Lo svegliò il rumore delle onde e la sensazione di bagnato che sentiva addosso.
Aprì gli occhi e si rese conto di essere disteso sulla spiaggia, sul ciglio dell’acqua, che con ritmo monotono, lo inondava e si ritirava lasciandolo bagnato e infreddolito.
Si guardò un po’ intorno prima di accennare ad alzarsi, quasi a voler decidere se ne valesse la pena o se fosse stato meglio richiudere gli occhi e sprofondare nuovamente nel nulla da dove sembrava essere spuntato.
Era buio, non si vedeva molto, intuì che si trovava sotto degli enormi scogli che gli impedivano la vista di qualunque lembo di panorama.
Richiuse gli occhi sperando di ricadere nell’oblio, ma ormai la coscienza bussava alla porta dell’anima e non gli permetteva di perdersi.
Così, di contro voglia, si tirò su senza alzarsi del tutto. Gattonando si allontanò dall’acqua spostandosi dove la sabbia era asciutta, si lasciò nuovamente andare come se avesse fatto uno sforzo immane.
Rimase immobile, mentre dentro di lui una voce diceva “voglio dormire, riposare, questo solo voglio”. Quando tornò ad avere coscienza di sé, riaprì gli occhi e tornò a guardarsi intorno.
Non era più buio, adesso il sole illuminava tutto, ma di un giallo strano come se qualcuno avesse mischiato un po’ di grigio al colore del sole.
Questa volta si alzò e quando fu in piedi, guardò quegli enormi scogli che sembravano montagne.
Gli impedivano qualunque visuale, così non riusciva a capire dove si trovasse.
Girando gli occhi vide una donna seduta su di una sporgenza vicino all’acqua.
“Meno male” pensò, non sono solo, si avvicinò a lei e dopo averla salutata, le domandò se sapesse dirgli dove si trovassero.
Lei si voltò dalla sua parte con aria annoiata e dopo averlo squadrato per qualche minuto gli rispose <<sull’isola>>
<<isola? Che isola, me lo può dire?>>
Lei sembrava quasi scocciata dalle sue domande, comunque rispose ancora <<Isola Stefi>>
Lui rimase interdetto, si allontanò guardandosi intorno sperando di vedere qualcun altro a cui potersi rivolgere.
Non c’era nessun altro nei dintorni. Mal volentieri decise di rivolgersi ancora a quell’unica persona che aveva trovato <<scusi, non vorrei importunarla ancora, ma io penso di aver avuto un problema, non so nemmeno di cosa si tratta esattamente, forse ho avuto un malore sono rimasto svenuto, fatto sta, che in questo momento non riesco ad orientarmi, non so davvero dove mi trovo e perché>> Lei lo guardò ancora con l’aria annoiata. “questa donna è senza cuore” pensò lui, infastidito da quell’espressione annoiata.
Lei interruppe i suoi pensieri con una risposta che lui definì stizzosa <<siamo sull’isola Stefi, mi pare di averlo già detto>>
A questo punto il poveretto si sentì già preda dello sconforto. Si guardò ancora attorno.
Da una parte il mare e -separati da quel lembo di spiaggia- quegli enormi scogli.
Per quanto cercasse di spaziare con lo sguardo, niente, solo mare e scogli, montagne di scogli.
Gli venne una leggera nausea al pensiero di rivolgersi ancora a quella specie di sirena che se ne stava appollaiata sul suo scoglio senza curarsi di nulla.
<<chiedo ancora scusa, ma mi potrebbe dire come si fa per uscire da qui?>>
Lei distolse gli occhi dall’orizzonte che sembrava intenta a fissare e gli si rivolse con uno sguardo che sembrava riflettere ancora l’infinita distesa del mare. <<Ci sono due strade, o va per mare o su per gli scogli>> a questo punto l’avvilimento fu totale. Lui valutò per un momento l’ipotesi di lasciarsi cadere e rimanere immobile, finché qualcuno non fosse arrivato a portarlo via, comunque, si accasciò e tenendosi la testa tra le mani, cercò di ricordare una qualunque cosa che gli potesse far capire il perché di quella situazione.
“forse stavo nuotando e ho avuto un malore per cui la corrente mi ha portato qui o sono un naufrago di qualche nave che è affondata.
Non riesco nemmeno a ricordare bene chi sono.
No! Un momento! Io so chi sono: mi chiamo Andrea e faccio l’avvocato.
