Le spiegai questo:
I libri di Hesse sono un biprotagonismo. C'è un bigotto che resta a pregare nella cattedrale più bella del mondo e l'altro che va per i boschi scoscesi ubriacandosi di qualunque cosa. A volte respirando, a volte scambiando il fiato per il panico come in una partita a poker. Quello che andava per i boschi era libero ma povero in canna. L'altro, sicuramente ricco ma non si sa in che cosa, subordinato a quella stessa natura che era affascinata dall'altro.
Le dissi che così andavano questi mondi contorti. Usai il plurale per confortarla sulla possibilità che il plurale fosse un'alternativa in qualche misteriosa dimensione. Pensai, ubriaco, che il mio lobo frontale e il mio ippocampo si dovessero essere restrinti in virtù delle parole scordate nel precetto e nella primaria convinzione di queste parole. Ero stordito, sì, ma quel che vedevo non si poteva raccontare, se non tramite quello che Hermann aveva già detto: fronde sparse a disseminare lacrime di guazza, alture di ombre a proteggere l'invisibile di loro stesse; e ancora: licheni, che altro non sono che simbiosi, su alberi così tanto all'antica da aver anastomizzato le proprie radici. Le dissi che la sera era così leggera. Ma mentivo. Da sempre tutto era intorno: tutto era chimica per forza di cose, ma tutto era anche illusione per forza di pensieri. Lei non capì assolutamente niente di un discorso del genere, mi prese per matto.
È così che si conquistano le ragazze in una serata in piscina. Tuffandosi nel vuoto.
Hermann Hesse ci avrebbe fatto sopra una bella risata.
I libri di Hesse sono un biprotagonismo. C'è un bigotto che resta a pregare nella cattedrale più bella del mondo e l'altro che va per i boschi scoscesi ubriacandosi di qualunque cosa. A volte respirando, a volte scambiando il fiato per il panico come in una partita a poker. Quello che andava per i boschi era libero ma povero in canna. L'altro, sicuramente ricco ma non si sa in che cosa, subordinato a quella stessa natura che era affascinata dall'altro.
Le dissi che così andavano questi mondi contorti. Usai il plurale per confortarla sulla possibilità che il plurale fosse un'alternativa in qualche misteriosa dimensione. Pensai, ubriaco, che il mio lobo frontale e il mio ippocampo si dovessero essere restrinti in virtù delle parole scordate nel precetto e nella primaria convinzione di queste parole. Ero stordito, sì, ma quel che vedevo non si poteva raccontare, se non tramite quello che Hermann aveva già detto: fronde sparse a disseminare lacrime di guazza, alture di ombre a proteggere l'invisibile di loro stesse; e ancora: licheni, che altro non sono che simbiosi, su alberi così tanto all'antica da aver anastomizzato le proprie radici. Le dissi che la sera era così leggera. Ma mentivo. Da sempre tutto era intorno: tutto era chimica per forza di cose, ma tutto era anche illusione per forza di pensieri. Lei non capì assolutamente niente di un discorso del genere, mi prese per matto.
È così che si conquistano le ragazze in una serata in piscina. Tuffandosi nel vuoto.
Hermann Hesse ci avrebbe fatto sopra una bella risata.
Commenti
Splendida l'autoironia finale. ciao:)