Giulia, ragazzina dai capelli rossi e con grandi occhi verdi, esile, fragile, un po’ bruttina.

Aveva un sacco di amici e amiche.

Era bello stare in sua compagnia. Trascorrere dei bei momenti a ridere, a scherzare insieme a lei.

Tante cose sapeva fare. Era creativa. Hobby ne aveva tanti! E molti sogni nel cassetto…

Un giorno incominciò a mangiare così tanto da scoppiare …

Passò del tempo. Era così ingrassata che dovette cambiare tutto il guardaroba, non le entravano più i suoi bei vestiti.

Giulia si rese conto che doveva dare una svolta positiva alla sua vita….

Decise di far qualcosa.

E così si alzava la mattina presto per correre nel parco. Ritornava in fretta a casa a prendere i suoi libri per andare a scuola. Nel pomeriggio i compiti e poi faceva chilomentri in bicicletta.

Non si arrendeva, voleva tornare l’esile ragazzina.

Molto tempo è passato. Il suo corpo era cambiato, un po’ di chili li aveva persi.

Era stanca ma felice!

La scuola finì e Giulia si impigrì. Stava sempre sul divano a guardare la T.V., e riprese a mangiare. Le sue porzioni erano sempre più grandi!

Arrivò settembre e Giulia a scuola non voleva più andare. Non aveva il coraggio di farsi vedere così dai compagni e dagli insegnanti.

I genitori la convinsero che la scuola doveva frequentare.

Giulia col passare dei giorni si chiuse sempre più in se stessa. Pensava che non sarebbe più tornata ad essere né magra né la ragazza spensierata e allegra di prima.

Un giorno in biblioteca si sedette al suo fianco un ragazzino (anche lui ciccione). Era moro e ricciolino. Con le sue lentiggini era proprio simpatico.

Si chiamava Angelo.

Giulia si sentì attratta da lui. Era bello che qualcuno l’ascoltava.

E diventò ben presto una grande frequentatrice di quella biblioteca!

Angelo e Giulia si frequentarono sempre di più. Erano così allegri, spensierati. Ben presto tutto il paese li soprannominò: “200 chili di simpatia”.

Facevano i compiti insieme, giocavano, scherzavano, andavano al cinema.

Erano inseparabili ormai.

Erano così uguali!

Angelo un giorno d’estate confidò a Giulia che voleva dimagrire, non si era mai visto magro. Aveva avuto sempre sin da bimbo il problema del sovrappeso ed era desideroso di vedersi almeno per una volta diverso. E poter rallegrare anche i suoi genitori, che tante volte per il suo bene gli avevano detto di dimagrire. Giulia gli disse che era una buona idea e che lo avrebbe aiutato e non solo, avrebbe rincominciato anche lei la dieta!

E così ogni giorno ginnastica, porzioni di cibo sempre più piccole… i due non scherzavano mica, stavano facendo sul serio!

Dimagrirono. La loro lotta contro il sovrappeso ebbe risultati.

Giulia ritrovò la stima di se stessa e scoprì cos’era il vero amore. Per lei Angelo era il principe azzurro.

Per Angelo lei era la sua dolce Principessa.

Angelo e Giulia col tempo si sposarono.

Oggi hanno due figli e la sera rimboccando le coperte ai loro piccoli raccontano la storia dei due ciccioni!

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Profilo Autore: Maddalena Clori  

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Alzandomi dal letto, notai la porta della stanza degli ospiti ancora chiusa; un silenzio vuoto e insopportabile dominava in tutta la casa. In cucina mi gettai a peso morto sulla sedia, come reduce da una maratona. Appoggiai svogliatamente i gomiti al tavolo accendendo una sigaretta. La porta al piano superiore si aprì;  finalmente quel fastidioso silenzio mattutino scomparve. Edda scese le scale a chiocciola lentamente reggendo il corrimano. I suoi capelli ora erano sciolti lungo l’azzurra vestaglia; lisci e bianchissimi le arrivavano fin sotto la schiena.

"Che nottataccia caro Tomas…".

"Anche per me". Risposi passandomi la mano tra i capelli. "Non sono riuscito a chiudere occhio...".

"E' normale... neanch'io, la tensione è tremenda : ti prende, ti consuma ed è difficile scacciarla... ma a tutto c'è un rimedio, vedrai andrà tutto bene".

"Senti che andrà tutto bene?".

"Non posso esserne ancora certa, ma ci sono buone probabilità. La tua aura è buona e combattiva : è un arma efficace contro gli spiriti maligni".

Durante il pomeriggio, nonna Edda contattò Brandani. Grazie all'invenzione dell'opzione "vivavoce", ascoltai l'intera telefonata. Il tono di voce del Brandani si fece triste quando nonna le spiegò ciò che era accaduto a Silvia, invitandoci a raggiungerlo l'indomani nella sua dimora in via Salesina 3 a Milano. L'appuntamento fu fissato per venerdì 5 settembre alle ore 18.00.

Edda ed io ci mettemmo in viaggio alle ore 17.00, persuasi di imbatterci nell'odioso traffico meneghino. La pioggia caduta imperterrita in mattinata lasciò spazio ad una lieve foschia che fece sembrare la città un amabile sfondo adatto ad un film poliziottesco.

Immaginai anche che all'interno di un appartamento in stile eclettico, ci fosse Valentina Rosselli impegnata a scattare foto per il suo ultimo servizio.

Giungemmo alla villa di Brandani alle ore 18.10 : un miracolo visti gli ingorghi nei quali ci imbattemmo. L'immensa villa rinascimentale padroneggiava nella vasta campagna : un angolo di paradiso distaccato dal chaos metropolitano. Più che una villa sembrava una piccola città!

Un uomo di bassa statura, abbastanza corpulento, dalla testa pelata ovale e dai baffi sottili, fece comparsa nel sentiero che conduceva alla villa. Con aria rilassata aspirò la pipa adagio, con boccate lente e ritmate emettendo una nuvola di fumo che si confuse con la foschia.

"Ecco Stefano!". Esclamò nonna Edda.

Brandani vestiva un'elegante smoking nero abbigliato ad una bianca camicia con tanto di papillon, pantalone nero, senza risvolto, e scarpe di vernice nere. I suoi modi erano gentili ed educati,  in tinta con il bon-ton francese.

Il saluto che si scambiò con Edda fu decisamente affettuoso con tanto di abbraccio e baci sulle guancie. Subito dopo il suo sguardo allegro e allo stesso tempo esaminatore, si spostò verso di me.

"Piacere di conoscerti Tomas". La sua stretta di mano così forte e decisa mi scosse in tutto il corpo.

Il raffinato medium ci fece strada verso l'entrata principale della sua reggia. Quella maestosa dimora era arredata con mobili antichi, probabilmente acquistati per una fortuna (sicuramente il conto in banca di Brandani avevi sei o sette zeri), quadri dell'ottocento e numerosi reperti da museo.



Fu anche la prima volta che nonna Edda mise piede nella villa;  così Brandani, nelle vesti di esperta guida turistica, la illustrò in breve. Camminammo per stanze immense dal soffitto alto, salimmo lunghissime scalinate e visitammo quello che lui definiva "il suo piccolo regno", ovvero la biblioteca. Un vero e proprio labirinto di scaffali straripanti libri appari' ai nostri occhi. Circa dieci scaffali includevano volumi di astrologia, alchimia, fisica e chimica; ben altri dieci riguardavano le scienze occulte. Fu inevitabile che Brandani ed Edda si soffermassero un attimo a discutere di letteratura. Ovviamente l'argomento principale riguardò la letteratura russa. Prese il via una piacevole discussione sulle varie opere di Gogol' e sulle fiabe di Alexander Afanasyev (e di conseguenza anche sulle sue "fiabe proibite"), nella quale intervenni dicendo che trovai "Anime Morte" abbastanza interessante ma un po’ noioso. Nonna mi guardò sorridendo con fare materno, mentre l'occhiataccia di Brandani risultò decisamente minacciosa. Riuscii a risollevare la mia posizione sfoggiando la mia passione per la letteratura norvegese. I nomi di Hamsun e Vesaas fecero ritornare la luce negli occhi di Brandani; disse che "Misteri” di Hamsun fu uno dei romanzi più belli che gli capitò di leggere in vita sua. Mentre discutemmo tra quelle montagne di scaffali, dalla porta fece ingresso una elegante signora vestita con un tailleur beige. Il taglio di capelli mi  rimandò alla mente Alida Valli in "Occhi Senza Volto"; il suo corpo piuttosto magro ed esile camminava leggero verso di noi. Mano a mano che si avvicinava alla nostra postazione, decifrai il suo volto lievemente sciupato dai segni del tempo (ad occhio e croce le si davano circa quarantacinque anni) ma comunque delicato e grazioso.

