Programma notturno.
Scaletta consueta.
Chi si sintonizza
ha diritto di parola
almeno per un’ora.
Si discute sul da farsi,
si chiarisce la questione,
si entra dentro all’argomento,
amici miei, non è un pretesto.
Alla prima telefonata
una domanda interessante:
come posso riconoscere chi è intrigante?
Il conduttore stupefatto
risponde in tutta fretta:
che domanda senza creanza!
Il secondo interlocutore
chiede scusa e domanda:
che musica è mai questa
che mi viene il mal di testa?
La risposta è presto data
dal conduttore guasta feste
che risponde con eleganza:
non siamo mica in una balera
abbassa il volume e buona sera.
Un momento! Un momento!
Ripeteva: non consento.
Il conduttore arrabbiato
gli risponde in rima:
questa qui è casa mia.
Ora un altro a gridare:
ma chi sei?
Hai bevuto? Puoi andare.
Ad un tratto, ma che strano!
Trilli, strilli – che baccano:
tutti quanti a inveire,
una roba da arrossire.
Alla fine la redazione
fece in studio l’irruzione
e, finì la trasmissione.
Sarìa azzurro l’angolo di cielo
che Dio riserva ai buoni della terra,
rosso ed infocato l’angolo d’inferno
dove Caronte attende i mal viventi.
Sarìa oggi il giorno più propizio
che faccia riflettere chi mai l’ha fatto,
lì tutti prima o poi dobbiamo andare
buoni a riposare e feccia a bruciare.
Sarìa guarita la mente ch’è malata
di chi non risponde più con la ragione,
di chi per cuore ha una grossa pietra
di chi l’anima vuol venderla al demonio.
Sarìa la pace a vincere la guerra,
sarìa sconfitto l’odio dall’amore,
saria di tutti l’angolo di cielo,
sarìa l’inferno foco per bruciare Satana.
Occhi spiano e pensano.
Pensando di scoprire l'arcano
appaiono ridicoli e malfidati.
Fidati ragazzo
amica è la voce.
Attento ai tranelli.
Amici veri son finiti
scopano nei bordelli
ma no!
Hanno chiuso.
Scopano nelle strade.
Spazzino...
Spazzi bene.
Scopano in casa!
Spolvera bene Gelsomina,
ti spio,
fai finta di non sapere,
ti spio lo stesso,
sono un fesso.
Cesso?
Tu l'hai detto.
24/03/2019
nel mattino senza alba
smarrita nell'eterno abisso
delle contraddizioni.
Le somme degli errori
tra colonne di addizioni
sfuggono agli schemi
nei confusi tempi.
Si popola lo stagno
nella perenne oscurità.
Un silenzio spezzato
dal gracidar di rospi
e bubolar di gufi
sfuggiti all'eclissi,
all'orso bianco
e ai lupi affamati.
La volpe festeggia
perde il pelo
salva il vizio.
di natal paludoso lupanare dislocati
Simil a orda di inferociti buoi
dal volgar vezzo già condannati.
Oh turpi soliloqui d’alma clandestina
che de l’inferi ‘nvocasti alti pelaghi
ca niun in terra fe repellente intestina
e nel finir dei giorni poscia te vaghi.
Or succhi come dolce acino
l’osso ch’al midollo arriva
e dicendo male nomini sol asino
chi non ha nome nella cruda deriva.
Sì, turpe imago di mellifluo puzzo
in te soggiorna alitato da infimi demoni
e sine causa petita giù fonno fe ruzzo
che diritto alcuno grida ne i polmoni.
E lentula pelle scinne da le carni
ìmputridendosi al contatto de i fochi
ca eterni son e colmi di lingue scarni
penetranti vanno per terga pur fiochi.
E poscia verba scoppiettanti
per intestini e bisogni impellenti
son del cul frasi odorose e mal parlanti
ca rimango mpligliate fra i denti.
A quanto fu sanata male coscienza
in tal individuo amorfo e illuso
che nemmanco potente flautolenza
mette il pensare a nuovo uso.
Poni allora sol figlio d’ostracismo
passo stanco e a mal pena zoppante
strada secca e brulla nel cinismo
e pur senza montatura al suol galoppante.
Chi sie tu dunque di puzzo lercio
in bragatura intinta e gocciolante
dal viso alitoso e guercio
che sputante va come nudo viandante.
Chi potria mai te vezzar di baci
e mulieri proposte fare di sollazzi
che a vederti ognun dice taci
e pur scansa le orme tue di frallazzi.
