Marina Lolli ha scritto:
Vorrei ringraziare quanti hanno risposto alla mia domanda,so che la poesia comunque sia espressa deve generare emozioni ,stimolare il pensiero , ma ho ancora dubbi riguardo gli esperimenti.
Esperire significa provare ,tentare di mettere in opera ,ma se chi scrive una poesia usa a sproposito vocaboli dando al lettore quasi il senso che questi non ne conosca il vero significato ,insomma se quella poesia non è che un insieme di vocaboli che stancano chi legge questa è ancora poesia ?
E se si , allora devo pensare che quel lettore insoddisfatto sia un asino ?
Quando allora la poesia non è piu tale se tutto è giusto ?
Il mio parere, quello del sig. Nessuno, è di provare a rileggerla. Alle volte può capitare di non porre l'adeguata attenzione. Ci vedo analogia con l'ispirazione e concentrazione utile per scrivere ... se è assente, lo si noterà sicuramente. Non porrei, comunque, la questione su l'esser o meno capre. Troppe volte modalità poco forbite ti regalano l'immensità, un nuovo ed intenso gusto, mentre testi di persone che hanno studiato dal 20° piano, in su, restano piatti vuoti. Oppure l'omessa/inesatta punteggiatura che sposta la modalità: con maggior facilità è individuata da chi legge. Chi scrive oserei quasi dire che è portato a rileggere il proprio testo secondo suoni che ha in testa (vede virgole anche dove non le ha messe). Infine la chiusura del senso di quanto scritto potrebbe esser stata volutamente spostata in altro inusuale settore ... restando comunque sempre intuibile.
Ognuno scrive per svariati motivi ... i suoi motivi. Ognuno legge per svariati motivi ... i suoi motivi. Quando i motivi s'incontrano, si vogliono bene, l'opera piace. Persino gli operai si piacciono ... o meno. Buon lungo w.e. a tutti