"Permettete che vi presenti mia moglie Sonia". Disse Brandani con fare entusiasta.

Gli occhi nerissimi di Sonia mi fissarono amorevolmente, mentre dalle sue labbra carnose uscirono cordiali parole : "Il piacere è tutto mio".

L'argenteria che portava al collo e alle mani era degna di una distinta nobildonna.

"Mi dispiace interrompervi, ma il rinfresco è pronto... quando volete favorire". L'invito di Sonia risultò molto allettante, poiché incominciai ad avvertire una certa fame nonostante il lieve "disagio" di trovarmi in ambiente poco consono alle mie frequentazioni.

Nella stanza in cui si tenne il rinfresco (rinfresco? cena di capodanno!) spiccava un grande e lungo tavolo bandito di gustose specialità : un piatto con tutti i tipi di salumi e formaggi; pasta fredda; storione, caviale, tagliata di carne; uova sode, insalata di pomodori e sicuramente altre cose che non ricordo. La domanda che mi porsi fu se tutto quel ben di dio era davvero opera di Sonia, oppure di una servitù altamente qualificata. 

Mentre gustammo le prelibatezze di casa Brandani (mi parve strano non fosse presente un taciturno cameriere a servire), mi furono poste domande riguardanti i miei studi, la mia famiglia e il mio rapporto con Silvia. Sonia e Stefano mi ascoltarono attentamente mentre spiegavo loro il mio difficile rapporto con gli studi di chimica alla scuola superiore. Cercai di mostrarmi cordiale vincendo la timidezza tra gli sguardi incoraggianti di nonna Edda che sembravano dire :

"Dai! Non avere paura di parlare! Sei intelligente, fallo capire anche a loro!".

"Non è mai troppo tardi per capire quale sia il proprio scopo nella vita". Disse Brandani sorseggiando del vino rosso.

"Mi sembra che tu abbia le idee molto chiare Tomas”. Proseguì. “Fa piacere trovarti qui ad assistere ad una dimostrazione medianica. Devi amare molto Silvia vero?".

Chinai la testa sul piatto, disegnando con la forchetta una linea dritta tra gli avanzi di prosciutto : "Si...".

"Bene. Ammiro i giovani coraggiosi! E' purtroppo raro trovarne al giorno d'oggi".

Accettai con entusiasmo il complimento, mentre vidi Sonia alzarsi e accingersi a sparecchiare la tavola.

“Edda, Tomas. Il momento è giunto. Vogliate seguirmi”. Disse Brandani avanzando verso una porticina al lato sinistro del salone da pranzo.

Sonia indaffarata a formare pile di piatti, non proferì parola. Quando Stefano chiuse la porta alle nostre spalle, provai quasi invidia per lei ma il pensiero di Silvia mi risvegliò dalla tensione.   

All’interno della stanza l’ambiente risultò sobrio; al centro vi era un tavolo rotondo e la luce venne discretamente ridotta. Brandani andò a sedersi alla destra di Edda. Riunimmo le mani sul tavolo sovrapponendo i mignoli.

“Fabienne, noi ti invochiamo per chiedere consiglio… dacci una risposta”.

Il tono della voce di Brandani fu fermo, impassibile. Immobile in quella posizione, sentì correnti di aria gelida investirmi in tutto il corpo; eppure tutte le finestre erano chiuse.

Dio, quanto tempo passò! Sono certo che trascorsero circa trenta minuti.

Finalmente sentimmo l’affannoso e rauco respiro di nonna Edda diventare affrettato e cambiarsi in suoni gutturali.  Successivamente apparve una sostanza grigiastra che, modellandosi dapprima in forma simile ad una arancia,  diventò poi ovale e infine si staccò dalle mani di Edda e si mostrò un poco al di sotto di esse. In testa a quella strana forma spuntarono biondi capelli finissimi, mentre la forma stessa andava rischiarandosi, diventando bianca e trasformandosi sotto i nostri occhi in una squisita figuretta dalle forme delicate e perfette. Era nuda, alta circa venti centimetri. I lunghi capelli biondi le ricoprivano il petto e i fianchi.

Brandani invitò la figuretta a muoversi per darci prova della sua vitalità. Mosse la testa, si rigirò da un fianco all’altro, si fece vedere in volto e di profilo. Potemmo riconoscere chiaramente il volto di una piacente donna giovane, raggiante quasi di luce propria con due occhi azzurri e una bocca vermiglia.

La materializzazione rialzò il corpo reggendosi soltanto con le braccia, spostandosi al centro del tavolo. Con una vocina delicata ma ben udibile si presentò dicendo di chiamarsi Fabienne.

“Chi mi chiama?”.

“Esseri umani a cui hai dato segnali del male che ti ha consumato…”. Brandani esordì mantenendo il tono di voce calmo.

“Voi dovrete essere molto coraggiosi…”.

“Dacci consigli spirito benevolo…”.

“Gèvaudan…”

“Cosa significa?”.

“Nel cortile della casa in cui ho vissuto c’è una bestia imbalsamata che i contadini soprannominarono la bestia del Gèvaudan… lì sono seppelliti i suoi resti”.

“Dove si trova questa casa?”.

“E’ in via terzi a Mesero, poco prima dell’imbocco per la A4.”

“Cosa dobbiamo fare con i suoi resti?”.

“Cospargerli di luce finché lui trovi la pace e abbandoni il corpo di quella giovane che tiene prigioniera”.

“Come sei morta Fabienne?”.

La materializzazione di Fabienne incominciò a contorcersi e a produrre suoni tormentati, per poi ritornare accanto alle mani di Edda e scomparire all’improvviso. 
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Profilo Autore: luke676  

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Non c’era tempo da perdere. Come di rito, baciai Silvia sulle guancie prima di lasciare la stanza, altrettanto fece Edda.

Una volta a casa, ebbi timore a salire le scale e ad aprire la porta rimasta chiusa per una settimana. Appena girai la maniglia, tutto si presentò come l'avevo lasciato : i vestiti sparpagliati sul letto, a terra la valigia ancora aperta e quel diario maledetto sul comodino.

Edda si guardò intorno esaminando ogni angolo della stanza, finché non giunse ad afferrarlo. Restai in silenzio, con la paura che da un momento all'altro i suoi occhietti azzurri si rivoltassero e dalla sua bocca uscissero nubi bianche dalle mille facce.

"Tranquillo, non sono nelle condizioni per una materializzazione".

"Ma... io non ho detto niente".

Dimenticai per un attimo che Edda possedeva la facoltà di percepire tutte le sensazioni delle persone, inclusi i pensieri.

“Mmmm… Fabienne.”. Nonna si accorse della firma presente nel diario. Accarezzando la copertina, chiuse gli occhi.

"Riesco a vedere una casa...". Per fortuna la sua voce risultò invariata. "Una grande casa, a due piani... al centro un giardino, degli alberi di ulivi..."

"Cos'altro vedi?". Domandò la mia voce tremante.

"Vedo... una bambina, vestita con una camicetta bianca e la gonnellina nera, ai piedi porta calze bianche e sandali neri... in testa ha un fiocco bianco a stringere i suoi biondi e lunghi capelli... è felice : fa rimbalzare la palla a terra, ma non rimbalza bene sul terreno spigoloso... ma lei è felice : la rincorre ridendo spensierata".

Subito dopo emise un gemito lasciando cadere il diario. Arrivai appena in tempo a sorreggerla inginocchiandomi al suolo.

"Nonna! Nonna!". Gridai spaventato scuotendo il suo corpo leggero.

"Oh... come urli giovanotto!". Finalmente rinvenne aprendo lentamente gli occhi. 

"Oh nonna, ci sei ancora!".

"E' l'inconveniente principale di noi medium : quando terminano i nostri contatti, il nostro corpo si svuota...".

La accompagnai in salotto aiutandola a distendersi sulla poltrona. Dopo averle offerto un bicchiere d'acqua, vidi il suo volto riacquistare vitalità e i suoi occhi brillare nuovamente di luce vispa e attenta.

"Pensi che la bambina che hai visto possa essere Fabienne?".

" Ti rispondo di si!".

"La casa che hai visto... dov'è?".

"Non so dirtelo, la mia visione è stata breve... potrebbe essere ovunque...".

"Abbiamo la certezza che si trova in Italia : il diario è scritto in italiano".

"Non è detto : potrebbe trattarsi di una ragazza che viveva all'estero con genitori italiani".

“Fabienne è…”.