Vienci allor a pie congiunto
a inferi donato nel trapasso
serem ben soddisfatti del tuo unto
che a tal ingresso metterem grosso masso.
E non far prece d’aver terga salda
al traghettator tuo pel fiume Lete
che di tua esistenza bieca e maramalda
di legger a niun verrà mai sete.
Stanotte ho sognato
mi nonna e mi nonno,
dicevano che presto
me volevano impazienti
all'altro monno.
-A nonnini, ricordateve
che in lista d'attesa
c'è mi sorella maggiore
che se no, poverella,
se sentirebbe offesa.
-Va bè, aspettiamo ora
ma tu dille che ancora
l'attendiamo alla buon'ora,
che all'inferno c'è posto
per un'anima infame
che deve finì arrosto.
-donatore del fuoco-
Prometeo d'Atene
incatenato alla rupe del Caucaso
mieteva pensieri, parole
e cieche speranze
per alleviare il dolore degli uomini
accecati dal volere degli Dei.
Lui, ribelle per antonomasia,
resistette imperturbabile al supplizio
di un'aquila spietata
mandatagli da Zeus
che batté le ali
in direzione del divino eroe
assetata del suo sangue epatico,
a causa dell' illuminata discolpa
di non aver saputo mentire
al cuore
e accettare l'ignoranza.
Pe sconfigge’ ‘sta iella dilagante
che da quanno so’ nato me vie’ appresso
me so’ detto: annamo, nun fa’ er fesso
va’ a consurta’ ‘na brava chiromante.
Così ciannai. Lei stava ar terzo piano
e cominciò cor leggeme la mano.
*
Come la vidde cambiò de colore
diventò rossa quasi paonazza
me disse: vedo un fiore de regazza
che aspetta te sortanto pe’ l’amore
e questa qua è la linea de l’affetti.
Adesso, sempre se me lo permetti
*
a ‘st’artra linea vojo da’ ‘n occhiata
quella de la fortuna. E in un momento
-chisà se me volesse fa’ contento
ne la speranza poi d’esse’ pagata-
la lesse e disse: ‘mbè, pòi sta’ beato
perché te vedo proprio fortunato.
*
Che vò da di? Pe’ nun resta’ deluso
je pagai tutto, comprese le tasse
poi perché la fortuna nun scappasse
scesi le scale ma cor pugno chiuso.
Questo è successo che ormai so’ du’ anni…
Ma, la fortuna ‘mbè, che dio me scanni
*
Se l’ho mai vista ma, comunque sia…
ieri sera ar bare da Romano
me so’ deciso a ‘n tratto a opri’ la mano
e la fortuna se n’è annata via
poiché pe poco nun me la fò sotto
ho fatto ‘n cinque ar super enalotto.
*
De ‘sti ladroni se po’ avecce fede?
du’ anni co’ la mano sempre chiusa.
Mbè quanno uno è imbecille nun c’è scusa
po’ anna’ a ammoriammazzato chi ce crede!
Oggi so’ annato subbito a riscòte’
e domani in vacanza a Lanzarote.
Er pappagallo sta sopra er mazzolo.
Co’ quela voce tutta sgangherata
ogni tanto me fa la serenata
come si me volesse fa’ ‘n assolo.
*
Oggi, cor canto suo straordinario
ha cominciato cor suo tira e molla.
Ieri magnò er pennello de la colla
e l’ho portato dar veterinario
*
perché je se gonfiò tutta la panza
e j’hanno fatto la lavanda gastrica.
La cura è stata veramente drastica
e ce ‘n ha avuto che je basta e avanza.
*
Mo io so’ incinta. E ner passaje accanto
vedennome co’ ‘sto rigonfiamento
gracchiannome co’ tutto er sentimento
m’ha detto: -me dispiace proprio tanto.
*
Vabbene io, che so’ pure vecchio
e poco me funziona ‘sto cervello.
Ma pure tu te vai a magna’ er pennello?
T’è piaciuto? Pijetela inder secchio.
***
La mia Italia...
con quegli uomini dai vestiti scuri,
dalle bianche camice,
accostate a cravatte che rispecchiano le loro origini.
La mia Italia,
come un calzino di Natale,
colma di doni...
per quegli uomini dalle mani grandi…
gente di borgo,
gente da poco…
gente…
Non si deve indossare una camicia bianca
se tutto il resto è sporco.
dalla quinta Mangiafuoco urla
contro gli spettatori.
