Chiederò allo spaventapasseri

di portarmi oltre la maggese

per giocare alla contadina

un tiro scortese.

Perché come il fantoccio, anche

io ho le braccia aperte a tutti

fino a che non mi stancherò

di osservarli, solo, i frutti.

Quando la contadina vedrà i

pennuti intenti a banchettare

si accorgerà tardiva che da molto

era ormai giunto il tempo di arare.

E perché esattamente come lui

io ho smesso i panni degli altri,

ogni volta che la vedrò, guarderò

compiaciuto le orme dei miei passi scaltri.

Ma le impronte delle mie scarpe

sul terreno del suo podere

finiranno per cancellarsi col

passare inesorabile delle sere.

Anche il campo della padrona con il

suo humus ricco di particelle organiche

ha più che mai bisogno, oltre all’aria e

all’acqua, del sole con le sue doti benefiche.

Perché senza la vanga e la semina negli

anni, senza la raccolta e l’irrigazione

la terra sarà sempre più arida, con lo

spaventapasseri verso la riconciliazione.

Ma se come nella favola di Hesse mette

le radici ai piedi, tra gli uccellacci

la villana non potrà che guardarli pungolare,

inerme… come l’uomo fatto di stracci.

Come una piantina che non trova linfa,

se mette le radici al suo passo scortese,

muore… morirà nel cuore trovandosi

tracotante, abituata; abbandonata a maggese.        

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Profilo Autore: Mirko D. Mastro  

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Commenti  

numerouno
+1 # numerouno 13-05-2018 07:31
Bello squarcio di vita agreste e di riflessioni metaforizzate.
Silvana Montarello
# Silvana Montarello 13-05-2018 19:17
Riflessione molto profonda, complimenti.

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