“Passata nel regno dei morti, sì”.

Decisi di chiudere il discorso visto il suo affaticamento e, osservando il mio orologio da polso, le proposi di cenare. Edda accettò volentieri, cucinando con il mio aiuto una zuppa di cavoli.

La serata proseguì "in compagnia" del diario di Fabienne. Mi recai ancora una volta in quella stanza a recuperare il diario disteso sul pavimento; ma una volta ultimato il mio compito, sgattaiolai fuori dalla porta come un bimbo impaurito.

Con il “caro vecchio” tremore alle mani, sfogliai le pagine successive a quelle che lessi ad alta voce nell’appartamento di Silvia. Edda si mise comoda in poltrona, giunse le mani appoggiandole alla lunga gonna nera, pronta ad ascoltare. Tentando di assumere una posizione confortevole nel divano di fronte, iniziai la lettura :   

"20/06/1976 :

Oggi pomeriggio Sandra mi ha proposto di fare serata al Piraniah. Forse "mi farà bene" come ha detto lei... Sandra ha ragione : devo smetterla di pensare a questi orrendi incubi. Lei se la ride e non capisce anzi, oggi mi ha pure detto : "smettila scema!". Io non sono scema, ciò che vedo è reale! Perché nessuno mi crede?".

Dopo il punto interrogativo il foglio appariva usurato da "scarabocchi" inflitti violentemente con la penna.

"Piraniah...". Bisbigliai con fare pensieroso. "Credo sia una discoteca ma... aspetta! Ricordo che mia madre me ne parlò di quando la frequentava da giovane! Si! Il Piraniah si trova, cioè si trovava perché ora credo proprio non esista più, in zona Novara, quindi non lontano da qui!".

"Bene! Abbiamo la certezza che la ragazza soggiornava in Italia." Affermò Edda.

"24/06/1976 :

Non riesco più ad ascoltare musica, a leggere, a cucinare : la mia mente è nelle sue mani. Maledetta a me che ho deciso di prendere la Graziella e percorrere quella dissestata strada di campagna... ma si sa : ognuno ha bisogno di pace interiore quando l'anima duole... lui è apparso in cima alla collinetta tra le due betulle... dio mio, che ribrezzo! Sfortunatamente ero abbastanza vicina alla collinetta da poterlo scorgere in pieno. Il nero mantello, il cappello sgualcito, gli abiti usurati; il volto esangue, i lunghi capelli neri e quei terrificanti occhi verdi che puntavano dritti alla mia persona... si! Era lui : l'uomo che rende schifosamente insonni le mie notti."

Nonna Edda schiarì la voce : "La descrizione coincide perfettamente a quanto mi ha detto Silvia più volte... non ci resta che evocare lo spirito di Fabienne".

"Ma... come?".

"Da anni conosco un uomo...". Rispose calma. "Il suo nome è Stefano Brandani; è un famoso medium di Milano... siamo rimasti in contatto da quando lasciai l'Italia e ho partecipato con lui a diverse sedute ed esperimenti di ipno-magnetismo... è una brava persona, sicuramente ci darà una mano".

L'idea di partecipare ad una seduta spiritica mi terrorizzava, poiché da sempre nutrivo un certo timore riguardo le conseguenze che potevano arrecare all'uomo se non eseguite con le adeguate precauzioni. Ma la vita in gioco era quella di Silvia, e al mio fianco vi era la più esperta e famosa medium russa, quindi accettai l'idea di contattare Brandani. 
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Profilo Autore: luke676  

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In una giornata uggiosa, l'aereo di nonna Edda atterrò a Malpensa. Durante quella mattinata di mercoledì 2 settembre 2015, giunsi al un punto di non percepire più gli acciacchi fisici. Divenni immune ad ogni tipo di dolore, concentrandomi a fare di tutto per salvare Silvia.

Nella sgradevole confusione aeroportuale, la riconobbi. Atterrò sola,  affrontando ottimamente il viaggio nonostante i suoi ottantasei anni. Camminò arzilla verso di me, evitando astutamente le persone che le tagliavano la strada. Una piccola grande donna : i capelli bianchissimi, accuratamente raccolti in una lunga treccia; gli occhietti azzurri (per certi versi simili a quelli di Silvia) come due piccoli tagli nel viso segnato da lievi rughe. Il nero vestito che ricopriva la corporatura gracile e sottile era degno di Maria Trelkovski, decisamente vittoriano. Il ciondolo raffigurante il Pentagramma dell'Abate Julio si posava splendente su quel lungo vestito. Le mani, venose e consumate, colme di anelli.

"Allo Tomas...". Edda mi riconobbe immediatamente grazie ad una foto inviatale da Silvia qualche mese prima. Ebbene si : nonna si dedicò all'uso della tecnologia, Whatsaap incluso. 

"Ben arrivata signora". Le dissi cercando di trattenere le lacrime.

Subito dopo vidi le sue braccia aprirsi, ansiose di donarmi un abbraccio che giovò alla mia salute. Come un bambino, piansi sulla sua fragile spalla.  Fu come abbracciare una donna che mi sembrava di conoscere da molto tempo. Nelle sue braccia avvertii protezione e tanta dolcezza; quella dolcezza che sicuramente Silvia  ereditò a pieni voti.

Appena sollevai la testa, mi guardò negli occhi : "E' un piacere conoscerti, anche se avrei preferito incontrarti in circostanze migliori".

Ebbi la conferma che il suo italiano era decisamente perfetto.

"Grazie di essere venuto e di esserti preso cura della mia bambina".

"Si figuri, grazie a lei di essere venuta e... io ho fatto tutto quello che ho potuto...".

Le feci strada verso l'uscita dell'aeroporto; i suoi bagagli pesavano dannatamente.

"Fammi un favore Tomas..."

"Dica pure".

"Non darmi del lei, mi fa sentire vecchia... diamoci del tu ok?". Edda accennò un lieve sorriso.

"Ok...".

Cercai di mostrarmi gentile in tutti i modi, domandandole come fosse andato il viaggio e cosa preferisse mangiare a pranzo. Edda per tutta risposta disse che prima di tutto voleva vedere "la sua bambina". Le spiegai che l'orario visite, essendo ormai ora di pranzo, era terminato. Mi venne in mente Giulia : lei sicuramente avrebbe fatto qualcosa per aiutarci. In fondo ebbi anch'io desiderio di rivedere la mia amata.

Quando le esposi il fatto che in quei giorni l’ospedale divenne la mia “casa”, nonna Edda disse : "Questo è ammirevole…  la mia Silvia non poteva trovare un giovanotto migliore". Per la prima volta mi accorsi che chiamò Silvia con il suo vero nome al posto de "la mia bambina". Già, la sua “bambina” che insieme a sua figlia, salvò da un nero destino. Nel Dicembre 1984, Edda seguì la figlia Dorina in Italia, la quale stava per maritarsi con un italiano venuto a soggiornare in Russia per motivi lavorativi. Dopo un maestoso matrimonio celebrato a Magenta, la famigliola si trasferì' in una cittadina dell'Hinterland Milanese chiamata Abbiategrasso. L'arrivo di Silvia, in data 24 Marzo 1985, portò una fresca brezza di gioia, come appunto solo il mese di Marzo riesce a fare. Il padre di Silvia però, aveva il vizio del bere e spesso e volentieri alzava le mani a Dorina.

Quando la situazione divenne insostenibile, Dorina si trasferì con Silvia e sua madre a Cassinetta Di Lugagnano, poco distante da Abbiategrasso. Enrico, il padre di Silvia, non tardò a risposarsi con una donna maggiore di quindici anni, trasferendosi ad Albignasego; finalmente lontano da Dorina e lontano da tutti. Dorina si prese cura nel miglior modo di Silvia fin dal giorno in cui la strinse per la prima al seno. Purtroppo un cancro la portò via nell'agosto 2006, lasciando per sempre un vuoto incolmabile nel cuore di Silvia. Nonna Edda, la quale aveva fatto le veci di Silvia fino a qualche mese prima, sentì la necessità di passare i suoi ultimi anni di vita nella sua amata Madre Russia. Silvia non prese nel migliore dei modi la decisione di Edda, ma trovò la forza di arrangiarsi da sola. Il lavoro di commessa in un negozio di scarpe le permise tutti i mesi di pagare l’affitto dell’appartamento. Ovviamente dovette rinunciare a qualcosa, ma la sua fierezza e la sua determinazione prevalsero su tutto.

“Lei crede... cioè, tu credi?". Le chiesi imbarazzato per il complimento.

"Si, percepisco un alchimia perfetta tra voi due, siete stati concepiti apposta per vivere insieme".