«Pagate il biglietto o vi mangerò a fine spettacolo»
Lauta cena per gli attori
a ognuno toccherà un gentleman seduto in prima fila.
Frattaglie a mo’ di spiedini
nel barbecue allestito nel retroscena
«In morte della vita»
«Sono Dermidion carne degli inferi e amico di Mangiafuoco
chiederemo a testa una testa, per prenotarsi al botteghino mettersi in fila»
Fila di uomini paganti e pagani, la maschera fornisce singolarmente un coltello.
Non importa il sesso o la provenienza o il colore, basta infilzarsi il cuore,
colui che lo farà nel giusto e nel modo giusto avrà l’onore d’essere divorato per primo,
a seguire la massa in silenziosa attesa.
Tuona Dermidion dalle scene
«Che ogni testa sia segata a metà del cranio, che si frulli la materia grigia con il frullino a immersione dopo aver levato il coperchio dei pensieri.
Sia servito il ghiaccio tritato e si mischi con l’intelligenza e… servite il cranio con cucchiaio d’argento avendo cura di riporre la mezza testa come coperta dell’anima che altrimenti evaporerebbe per il troppo dannato fuoco.
Si conceda il privilegio di vedersi mangiare al mangiato, possibilmente in seguito gustando gli occhi del prescelto in salsa capricciosa e con mousse di melone alla panna.
Sia servito lo stomaco sfilato e condito con sugo d’ostriche e paprika, avendo cura di apparecchiare a crudo il duodeno con fiele estratto dalle menti umane.
Poi tagliate a fettine cosce e glutei e ogni singolo pezzo sia frollato a dovere che nessuna pietanza
è mai abbastanza per le genti degli inferi, non tralasciate il “sesso”, quello è il più gustoso di tutti.
Sia...»
Una campanellina da il via alla pro cessione di sé…
Fila d’uomini piangenti ripensano all’entusiasmo della morte, diniegano il piacere e annegano il passato delirio chiedendosi il perché dell’imbecillità comprovata, ora vorrebbero non immolarsi al dio pagano dell’ipogeo… Troppo tardi Dermidion deve imbandire la grande tavolata allestita sul palco e poi, poi cos’è la morte per uno spettatore non pagante, poco appagato e illusionista di se stesso?
«Oh morte accogli l’uomo che guarda il teatro dei burattini e ora che egli s’immola al tuo altare pagano, anche se riluttante vomita già il sangue raggrumato.
Sì, morte dona la pace ai puri che privi di purezza sedevano sulle sedie senza pagare, sei forse tu
oh amata morte, pura e bella?
Dona allora a questi corpi succulenti la grazia dell’inferno che poi cos’è altro la vita se non un bruciare continuo?»
Va in scena il banchetto dell’ultimo atto e Mangiafuoco, buono e mite in fondo al cuore, piange
e mangia l’ultimo spettatore e brinda con Dermidion e… alla fine del lauto convivio l’inchino
dovuto alla sala…
Vuota oramai, come le anime di chi le viveva.
Suona un putto vestito di fiamme e squillano le trombe del peccato e scende il sipario sul teatro,
il Teatro della vita.
Applausi arrivano da fuori il teatro
da quelli che la vita…
Hanno avuto il privilegio di non averla vissuta.
E’ nata una stella…
-dicono i tonti-
ma è piccola,
già vecchiarella,
brutta non saltella,
fatica fa a parlare
perché
non sa brillare.
Dio,
tanto buono,
l’ha creata
con un tuono,
sventurata
non percepisce
il suono.
naviga
nel buio fitto,
balbetta
come un uomo
sdentato,
quello col naso
col gocciolo,
povero vecchio
atroce illusione
d’esser capito
da chi come lui
è ‘gnorante,
ratto in ogni senso
a pigliare saette
dove brilla
per niente
l’essere suo,
tonto efficace
a non darsi pace
se essere nulla
o zero di niente.
Un tuffo al cuore
Di budello
troppo chiuso dai lai
appesi alle pareti bianche
con mani imploranti
o aperto dalle correnti
verso il nero traguardo
dove l'occhio sfida
il vitreo paesaggio
per concepire un frutto
immaturo e ocra
o libero al fine
per un soddisfatto atto,
sempre commovente
lascia membra rilassate,
una gioia profonda
con lacrime forzate
ad attendere
che la notte riallacci
il sonno e le braccia conserte
nell'urlo delle viscere
mai sazie indolenzite
a ripromettersi d'usare ancora
lo spazio che rintrona a botti
tra forti ingiurie
nell'indistinto silenzio della notte.