Questa mattina mi ricordo che ho fatto colazione, poi sono uscito di casa e poi… Non ricordo più nulla! Non mi ricordo di essere andato al mare né di aver preso una nave.
Com’è possibile che mi trovo su questa striscia di sabbia con davanti il mare e alle spalle montagne di scogli?
Potrei provare ad arrampicarmi, ma mi sento così debole, e sembrano davvero duri da scalare”.
Mentre faceva questi pensieri guardò nuovamente quella figura, non si muoveva di un millimetro, guardava fisso verso l’orizzonte nel punto dove mare e cielo diventavano un tutt’uno. Si perse anche lui con lo sguardo in quella distesa azzurra. Non c’era l’ombra di una barca, nulla di nulla.
Tornò a guardare la donna. “Che diamine” pensò, si alzerà prima o poi da lì e dovrà pur mangiare o tornare a casa. Voglio proprio vedere come farà ad andare via da qui.
Decise, dunque, di non rivolgersi più a lei, ma di aspettare le sue mosse.
Si distese supino sulla sabbia e si lasciò andare con l’unico scopo di sbirciare ogni tanto i movimenti di quella assurda creatura.
Scivolò senza accorgersene in una sorta di dormiveglia. Quando a un certo punto rivolse lo sguardo là, dove la donna avrebbe dovuto essere, ebbe un piccolo sussulto.
Il punto era vuoto, lei se ne era andata. Scattò in piedi sentendosi improvvisamente in preda alla paura. “Dio mio! Fai che non sia sparita definitivamente”.
Imprecò mentalmente, mentre i suoi occhi vagavano nella ricerca spasmodica di quell’unica figura.
La vide improvvisamente; china sulla sabbia, sembrava stesse raccogliendo conchiglie.
Le si avvicinò con un po’d’imbarazzo, ma avvertendo una certa intima gioia nell’averla ritrovata.
<<Posso chiederle cosa sta facendo?>> disse timidamente.
Lei alzò lo sguardo e non rispose alla domanda con parole, ma mostrò, tenendola in mano una conchiglia; era un paguro.
<<Ah!>>fece lui <<Le colleziona?>> chiese ancora, deciso a non lasciarsi smontare da tutta quella freddezza. <<Cibo>> fu la risposta della donna, che questa volta aveva parlato, tenendo lo sguardo fisso sulla conchiglia che aveva in mano. “Cibo,” ripeté lui mentalmente. A quella parola si rese conto che dovevano essere passate molte ore da quando aveva fatto colazione, eppure non avvertiva nessun bisogno di mangiare.
Adesso la sua unica esigenza era capire come uscire da quella situazione, possibilmente senza doversi arrampicare su quegli scogli. Si sentiva troppo debole anche solo per prendere in considerazione una simile eventualità.
Restò a guardare la donna che teneva tra le mani quel paguro.
“Lo mangerà crudo” pensò tra sé, ma senza osare rivolgerle la domanda.
Senza troppa convinzione, anche lui si mise a cercare conchiglie. Piano, piano si fece strada in lui l’idea che se avesse trovato dei paguri da regalare alla donna, poi lei sarebbe stata più gentile e magari finalmente gli avrebbe rivelato qualcosa su quella strana situazione.
Ne trovò uno, lo prese con due dita e subito lo porse a lei che non notò il gesto immersa com’era nelle sue faccende.
<<Ecco, ne ho preso uno tenga>> disse ripetendo il gesto di prima. Lei si alzò, prese la conchiglia tra le mani, la rigirò poi facendo cadere da questa qualche granello di sabbia dorata disse: - È vuota, e la buttò via, tornando a concentrarsi sulla sua ricerca “che stupido” si disse, “potevo controllare prima, sono proprio un babbeo.”
Intanto un altro pensiero si stava facendo strada in lui. Forse questa donna era una naufraga come lui, forse nemmeno lei sapeva dove si trovassero e quale strada seguire per uscire da lì.
Magari “Isola Stefi” se lo era inventato per non rivelare che si trovava nella sua identica situazione.
Decise di indagare in quel senso, le si avvicinò dopo aver preso un altro paguro: <<Eccone uno buono, le disse porgendoglielo. Come li mangia?>>
<<Non sono per me>> fu la risposta <<a no? Li porta a casa?>> <<No.>> di nuovo risposta secca.
“Dio mio che donna difficile!” pensò aggrottando le sopracciglia.
Possibile che non si rendesse conto, di quanto lui avesse bisogno d’aiuto?