"Già, solo che qualcuno ha deciso di spezzare il nostro legame...".

"Nulla si spezza se a sorreggerlo è un forte amore".

Conversare con nonna Edda fu come leggere un testo di spiritismo o di filosofia; non seppi se tutto ciò mi rendeva felice o ancora più triste.

"Ecco l'ospedale, a quest'ora dovrebbe esserci parcheggio...". Impavido e spietato l'ospedale G. Fornaroli di Magenta, si presentò ai nostri occhi contornato da un cielo prossimo al diluvio.

Chiamai Giulia sul cellulare, sperando fosse di turno. La sua voce stridula annunciò che fortunatamente lo era, ma quando sentì ciò che le proposi,  si irritò un poco. Dopo vari tentativi, finalmente cedette; credo sapesse anche lei quanto era importante vedere Silvia per nonna Edda.

Non decifrai nessuna delle numerose frasi in russo che Edda sussurrò tra le lacrime e le carezze sulla sua fronte. Le mani rugose si distesero delicatamente sul viso angelico di Silvia,  come se avessero paura di sgretolare un cosi divino ritratto di bellezza.

"Nonna, chi è quest'uomo?".

Edda si girò verso di me, avvicinando una sedia mi si sedette accanto : "Non lo so... ho interrogato più volte il mio spirito guida, ma lui non sa dirmi niente... questo spirito è maligno e distruttivo... è un anima irrequieta che non riesce a trovare pace e vaga in cerca di vittime".

"Quella mattina…”. Deglutii la saliva. “Uno strano diario è riapparso in camera nostra… la prima volta lo abbiamo trovato nella libreria di Silvia, ma lei non sapeva di possederlo ed era la prima volta che sia io che lei lo vedevamo. Lo abbiamo buttato, perché secondo lei scatenava qualche forza maligna, ma poi si è ripresentato dal nulla sul comodino. Da allora non sono più rientrato in quella stanza, ho paura...".

"Devo vedere quel diario... probabilmente uno spirito benevolo vuole aiutarci".

"In che senso?".

"Sono sicura che in quel diario vi è scritto qualcosa che può metterci in contatto con questo spirito. Chi lo ha scritto cerca giustizia come noi".

Seduto e immobile, Il mio corpo fu tutto un brivido.
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Profilo Autore: luke676  

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Forse sto per fare una.. beh, avete capito, non fatemi dire parolacce: sono una signora! Proprio quella li, che in Sicilia dicono… e in tutte le altre parti un sol suono ha, quello di una ca… volata! Beh, forse si, sarà così: ma non voglio più pensarci. E’ un po’ di giorni che già mi frulla questa idea, e posso dirvi che se mi frulla… la farò: se poi voglio dire… dico. Sarò io a parlare, solo io che dico: parlerò assumendomi le responsabilità del… caso. E che tutto vada bene, Amen!...
Parlerò di lei perché la sento. No, non che io le telefoni, questo no, ma la percepisco, ogni giorno. Dividiamo, o meglio condividiamo, la stessa sedia, beh, volevo dire passione, per dire che stiamo, entrambe,… si, insomma avete capito, no!?... Con lei è come stare su una sdraio a due passi dall’acqua, in riva la mare, a darsi un’occhiata d’intesa e qualche sorriso di assenso o dissenso, ogni tanto.
Ed è bello così proprio per questo: un’intesa silenziosa. Godiamo così!...
Passa tutto di lei, come attraverso uno specchio: basta un click. Mi soffermo, tante volte, a pensarla: io la vedo. E più penso, più l’immagino, più mi viene di vederla… in un ritratto.
Una signora d’altri tempi, certo un po’ anche per gli anni, ma più per la mia sfrenata fantasia che, seppur tal sfrenata è, vuol dire che, infondo, qualcosa vagamente di lei mi porta in altri tempi. Sarà il suo fare materno, tenero, a tratti protettivo, per niente sdolcinato, anzi, in certuni casi, energico. Sarà quel che non so che, che non saprei dire ma io sento che è una persona… vera. E poi sa tanto di poesia!...
Ed è lei, Vera, colei che immagino come in un quadro fantasioso.
Alta, magra e una gran classe; una donna elegante, dallo sguardo dolce, profondo, dato da due occhi azzurri come il suo mare che spiccano sui lineamenti fini, delicati del viso incorniciato dal bianco dei capelli, sempre ben pettinati. Poi mi giro, la rivedo in un’immagine in cui legge: occhiali, il libro tra le mani delicate e lo sguardo che sbircia dalla finestra… A volte mi viene di pensarla come la nonna dei fumetti: occhialini sul nasino, proprio quello di una bambina, e un sorriso fra il tenero ed affettuoso. Giusto quello di una nonnina! Tutto questo senza offesa, si capisce, anzi. Pure io ambisco a quell’immagine, e già ne acquisto quando leggo, ai miei nipoti, qualche poesia. Un po’ vanitosa io però, perché gli occhiali li scelgo colorati, imperlati e brillantati, cosicchè cancellino un po’ di.. anni all’atto d’inforcarli… Vanità di femmina!...
Lei è limpida, certo non le manda a dire: diretta, spontanea; un tantino come me, o meglio, io come lei. Arrogante, polemica, potrebbe sentenziare qualcuno. Ma no, non è l’arroganza prepotente che ti mangia e ti zittisce. E’, piuttosto, quel dire enfatico, dato da una carica emotiva e caratteriale, di fronte alla vita, a discorsi ed argomenti, a volte angosce e situazioni. Pronta, sempre, al confronto, momento di crescita e di scambio. E’ tutto un dire, non c’è che dire! E vuol proprio tanto dire, commentare!...
… Eppure in lei c’è poesia! Tanto amore si respira accanto a lei. Quanta voglia di cambiamenti, quanta speranza, tenacia, quanta voglia d’insistere. Perché in verità vi dico che lei è una persona VIVA! Mi ricorda tanto una vecchia zia: zia Maria, centenaria. Beh, non era proprio una mia zia, ma di amici fraterni. Ma tutti la chiamavano così per rispetto ed affetto, allora avevo preso l’abitudine di chiamarla anch’io così: ad un certo punto avevo cominciato a sentirla “mia”. Ci passavo pomeriggi interi con lei a parlare, ad imparare dalla sua saggezza, dalla sua vecchiaia, che non è una malattia! Lei mi ha dato più di chiunque altro, mi trasmetteva forza, una voglia di vita esagerata. E, se la vecchiaia fosse stata una malattia, beh, avrei voluto, molto volentieri, che m’infettasse!... Evidentemente, zia Maria era fatta della stessa pasta di Vera.: forgiata dalla scuola aspra della vita. Un tipino niente male: tosta ma amorevole, una grande fede, giusta e tenera. Per dirla in una battuta, mi sembra quasi un “copia e incolla”.
Eh, ma mi frulla un’altra idea. Si, mi dico che, prima o poi, andrò nella sua bella terra: tanto lì ci sono due amici. Lo farò, Vera, magari passerò da te, solo il tempo di un abbraccio.
Come dici? Devo brigarmi!... Ma va là, abbiamo tutto il tempo che vogliamo. E poi, scusa, tu lo sai, prima o poi ci rivedremo, comunque. Mi raccomando: porta un po’ della tua poesia. Come?... si, hai ragione questo scritto potrebbe assumere il tono di una lettera. Eh, lo so cara, qualcuno penserà che voglio rubare la scena. Pensa te in quanti lo vogliono, a questo mondo, e lo fanno in mille modi. Eccome se lo fanno!
Ma qui comando io, faccio quello che mi pare: questo è spazio mio, solo mio, faccio come voglio!
… E continuo e faccio!... Signora mia cara, non è una sviolinata: che motivo avrei? Non ti conosco, non puoi lasciarmi i tuoi beni, quelli terreni perché di quelli spirituali…. Di soldi manco a parlarne!...
E’ solo che m’ispiri un affetto prepotente, un grande amore: quello che mi ha nutrito fin da bambina. La mamma, la nonna, persino i cari vicini di casa e gli amici del mio papà. Ma erano altri tempi! Tempi dell’amicizia vera, del buon vicinato, dell’altruismo, della serenità d’animo. Ecco io con te respiro di quel tempo: quando guardavo, con gli occhi da bambina, le signore anziane. Oggi immagino te con i miei occhi di allora e sogno.
… Alta, magra, i capelli bianchi, due occhi chiari dolci, profondi, veri. Tutta vestita di pizzi e merletti, colletti con bianchi ricami e rouches. Una dolce, bella nonnina che si appoggia al bastone nel suo andare fiero ed elegante. Una signora d’altri tempi!...
Questo il mio ritratto di Vera e…. sa tanto di Poesia!

