luce è sorta in me: ho bisogno di compagni e di compagni viventi – non compagni morti e cadaveri, che porto con me dove voglio>> E ancora, giocondo: <<Io tendo alla mia meta, seguo la mia strada; salterò oltre gli esitanti e i lenti. Sia così mio il cammino la loro distruzione!>> E bonariamente qualcheduno si trovo cruccio riportarci quello che riteneva un Dio esangue un cantuccio per educandi – dopo aver digerito mieli di montagna per molti anni e aver realizzato questo con quel morto che era – e con quell’altro morto che era con lui. Disceso dal monte cioè da una solitudine voluta divenne pieno di sé e si compiacque di sapere ancore le strade che portano al mercato - e dicono gli abitanti del villaggio che non si curava più della pianura. In realtà era da molto che la sapienza non gli si tramuta in disgusto - nella lotta con se stesso vince quando perde. Aumentando la potenza attraverso la montagna, come una valanga. Così a sua volta si guardò da fuori dal punto di vista del funambolo e si ricordò dell’uomo e del suo lavoro - si immedesimò nell’uomo e nel suo lavoro - si tramutò in uomo e decise liberamente il suo lavoro, questo bravo pubblicante.

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