Rinunciò a parlare con lei e si mise ad ispezionare con lo sguardo quell’enorme massa di scogli cercando di intravedere un qualche punto più facile dove arrampicarsi.
Intanto, il sole calava e le ombre disegnavano strane figure tra i frastagliamenti delle rocce. A un certo punto ebbe come l’impressione che tanti corpi vi fossero ammassati.
Sembrava che quelle montagne fossero fatte da corpi pietrificati.
Un moto di paura lo fece rabbrividire nel profondo, distolse lo sguardo cercando ancora la donna, che, per quanto fredda è priva di ogni forma di gentilezza, almeno lo riportava in una dimensione umana.
Quando la cercò però ebbe l’amara sorpresa di non trovarla.
Chiuse gli occhi e si ripeté mentalmente
“niente paura, tornerà” si mise a contare, non sapeva nemmeno lui perché contasse, ma decise che sarebbe arrivato a cento prima di riaprire gli occhi.
Imperterrito continuò a contare e solo al centesimo numero aprì gli occhi per cercarla ancora.
Si ritrovò al buio, tanto valeva cercare di dormire e aspettare la luce di un nuovo giorno.
Riprese a contare dandosi l’infinito come numero da raggiungere.
Non fu in grado di ricordare a quale numero fosse arrivato quando riapri gli occhi.
Vide che il sole di quel giallo strano era tornato.
Adesso sentiva chiaramente il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli.
Per un lungo momento si lasciò cullare da quel rumore familiare, poi si ricordò di cercare la padrona dell’isola.
Vagò con lo sguardo sulla spiaggia e sugli scogli che affioravano dall’acqua, fino a quando un tuffo al cuore gli disse, prima ancora dei suoi stessi occhi, che lei era li.
Qui c’è qualcosa di assurdo, lo capiva bene lui, a questo punto.
Non poteva essere normale che loro due fossero gli unici su quella spiaggia, che vi stessero trascorrendo dei giorni senza nessun motivo apparente.
Provò a riflettere ancora, specialmente sul fatto che non sentisse gli stimoli della fame, seppure fosse così debole da rifiutarsi di fare nemmeno il più semplice tentativo per salire attraverso gli scogli.
Osò guardare di nuovo verso quelle rocce. Ora alla luce del sole non sembravano più tanto tetre.
Ma non appena fissò il suo sguardo sulle sporgenze alle quali avrebbe potuto attaccarsi per un eventuale scalata, ecco che gli parve di scorgere dei volti, come fossero scolpiti nella pietra; ve ne erano tanti, ogni sporgenza un volto, ogni volto un’espressione diversa: stupore, dolore, disperazione, rassegnazione.
No! Basta! si disse e usando tutta la sua determinazione, riuscì a distogliere lo sguardo da quei volti che sembravano esercitare una strana attrazione; come se lo aspettassero, affinché lui stesso potesse far parte di quelle rocce.
Raggiunse la donna che stava passeggiando sulla spiaggia e sembrava godere della frescura che le onde lasciavano sulla sabbia ritirandosi.
Si mise a camminarle vicino in silenzio, ormai aveva rinunciato a farle domande, l’importante ora per lui era che ci fosse, che lo tenesse lontano dagli scogli.
Seguendola ebbe come l’impressione che lo stesse guidando per un qualcosa che però lui non riusciva a spiegarsi.
Le onde che salivano a lambire la spiaggia per poi ritirarsi gli massaggiavano i piedi. Si sentiva gratificato da questo massaggio benefico. Così decise che non si sarebbe più staccato dal fianco di quella donna, che seppur con assoluta indifferenza sembrava farle del bene.
Finita la passeggiata lei andò a sedersi sul suo scoglio preferito e riprese a guardare l’orizzonte. Lui non se la sentì di sederglisi vicino, perché in quel punto l’acqua del mare s’infrangeva con forte vigore sullo scoglio e lo faceva stare male, gli faceva tornare il senso di paura.
Decise di rimanere sulla spiaggia a guardarla da lontano; l’importante era sapere di averla lì.
Cercò di seguire la linea dello sguardo di lei che spaziava attraverso quel mare infinito.
A un certo punto proprio mentre il sole sembrava tuffarsi nell’acqua ebbe come l’impressione di vedere qualcosa proprio nella linea dell’orizzonte.
Quando cercò di guardare meglio, era sparito tutto.