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Profilo Autore: Giò  

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Quella che gli umani chiamano ipocondria non è nient'altro che la convinzione di soffrire di un male immaginario rendendosi la vita un inferno. Spietata e cinica, questa orrida malattia fece il suo ingresso nella mia mente. Fui convinto di avere allucinazioni provocate da chissà quale tumore maligno. La mia Silvi, con la sua impareggiabile dolcezza, cercò più volte di confortarmi. Questa dolcezza però, non risultò efficace come le volte precedenti. Il primo passo verso guarigioni, vittorie, conquiste, ecc dobbiamo farlo noi stessi; l’aiuto delle persone care è fondamentale, ma il nostro lo è ancora di più. In quei giorni Silvia sembrò rispettare i miei silenzi; atto che le fece guadagnare ulteriore amore e rispetto. Seppe cogliere esattamente i vari momenti in cui l’unica cosa da fare era "lasciarmi nel mio brodo" e aspettare che le mie paranoie scomparissero.  

Riposo e musica allontanarono per un attimo i miei aberranti pensieri, facendomi sentire pronto per una breve gita nel weekend. Pernottammo a Diano Marina per due giorni e due notti, godendo le meraviglie della cittadina ligure. Nonostante non avessimo impegni lavorativi, decidemmo di tornare lunedì mattina.

Disfammo i bagagli sudando l'inverosimile, ancora una volta vittime dell'afoso clima lombardo. Voi vi chiederete :  “perché non siete stati al mare?”; ecco, dopo pochi giorni io e Silvia avvertimmo la necessità di assaporare l’aria di casa nostra, anche se meno salutare e genuina. “La nostalgia di casa” fu un’altra nostra debolezza, sempre se si può definire tale. 

Impegnato a piegare magliette impregnate di salsedine, volsi  lo sguardo verso il comodino accanto al letto. Accuratamente posato e incredibilmente integro, si materializzò ai miei occhi provocandomi profonde fitte allo stomaco ed un violento flusso di sangue al cervello.

Con sguardo incredulo mi avvicinai al comodino; quel rosso sanguigno accecò i miei occhi. Appena i miei polpastrelli vennero a contatto con la superficie ruvida, un urlo lancinante ruppe l’aria. Seguì un tonfo simile a tanti oggetti caduti a terra. Come una furia, scesi le scale rischiando di rompermi la testa. Silvia stava distesa sul pavimento accanto alla porta d'ingresso; attorno a lei il contenuto delle valigie cadute a terra. Macabre convulsioni le tormentarono il corpo, facendole perdere schiuma bianca dalla bocca. 

“Oh no! Silvia!!!”. Disperato mi avvicinai per tentare di fare qualcosa.

Tentai di domare l’attacco epilettico, ottenendo solamente un doloroso morso che fece sanguinare le mie dita. Improvvisamente Silvia ritrovò la forza di controllare il proprio corpo;  si alzò da terra e si mise a sedere sul pavimento : la crisi epilettica scomparve.   

"Lei è mia, soltanto mia... niente potrà separarci ora!".  La voce mutò in un gargarismo greve e orrido all'udito, i suoi occhi, lungi dalle stupende pupille azzurro cielo, mi fissarono inquietanti.

Urlai di terrore allontanandomi verso le scale : "NOOOO SILVIAAAA!!! NOOOOO!!!”

"Silvia" rise alla mia disperazione, emettendo la risata più inquietante che avvertii in vita mia. Subito dopo, rigurgitò un liquido marrone crollando al suolo; l'impatto col pavimento fu violento. Corsi inginocchiandomi a fianco a lei, il suo corpo parve inanimato. Alzandole la testa, bagnai le mani : la ferita all’altezza della nuca eruttava sangue a volontà. Sangue sulle mani, sangue sul pavimento, sangue sulle pareti : la casa grondò sangue. Portai le mani al volto, urlando un pianto isterico senza precedenti.  

Mi risvegliai seduto sul divano, con la mano di una anziana crocerossina appoggiata alla spalla. Nella follia più totale, rimossi di aver chiamato il 118.

Le domande a raffica dei soccorritori sembrarono non finire mai. Raccontai a tutti la stessa storia : Silvia scivolò giù per le scale trasportando le valigie al piano superiore. Non accennai minimamente a ciò che vidi, aggiungendo che al momento della tragedia non ero in casa e l'avevo ritrovata aprendo la porta d'ingresso distesa sul pavimento, sul quale si era trascinata con le poche forze rimaste in corpo. La bevvero.

Sottoposta a tutte le manovre di rianimazione Silvia sembrò non rispondere; sulla porta di casa spintonai via tre soccorritori vedendo che altri la stavano caricando in ambulanza. Intimoriti dalla disperazione nei miei occhi, mi fecero salire. Strinsi la sua mano per tutta la durata del viaggio. Le porte dell'inferno sembrarono spalancarsi quando feci ingresso all'ospedale :  le figure e le voci delle persone appartenevano ad  un mondo indefinito, risuonando stridule e distorte. L'attesa più snervante della mia vita : raggomitolato su di una sedia all'esterno del pronto soccorso con lo sguardo vitreo, una tempesta di pensieri catastrofici e tanto dolore interiore.

Dopo terribili ore, arrivò finalmente un’ infermiera ad informarmi della situazione. Appena percepii il mio cognome, mi levai dalla sedia. L’infermiera lesse il foglio che stringeva tra le mani, inespressiva :  

"L'esame neurologico ha diagnosticato un stato di coma cerebrale in seguito alla caduta. L'abbiamo trasferita ora in Rianimazione".

"S-Silvia... oh, Silvia...". Queste furono le uniche parole distorte che pronunciai a malapena in mezzo al Pronto Soccorso.

Il mondo crollò; tutto si sgretolò ai miei occhi gonfi di lacrime. In pochi secondi vidi scorrere davanti a me tutti i suoi sorrisi. Incalcolabile fu il tempo che rimasi immobile ad osservare l’infermiera allontanarsi e scomparire dietro la porta automatica.

Neanche a farlo apposta, fuori incominciò a piovere; la notte era ormai scesa e tutto quello che desiderai fu di stare accanto a lei.

Nonostante le regole rigorose del reparto Rianimazione, grazie a mia cugina Giulia Ceccarini (infermiera in Geriatria da ventuno anni) ottenni il permesso di vedere Silvia. Giulia, svolgendo il turno di notte, appresa la notizia si precipitò al P.S. Mi abbracciò per la prima volta in vita sua; i suoi capelli biondi a caschetto profumavano di vaniglia.

"Qualsiasi cosa hai bisogno noi ci siamo... ora ci penso io a farti entrare, so quanto è importante per te".

Il "noi" era riferito alla sua famiglia composta da un marito succube e da un figlio già indirizzato a venerare il “Dio Denaro”; questo non toglieva il fatto che, nonostante la sua inclinazione al risparmio e appunto alla tirchieria, Giulia aveva anche un cuore. La ringrazia balbettando frasi confuse, dopo che si offrì di avvertire i miei genitori. Mia madre, nella sua impareggiabile ansia, esplose in un pianto disperato dall'altra parte del telefono cellulare di Giulia, ascoltando subito dopo la mia versione dei fatti; ovvero la stessa storia che raccontai a soccorritori.

La Rianimazione, possedeva lo stesso nauseante odore presente in tutto l’ospedale : disinfettante misto a quello di caffè. Non trovo parole per descrivere lo strazio che provai vedendola distesa su quel letto in quella lugubre stanza. Il suo corpo inanimato, tristemente agghindato da tubi e tubicini,  venne illuminato da un leggero spiraglio di luce proveniente dalla finestra :  segno che l'alba di un nuovo giorno era ormai prossima. Ma ci sarebbe stato un altro giorno per Silvia? I miei pensieri più cupi e tristi si intervallarono con quelli di odio e vendetta; quante lacrime amare! Le strinsi la mano gelata desiderando che aprisse gli occhi dicendomi : "amore, che brutto sogno… stringimi forte!".

Vidi buio pesto.

Improvvisamente una forte e prepotente scrollata colpì la mia scapola sinistra.

“Svegliati! Prima che ci vede qualcuno!”.

Giulia mi trascinò letteralmente fuori dalla stanza, supplicandomi di aspettarla nell'atrio per accompagnarmi a casa. 

