Trafitta umanità, terra addolorata,
solo ecchimosi lacerocontuse sfregiano
il cuoio del mio petroso volto: indignazione,
null’altro denominatore al mio tempo.
Nel vuoto aggrappato, un livido spettro
urla, fauci digrignate, lingua mozza:
tutto qui per l’ispirazione?
Dentro, maledico il canto che non trovo,
la musica che stono, così ebbro
rendo aborto l’esserci tuffandolo
nell’alcol di querule presunzioni.
Bluastre notti inghiottono l’insonnia
che ottunde la ragione nell’esercizio
della veglia tra voragini d’ansia
sparsa come malerba nel mio giardino,
rogna schifosa, processionaria d’infamia.
Nel sogno furtivo spalanco i cancelli
di un mondo infermo ormai pronto
all’evasione: meglio latitare scansando
l’insana chiacchiera dei consessi sociali.