Il buio arrivò improvviso e non gli restò che contare di nuovo verso un numero infinito con la speranza di rivedere un nuovo giorno e quella strana creatura così distante eppure così vicina.
Aprì molte volte gli occhi quella notte, trovando sempre ad aspettarlo un buio profondo.
Tanto, che si convinse che ormai questo era il suo destino: rimanere disteso su una spiaggia sperduta in mezzo a chi sa quale oceano, senza più rivedere la luce del giorno.
Perduto per sempre in un buio eterno.
Si abbandonò con rassegnazione al suo destino, chiuse gli occhi ritenendo ormai inutile aprirli.
A un certo punto sentì gocce d’acqua fredda colpirgli il viso.
“sta piovendo” pensò, assolutamente incapace di reagire.
- “Ei, Ei”, questa voce la riconosceva, era la donna dell’isola, lo stava chiamando.
“Che bizzarra creatura”, si disse, ora che non desidero più parlarle, si è decisa a cercarmi lei.
Di malavoglia aprì gli occhi, lei era lì in piedi, vicino a lui che giaceva supino, gli stava allungando una mano come a volerlo aiutare ad alzarsi.
Fece uno sforzo per afferrare quella mano.
Quando guardò in alto si accorse che non era più vicino al mare, ma proprio sotto gli scogli, anzi aveva, adesso, la netta impressione di far parte di quelle rocce.
Si sentiva in effetti così indurito, da non riuscire a muovere più nemmeno un muscolo.
Lei imperterrita gli tendeva la mano: - Su, Su, diceva rivolta a lui, ma senza tradire nessuna emozione.
Che rabbia si sentiva salire adesso lui. “possibile che questa donna non riesce a provare nessuna pietà per un povero uomo disperato?
Allora, come mai mi tende la mano come se volesse aiutarmi a sfuggire agli scogli che ormai mi stanno incorporando?
Se riesco a sollevarmi e se riesco a parlarle, questa volta mi dovrà rispondere.
Mi deve dire chi è, e che cosa vuole da me.
Raccolse tutte le sue energie e si aggrappò a quella mano tesa, che improvvisamente dimostrò una forza sovrumana strappandolo letteralmente dagli scogli che sembravano anch’essi esercitare una forza micidiale per trattenerlo.
Alla fine, riuscì ad alzarsi e si trovò di fronte a lei che gli teneva saldamente la mano.
La guardò negli occhi e si sentì invaso da una gioia profonda.
Non ti lascio più le disse, qualunque cosa farai, ti starò attaccato addosso come l’edera al muro.
Lei sorrise per la prima volta da quando era cominciata quell’avventura.
- Allora seguimi, disse e tirandoselo dietro, si avviò decisa verso il mare.
S’immerse nell’acqua e iniziò a nuotare verso il largo.
Lui le si aggrappò come fosse una tavola da surf e senza rendersene conto, iniziò a muovere le gambe per aiutarsi a rimanere a galla.
Non volle girarsi a guardare indietro, anche se sentiva un languido richiamo.
Preferì concentrarsi sul rumore che veniva dal mare.
Sembrava che ora le onde gli stessero parlando, erano parole confuse, cercò di afferrarle e di capirle.
<<Stefi, ce l’hai fatta per Dio! Lo hai ripreso davvero dall’altro mondo questo. Stavolta la cena la pago io, te la sei proprio meritata.
Appena sistemiamo il nostro Andrea in reparto, ti porto giù al Paguro, te l’ho già detto come si mangia bene li, vero?>>
<<Stai zitto un po’, fammi vedere come va: Andrea, Andrea, ci sei? Sono Stefi, ci sei Andrea?
Commenti
Si tratta di un vecchio racconto che ho pubblicato insieme ad alcuni altri.
Penso di averlo scritto intorno al 2008.
Mi auguro di leggere presto anche il tuo.
Grazie ancora, un saluto da Ibla
Immensamente brava
bellissima la trama
scorrevole e densa in questa storia che lascia veramente di stucco.
Meriterebbe secondo me di essere messa su carta .
Straordinario racconto.
Un saluto di cuore Ibla ancora e di nuovo tutti i complimenti che meriti
Un carissimo saluto da Ibla.
Complimenti
Inoltre, con questa lingua molto stereotipata, i personaggi riescono quasi macchiettistici , e in un racconto che vorrebbe comunicare dei contenuti drammatici, non si può fare a meno di notare l'incongruenza.
Grazie per il tuo passaggio.
Grazie anche a tutti gli altri.