La nostra dimora emanò un vuoto peggiore di quando Silvia decise di partire per Mosca; tutti gli oggetti, i muri e l’arredamento parvero insensati. Calpestando il punto in cui Silvia cadde, accuratamente pulito,  avvertii un brivido agghiacciante. Frugando nella sua borsa, trovai il cellulare.  Sfogliai la rubrica nervosamente fino alla lettera “N”. Sotto la voce "Nonna",  vi era un numero composto da sette cifre. Quanto detestai assumere il ruolo di portare di disgrazie. Lo squillo del telefono fece aumentare il mal di testa che ormai mi torturava da ventiquattro ore.   

Nonna rispose dopo quattro squilli : "Moya devochka!". La voce entusiasta, lontana dal timbro vocale di una donna anziana.

"Ehm, no signora Edda sono Tomas..". 

"Oh Tomas! Finalmente ci sentiamo!". L'italiano quasi perfetto, sempre scandito dall'inconfondibile accento russo.

"Come stai? Dov'è Silvia? State bene?".

Colto dal panico non seppi a quale domanda rispondere per primo. Cercai di usare più tatto possibile.

"Ecco io... volevo avvertila, si faccia forza, che ieri mattina è successa una disgrazia : Silvia ha avuto delle convulsioni, ho dovuto chiamare l'ambulanza. Ora è ricoverata all'ospedale di Magenta."

Un silenzio interminabile : "Ma... come è successo? Bozhe moi... come sta ora?".

"Vede, io credo che sia stata vittima di una forza, una possessione ecco... che l'ha fatto entrare in..... coma".

Anche se non potevo vedere nonna Edda, fui sicuro che in quel momento stava piangendo : "Moya milaya devochka... è successo quello che temevo".

"Cosa vuole dire?". Alzai leggermente il tono di voce.

"Io... Tomas, devo venire al più presto a Magenta, a vedere la mia bambina e...".

"Lei mi deve aiutare, deve aiutare Silvia... mi ha parlato delle apparizioni di un uomo che la tormentano da anni; so che lei ne è al corrente e ha cercato di aiutarla...".

Nonna Edda riprese a parlare, scandendo la voce straziata : "Lo so che Silvia te ne ha parlato. Non esercito i miei poteri da anni ormai, forse dovremmo...".

"Signora, sua nipote sta morendo! Lei è l'unica in grado di salvarla. Con i suoi poteri dobbiamo scoprire chi è quell'uomo e scacciarlo dalla vita di Silvia una volta per tutte!".

"Non è così semplice come credi...".

"Lo so, ma nulla è impossibile, dovrebbe saperlo anche lei che è una medium".

Di nuovo silenzio, questa volta di lunga durata. "Prenderò il primo aereo disponibile per Milano - Malpensa, ti avviso quando arrivo giovanotto.".

"Grazie signora, io...". Non feci in tempo a finire la frase che nonna Edda aveva già riattaccato.

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Profilo Autore: luke676  

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"Nessuno è mai riuscito a capire cosa si cela nella mente umana."

Rosaria parlava cauta, la voce roca e la sigaretta accesa nonostante la legge antifumo in vigore dal 2003. Cinquantadue anni, originaria di Melito (Calabria), capelli ricci e lunghi di colore nero corvino, occhi piccoli, bocca sottile e un corpo ancora desiderabile. Dopo essere migrata a Magenta nel 1985 prese in gestione insieme al marito Nino, lo Scotch Club in via Milano.  

Una buona birra è un toccasana per scacciare i pensieri e combattere l’agitazione, così decisi di concedermene una al caro vecchio Scotch.   Silvia restò a casa a completare l'ordine alfabetico dei suoi libri; in circa mezz’ora vidi riempirsi quasi tutti i ripiani della "sala lettura".

"Lo so Rosi, l'ho letto e sentito molte volte... però quello che è successo oggi, capisci? Ho sempre pensato : se capita a me? Beh ora so che sono spaventato...".

Rosaria indaffarata a completare un ordine appena comunicatole da Nino, riprese a parlarmi ad alta voce; il forte accento calabrese :

"Tom, non devi essere spaventato! Sai quante volte mi è capitato di trovarmi di fronte a questi fenomeni... ma Nino dice che sono pazza!".

Nino nei suoi baffi grigi e nella sua corporatura tozza, le riservava a volte parole poco carine; ma l'amore tra di loro era uno di quelli antichi, duraturo nel tempo e impossibile da spezzare. Un legame che gli aveva salvati da infanzie difficili e terre desolate.  

"Spesso quando torno a casa e mi metto a letto, sai che mi piace leggere prima di addormentarmi no? Lascio la luce della lampada accesa sul mio comodino...".

Proseguì asciugandosi le mani nello strofinaccio. "Ecco : quando incomincio a leggere, sento come grattare all'interno del cassone della tapparella...".

Sorseggiai la birra "Gradisca" con occhi stupiti.

"Ho fatto smontare il cassone tra le proteste di Nino, pensando fosse un topo o qualche ape impegnata a costruire il nido, ma non abbiamo trovato niente!".

"Il rumore continua ora?".

"Certe volte lo sento ancora... ma Nino dice di non averlo mai sentito! Un’ altra volta ho trovato pezzi di muro sul pavimento del corridoio, ma il muro era intatto sia negli angoli che sul soffitto...".

"Incredibile! Cosa pensi di tutto questo?".

"Io penso semplicemente che esistono persone predisposte a percepire queste cose! E' impossibile che non esiste una terza dimensione... nulla si distrugge quando muore; da qualche parte deve pure andare l'anima, lo spirito... chiamalo come vuoi!". Rosi sembrò quasi entusiasta di espormi le sue conoscenze sull'argomento.

"Mi stai facendo quasi paura...".

"Ahahahha!". Tipica risata da fumatrice accanita. "Magari sei anche tu un medium e non lo sai...". Il suo volto tornò serio.

"Ma dai!".

"Ma dai?? Sai che c'è gente che ha scoperto di essere medium per caso? Queste facoltà non si presentano dall'oggi al domani; ci vuole un determinato ambiente, la presenza di certe persone...".

"Ma tu mi stai parlando di... sedute spiritiche??".

"Eh si! Non stavamo mica parlando di spiriti??". Un’ altra sigaretta si accese tra le sue labbra. 

"Dai, lasciamo stare...". 

"Sei stato tu ad andare sull'argomento! Lascia... offro io!".

"Grazie Rosi, ci vediamo!". Mi incamminai all'uscita del locale sentendola sbraitare dalla sua postazione : "Ciao Tom! Saluta Silvia!".

Il buio del parcheggio si fece fitto e danzante di ombre; guardai più volte alle mie spalle mentre con passo veloce raggiungevo la mia vettura. Nella strada di ritorno, ogni attraversamento pedonale si animò di inesistenti figure di gatti o animali indefiniti, frutto della mia troppo sviluppata immaginazione.

Giunto nel cortile di casa, notai la luce ancora accesa nella "sala lettura" : Silvia doveva ancora essere sveglia a sistemare i suoi preziosi libri. 

Dirigendomi verso l’ immensa biblioteca, la ritrovai distesa sul divano nel dolce mondo dei sogni. Sul suo abbondante petto giaceva una copia di "Histoire de Madeleine Bavent", con il segnalibro inserito ancora nelle prime pagine. Indossava la sua camicia da notte preferita : bianca e decorata di fiorellini rosa. Con un gesto delicato, spostai il libro e la alzai dal divano reggendola tra le mie braccia. Non avvertii minimamente il peso della sua formosa figura ancora abbandonata in un sonno innocente. Impegnato a scendere i gradini, mentre ero prossimo a giungere in camera da letto, Silvia strinse le sue braccia intorno al mio collo, sospirando deliziosamente. La posai sul letto come un fiore appena colto si posa in un vaso.

"Notte gioia...".

"Notte... amore".

Dopo aver osservato la sua bellezza notturna per qualche minuto, decifrai che era tempo di vedere un film che non avrebbe intensificato il rumore dei mille pensieri nella mia mente. La scelta cadde, come di consueto, su "48 ore". 

Chiudendo la porta del salotto, il silenzio mi permise di udire dei rumori al piano di sopra :  pesanti passi sul pavimento che non sembrarono provenire dalla camera da letto, ma bensì dalla stanza che battezzai col nome di “sala musica”, poiché lì si trova la mia vasta collezione sonora. Forse qualcuno era entrato dalla porta sul retro in cucina? Le gocce di sudore mi bagnarono immediatamente la fronte. Facendomi coraggio, mentre quei passi non cessavano, salii le scale. Reggendo il corrimano, mi accorsi che la mano destra tremava; tutto il braccio tremava.  Davanti alla porta chiusi nervosamente i pugni,  pronto a colpire chiunque egli fosse. Il mio sconcerto fu enorme quando spalancai la porta della "sala musica" con un calcio : nessuno! Il vento accarezzò leggermente le tende della finestra aperta; tutto intorno sembrò intatto.

