Ahi, come spande
lo squarcio che la proditoria mano
al petto inferse;
non sangue ma lacrime, disperse
sul mio consunto corpo
e su lenzuola insonni.
Svelati son gli inganni
che, maligna, all’umana stirpe celasti
onde ogn’ora serba,
se pur incerta, quella speranza,
onde al dì felice ancora guarda,
onde, ignara ch’ogni far sia vano,
assidua ad opre varie attende;
o lungi dal vero è questo mio pensare,
vano non per te,
forse a te giova questo nostro fare.
O forse a noi non è dato saper
cosa ci spinge, e dove, forse più grato,
questa via seguendo,
a noi sarà nei sepolcri il fato;
altro non so, se non che questo dolor,
che dentro mi strugge,
compagno mio di culla, là si diparte;
ma se pure lì non fugge,
se me seguirà in ogni parte,
allor non so.
O forse tu non promettesti nulla,
e di quella vana speranza
l’uomo solo si vanta,
l’uomo solo d’illusioni s’empie,
e di vaghi pensieri.
Eguali ci facesti,
perché eguali nascemmo, e gioiamo
e soffriamo, e trapassiamo,
eppur non vedo animale alcuno
adoprarsi invano.
Eppur anche l’uomo è figlio tuo,
e se mai, non come d’altre madri,
il tuo far è male,
perché allor lo facesti tale?
Dove ci porta questo prodigarci oltre,
questa spinta fatale?
Se dunque tu tacesti,
rea no, anzi benigna,
perché il viver sotto il sole ci donasti,
sotto le stelle,
dove un poco questo dolor si lenisce;
se il labbro tuo non fu mendace,
fummo noi, sviando dai tuoi sentieri,
cagion di nostra sorte?
Questo vivere a noi stessi mentendo,
questo vivere noi stessi illudendo,
quest’aspettare, senza sussulti, la morte?
Oh Natura, Natura,
quel che sarà io non discerno,
ma forse niente resterà di noi
quand’anche ogni memoria
svanirà nel nulla eterno.
lo squarcio che la proditoria mano
al petto inferse;
non sangue ma lacrime, disperse
sul mio consunto corpo
e su lenzuola insonni.
Svelati son gli inganni
che, maligna, all’umana stirpe celasti
onde ogn’ora serba,
se pur incerta, quella speranza,
onde al dì felice ancora guarda,
onde, ignara ch’ogni far sia vano,
assidua ad opre varie attende;
o lungi dal vero è questo mio pensare,
vano non per te,
forse a te giova questo nostro fare.
O forse a noi non è dato saper
cosa ci spinge, e dove, forse più grato,
questa via seguendo,
a noi sarà nei sepolcri il fato;
altro non so, se non che questo dolor,
che dentro mi strugge,
compagno mio di culla, là si diparte;
ma se pure lì non fugge,
se me seguirà in ogni parte,
allor non so.
O forse tu non promettesti nulla,
e di quella vana speranza
l’uomo solo si vanta,
l’uomo solo d’illusioni s’empie,
e di vaghi pensieri.
Eguali ci facesti,
perché eguali nascemmo, e gioiamo
e soffriamo, e trapassiamo,
eppur non vedo animale alcuno
adoprarsi invano.
Eppur anche l’uomo è figlio tuo,
e se mai, non come d’altre madri,
il tuo far è male,
perché allor lo facesti tale?
Dove ci porta questo prodigarci oltre,
questa spinta fatale?
Se dunque tu tacesti,
rea no, anzi benigna,
perché il viver sotto il sole ci donasti,
sotto le stelle,
dove un poco questo dolor si lenisce;
se il labbro tuo non fu mendace,
fummo noi, sviando dai tuoi sentieri,
cagion di nostra sorte?
Questo vivere a noi stessi mentendo,
questo vivere noi stessi illudendo,
quest’aspettare, senza sussulti, la morte?
Oh Natura, Natura,
quel che sarà io non discerno,
ma forse niente resterà di noi
quand’anche ogni memoria
svanirà nel nulla eterno.
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