"Che succede?". Sobbalzai violentemente a percepire la voce di Silvia che stava a piedi nudi sulla porta.  

“N-non hai sentito niente?”.

"Perché? No... ma che hai?”. 

"Ho sentito dei passi provenire da qui, così sono salito e come vedi non c'è nessuno...".

"Oh... ti sarai immaginato, sai a continuare a parlare di..."

"NON L'HO IMMAGINATO!". Il mio urlo le fece fare un passo indietro.

"Ti dico che c'era qualcuno qui… forse è ancora in casa..."

"Ok, ma cerca di calmarti ora ti prego... ti credo ok? Diamo una controllata alla casa."

"Si perdonami, io controllo i piani di sotto tu quelli di sopra va bene?".

Ispezionammo la casa da cima a fondo, controllando ogni angolo, ogni possibile uscita e anche le cantine : il nulla assoluto. Ne un impronta, ne una porta scassinata, nessuna finestra manomessa : eppure quei passi dovevano appartenere ad una persona. Silvia mi assicurò che fu svegliata dal rumore del mio calcio contro la porta, per poi raggiungere la “sala musica”.   

Dopo la vana ricerca, ci sedemmo al tavolo della cucina. Silvia attaccò a parlare a bassa voce :

"Senti Tommi, è capitato a molte persone di farsi suggestionare sentendo parlare di medianità, sedute spiritiche, apparizioni... può darsi che tu abbia percepito ciò che stavi immaginando in questi giorni, aiutato anche dalla tensione...”.

"Forse hai ragione, ma forse ho anch'io facoltà medianiche e lo sto scoprendo adesso, non può essere?". La mia domanda le fece abbassare gli occhi sul tavolo.

"Tutto è possibile lo sai anche tu, ma fino a d'ora non sei stato in condizioni di poter percepire entità... voglio dire : la mia sola presenza non basta a far manifestare qualcosa, ci vuole ben altro...". Silvia riprese a guardarmi negli occhi.

"Già...". Il mio sguardo nel vuoto.

"Hey! Ti faccio una camomilla poi ce ne andiamo tutti e due a nanna ok?”.

“Grazie, sei adorabile”.  

Gli incoraggiamenti di Silvia, mi fecero gustare al meglio l'ottima camomilla, ma nel mio cervello martellava a intervalli irregolari la seguente domanda : "Suggestione o realtà?". 
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Profilo Autore: luke676  

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L'inesorabile ticchettio della sveglia a muro, lo scricchiolare dei mobili, le infinite forme beffarde disegnate dalla mia mente al buio; dio quanto odio l’insonnia! Ancora scosso dall’episodio della sera prima, non riuscii a liberare completamente la tensione dal corpo. Alla mia destra Silvia dolcemente cullata da Morfeo, emetteva dolci sospiri.

"Beata te!". Pensai rigirandomi nel letto ormai zuppo dell'essenza insonne. "Beata te mica tanto! Se fosse successo a me, probabilmente sarei impazzito".

I pochi momenti in cui il mio corpo fu prossimo ad abbandonare il mondo della veglia, furono più volte interrotti da un suono acuto. La caratterista di questo suono era simile ad un campanello o meglio ancora ad un citofono. Sicuro di percepirlo realmente, arrivai al punto di alzarmi dal letto per ispezionare la casa. Per rispetto non la svegliai; ebbe già abbastanza  tormenti in quei giorni. Cercai conforto in una sigaretta. Invano, i miei nervi si agitarono ancora di più : conseguenza dell'inutile atto di immettere nicotina nei polmoni. Sfinito, ritornai a letto.

Illuminata dal caldo sole estivo penetrato dalla persiane, l’odiosa sveglia segnò le 7.15.  Proprio osservando le lancette scandire tristemente lo scorrere del tempo, sentii finalmente giungere il dolce tepore del sonno. Piacere interrotto da una mano sul mio petto : la sua candida mano.

“Sono le sette…”.  

“Mmmm… Ho visto…”.

“Ma non hai dormito?”.

“No, dormirò pazienza. Oggi andiamo a casa tua?”.

“Si, ho un po’ di cose da prendere…”.

Quanto fu piacevole sentirla parlare sottovoce; quasi dimenticai la triste notte insonne. 

L'appartamento di Silvia si presentò abbastanza ordinato nonostante la sua assenza. Riconobbi immediatamente il profumo di bergamotto al suo interno : piacevole ricordo dei nostri primi incontri. In cucina vi erano i resti dell’ "ultima cena" prima della presunta partenza, una pigna di piatti nel lavello e un pavimento che lasciava un poco a desiderare.

"Scusa il macello in cucina". Disse un po’ imbarazzata.

"Sei seria? Io faccio di peggio!".

"Lo so...".

Dal balcone della cucina si poteva ammirare l’affascinante paesaggio di Cassinetta Di Lugagnano caratterizzato da  lunghi prati verdi e grandi fattorie. La stanza da letto, rispecchiava in pieno la dolce personalità di Silvia : il letto munito di lenzuola e cuscini neri; fate da collezione, elfi e gnomi posti sulle varie mensole; i muri coperti di poster e i ritagli di giornale dei suoi gruppi musicali preferiti; ma quello che mi colpì più di tutti fu l’enorme libreria. Leggere le apriva la mente, facendole amare cose che non avrebbe mai pensato di poter apprezzare.

Quel giorno, la sua primaria preoccupazione fu appunto quella di traslocare tutti i suoi libri in appositi scatoloni per poi trasferirli a casa nostra (ormai la chiamavamo così). 

Fu una lunga e faticosa impresa! Tra i suoi infiniti libri riconobbi : "L'orrore di Dunwich" di H.P. Lovecraft, "L'inferno avrà i tuoi occhi" di Silvia Montemurro, "La Colpa" di Lorenza Ghinelli, "I racconti vol. 1" di Edgar Allan Poe, "Il corpo e il sangue di Eymerich" di Valerio Evangelisti e la saga completa delle avventure di Mario Corvino; il giornalista di cronaca nera inventato da Massimo Lugli.

Fu stupendo osservarla maneggiare i libri come se fossero pezzi da museo.

"Sai, il proprietario della mia libreria preferita una volta mi ha detto che alcuni libri non li legge per paura di rovinarli aprendoli...". Disse accarezzando tra le mani un libro di Charlotte Armstrong.

"E fai anche tu cosi?".

"Umhh... no!". Diventò rossa in viso.

Ormai a lavoro ultimato, Silvia mi passò gli ultimi libri rimasti sugli scaffali. Arrivai così a reggere un libricino rosso senza intestazioni ed interamente cosparso di polvere.

"Da dove sbuca questo?". Le domandai stupito.

Lei avvicinandosi prese il libro dalle mie mani con l'incredulità stampata sul volto : "Non so... mai visto prima...".

Incuriosito soffiai via la polvere dalla copertina e lo aprii. L'inconfondibile suono delle pagine tenute insieme a malapena dalla colla arrivò puntuale, insieme al miasma di muffa.

"Sembrerebbe un diario...". Osservai intento a decifrare la scrittura logorata dal tempo. A monte della prima pagina vi era solamente la seguente scritta in corsivo, con tutte le caratteristiche di una firma : Fabienne.

"Chi è Fabienne? Qualche tua amica?".

"Fabienne?? No, non conosco nessuna Fabienne...".

Silvia si sedette al mio fianco, sul pavimento invaso dagli scatoloni. Iniziai a leggere ad alta voce :


"17/06/1976 :

Davvero tristi sono le ragnatele tessute dal destino. Appaiono lugubri agli occhi di chi attende invano compiersi il proprio fato. Sono invece misere, squallide e funeste per chi ha già incontrato una sorte indesiderata. Colui che apre il "terzo occhio" è solitamente invidiato e venerato dalla massa; essa è inconsapevole dell'inferno vivente in cui sprofondano appunto migliaia di persone "privilegiate" di possedere questo dono. Vorrei che qualcuno mi privasse di questa aberrante vista, portatrice di deliranti visioni. Per buona parte, esse sono imbevute del più atroce degli orrori. Di rado mi è capitato di assistere a piacevoli scenari, sempre invocati dalla mia anima afflitta dal dolore ."

Lessi irrequieto le sinistre righe interrompendomi a tratti per decifrare la grafia confusa; chi scrisse quelle righe era sicuramente in preda ad una crisi di panico.

"Sembrerebbe che questa Fabienne, sempre se la firma in prima pagina è la sua, ha le tue stesse facoltà Silvi!".

"B-basta! Finiamo di sistemare qui...". Disse scattando in piedi e dirigendosi verso la finestra.  

Lentamente mi avvicinai a lei, avvolgendola in un tenero abbraccio da dietro : "Che c'è amore?".

"Niente...". La voce affannata. "E' solo che... ogni volta che ne sento parlare, rivivo tutto...".  

"Scusa, non avrei mai dovuto leggere questo diario in tua presenza...".

"Ma no, figurati. Non potevamo sapere cosa conteneva quel libro, come ti ho detto non mi sono mai accorta di averlo... è molto strano!".

"Forse l'avrai comprato e non te ne ricordi, o qualcuno l'ha dimenticato a casa tua...".

"Non credo, nessuno ha mai portato libri a casa mia... ricordo sempre tutti i libro che compro...". Non misi mai in dubbio la sua memoria eccezionale; nemmeno quello volta.  

"Beh, io credo che...". Un rumore assordante provenne dalla cucina. Giunti sulla soglia, notammo tutti i piatti presenti nel lavello a terra in mille pezzi.

"Oh cazzo!". Imprecò Silvia, attenta a non calpestare tutti quei rimasugli di stoviglie.

"Ma...com’è possibile?”. Leggermente sconvolto, non mi accorsi di avere ancora tra le mani quel memoriale rosso sangue.   

"Buttalo via...". 

"Cosa?". Domandai sorpreso.

"Il diario... buttalo via!".

"Ma dai... ma non crederai mica che..."

"Tomas!". La voce ferma, lo sguardo serio, quasi minaccioso. "Ho detto buttalo via!". Un brivido percorse tutta la mia spina dorsale.

"I-io..." Mi resi conto di soffrire di balbuzie in quel momento.

"Dammi qui, facciamo come ti dico...". Silvia strappò il diario dalla mie mani buttandolo in un sacco di plastica.

"Domani va messa fuori la carta? Bene, questo è il mio ultimo contributo da cittadina di Cassinetta Di Lugagnano...".

"Si, ma mi sembra tutto incredibile...".

"Lo so, ma è meglio così...".

Ritornando in camera, concludemmo il lavoro. Lei non sembrò badare molto a quello che era appena successo; forse fu abile a camuffare la sua inquietudine dietro i suoi celestiali sorrisi. Nel tardo pomeriggio portammo fuori casa l'immondizia. Uno di quei sacchi trasparenti conteneva il diario sbucato dal nulla, insieme ad una discreta quantità di cartacce. Allontanandoci in macchina, sommersi da infiniti scatoloni,  fissai quel sacco domandandomi quale forza avevo "scatenato" leggendo quelle righe.
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Profilo Autore: luke676  

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Acqua Dolce, com'eri bella quella mattina, ricordi?
Sposa a quindici anni, donna di questi miei anni, ma oggi dove sei? Ma dove sei?
Giovani donne, la danza infiamma queste riserve sorelle
Gli uomini già morti, Wovoka ha visto che saranno risorti, per i bianchi sono insorti!

Wounded Knee  e il fiume si riempie di sangue!
 il mio popolo al massacro piange!
 Wašíču, ascolterai di guerra canti!
 pagherete caro tutti quanti

Io da ragazzo prendevo per gioco
le storie udite al fuoco
uccisioni che non capivo
Le violenze a Sand Creek che vedere io non potevo,
ma che alla luna immaginavo
Le nostre ragazze violate e lasciate
su quel prato disperato
un sogno calpestato
Da quel giorno noi non abbiamo più dimenticato,
ma il mio popolo viene cancellato!



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Profilo Autore: fgl  

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Salve! Ho iniziato a scrivere questo racconto da un po' di tempo, in un particolare momento della mia vita e per questo ho deciso di pubblicarlo solamente adesso. Se questo capitolo sarà di vostro gradimento, posterò i successivi.



Il treno avanzava e il cane piangeva. Giaceva assopita la ragazza sui sedili del vagone di coda; trasognante, speranzosa e incerta. In un anno aveva girato l’intero mondo: giù per il rovente Kenya e su per le Langhe; col suo povero cagnetto dal quale aveva assunto l’espressione sognante. Luogo per luogo la sua vita assumeva, ogni volta, una forma diversa. Il suo fiume in piena aveva incontrato numerosi ostacoli- rocce ammassate, alberi sradicati e persino rifiuti gettati dall’uomo moderno-; ma le sue acque sguizzavano or ora su verso il cielo, per poi gettarsi di continuo in una putrida coltre di veleno. Come una lastra di vetro rotto, si contorceva dal dolore il povero cagnetto; con la speranza che le sue ossa avessero fatto una fine migliore. Le intere giornate passate sull’orlo di un freddissimo marciapiede newyorkese, gli avevano intricato le ossa, recandogli una sofferenza maggiore; più di quanto qualsiasi mentecatto potesse credere. E la ragazza, lei coi suoi occhi cristallini, per simbiosi animalesca, si raggrovigliava come il filo di una corda annodata in fretta. La natura là fuori dormiva estasiata e la sua notte, col pallido chiarore assassino invocava i tormenti della mente, pregando loro di soffocare gli indomiti cunicoli dei più angosciosi essere umani. Le luci principali si spensero, quelle d’emergenza ripresero vita e una calma apparente invase i vagoni, nonostante il martellante rumore del vecchio Intercity. Non si ha più niente da dire dopo 12 ore di viaggio, si esaurisce anche il più banale e frivolo dei discorsi. Anime sconosciute che dialogano solo per circostanza, per arrampicarsi alla vita degli altri con il solo scopo di non annegare tra le acque dei propri tormenti; questo è il vero spirito di sopravvivenza. E quando tutto tace, quando la notte si scaraventa vorticosamente sui finestroni del treno, non rimane che farla entrare, ma considerandola sempre un’ospite inattesa. Spicca il volo come un predatore dagli artigli ormai poco solcanti, segnati dal tempo e dal dolore. Non desidera una preda; ne brama migliaia, milioni, miliardi, una specie intera. Una infinità di uomini pronti a farsi percuotere le budella. Questo, al famelico predatore non basta;  si trasforma in un insaziabile licantropo pronto a trangiugare fino all’ultima goccia di aspro, acre, amaro e velenoso sangue.

Tutte le prede giacevano inerte sulle poltrone del treno, mentre il sole prendeva ad albeggiare, tinteggiando il cielo nuvoloso con una vernice vagamente dorata. Scaraventati sull’orlo del precipizio, dove l’anima è lucente a tratti, si apprestavan a cominciare un nuovo giorno, col solo scopo di peregrinare verso nuove mete. Povere creature impavide e odiose! Gli bastava notare un barlume vita per non perire al loro inconsistente futuro. E mentre il nuovo dì prendeva pian piano forma, la ragazza si soffermava ad osservare il vento, che di consuetudine muoveva le foglie appassite e pallide, scaraventandole da una parte all’altra del ponte nebbioso. Il suo nome era Aurora. Ella era una ragazza come tante altre, ma altresì diversa da quelle stesse altre. Queste ultime erano tristemente uguali; stampate con lo stesso inchiostro e la stessa carta ruvida, di quella che si trova a basso costo e risulta essere per questo maggiormente venduta .Era incredibilmente strana, eccentrica, o per meglio dire egocentrica e addirittura megalomane; di gran lunga differente dai modelli che la società proponeva. Aveva tinto i capelli con ogni tonalità del lilla, da quello grigiastro smog a quello violaceo - lo stesso colore delle profumate viole; era incantate dal profumo di quei penetranti fiori; le rievocavano la  morte e paradossalmente le considerava un turbine di vita-. Per un considerevole periodo della sua esistenza aveva desiderato portarli azzurri come il cielo, ma “sembra troppo maschilista”, ripeteva spesso tra sé e sé! E una femminista come lei mai avrebbe potuto compiere un sacrilegio tanto sovraumano. Quello stesso identico cielo, dipinto di lilla, era  senza dubbio alcuno, di gran lunga  più bello. Anche il cielo, nonostante la desinenza maschile, secondo la sua arguta mente doveva essere di sesso femminile; era immensamente leggiadro e infinitamente bello, così come lo era ogni singola donna. Aurora amava catturare con la sua camera ottica- rovinata dal tempo e dai sogni vani- quei momenti, come ogni romantico tramonto, durante i quali il cielo si tinge di rosa per poi candeggiarsi, solitamente al crepuscolo, di quelle tonalità di lilla che tanto adorava; le stesse dei suoi variopinti e leggiadri capelli setati.

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Profilo Autore: Anna Santoro  

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