Una scuola superiore, più precisamente un liceo artistico. Carla è una professoressa di educazione fisica, insegna in quell’istituto da ben sei anni. Non si è fatta molti amici, essendo una persona molto riservata. Subito appena arrivata si era presa una cotta per un professore di musica; tra loro era nato un piccolo idillio, finito poi miseramente nel nulla non appena Carla si era accorta -ascoltando per caso una conversazione tra alcune colleghe- che lei era andata ad allungare ulteriormente una già lunghissima lista di aspiranti compagne del suddetto professore; il quale si dilettava nel dare la possibilità ad ognuna di esse di fare del proprio meglio per vincere la sfida e rimanere quanto più a lungo possibile padrona incontrastata del di lui nobile cuore.
Si riteneva già fortunata Carla, di aver potuto tirarsi indietro prima di mostrarsi pubblicamente come un’oca tra le oche. Lui non l'aveva digerito bene quel suo voltafaccia improvviso, un pelo prima della timbratura di rito. Così le aveva tolto il saluto. Ho già detto che non si era fatta molti amici, ma con una collega insegnante di arte aveva legato abbastanza, forse per il fatto che ogni anno si trovavano a tenere corsi -ognuno per la materia di pertinenza- negli stessi giorni: il giovedì e il venerdì.
Erano le uniche docenti ad essere presenti a scuola il venerdì pomeriggio "probabilmente perché non avevano una vita privata" a detta dei colleghi.
Trovandosi quindi molto spesso in quei pomeriggi -prima casualmente poi concordandolo- da sole davanti alla macchinetta del caffè, avevano finito per trovare piacevole intrattenersi in quel classico chiacchiericcio da pausa caffè.
Perché vi sto parlando di questa professoressa di educazione fisica che -a detta dei suoi colleghi- non ha nemmeno una vita privata? Sicuramente vi starete chiedendo. Ecco: il fatto è che la sua vita sta per subire una sorta di cataclisma che la sconvolgerà irrimediabilmente; e tutto questo solo per aver scelto di tenere un corso di zumba di venerdì pomeriggio.
Ma veniamo al racconto degli avvenimenti.
Alle sedici e trenta era finita la lezione, in verità dieci minuti prima, per dare modo ai ragazzi di prepararsi ed essere pronti a fiondarsi all’uscita al suono della campanella. Carla li aveva accompagnati e poi era tornata indietro per sistemare i suoi attrezzi in palestra, di solito si sbrigava e poi raggiungeva la collega che l’aspettava volentieri per fare insieme il pezzo di strada che le portava a un parcheggio nelle vicinanze dell’istituto. Ma quel pomeriggio se la stava prendendo comoda visto che Lucia le aveva detto durante la pausa caffè che non l’avrebbe potuta aspettare, causa un appuntamento dal dentista. L’aveva sentita dire il suo solito “ciao a tutti” che diceva sempre quando andava via, che ci fosse qualcuno da salutare o che non ci fosse nessuno; era così Lucia, sempre allegra e ben disposta con tutti.
Carla dopo aver messo a posto le sue cose si diresse in uno dei bagni nel seminterrato vicino alla palestra e si lavò le mani. Aveva chiuso il rubinetto e si stava asciugando con qualche fazzolettino che si era portata -nei bagni dei ragazzi non c’era mai carta- quando iniziò un fracasso infernale, urla agghiaccianti lì nel corridoio del seminterrato, qualcuno aveva chiuso -sbattendolo- il portellone antipanico; l’impressione era che qualcosa di grave stesse succedendo, di sicuro le voci che udiva erano quelle dei bidelli che si stavano azzuffando. La voce di Vittorio era straziante, urlava implorava pietà “non mi ammazzare nì non m’ammazzare” Carla si affacciò e stava per chiamarli nel tentativo di farli smettere, ma quello che vide le gelò il sangue nelle vene; mentre una lama di ghiaccio le tagliò le gambe in due: in fondo al corridoio c’era Romeo che tenendolo per i capelli costringeva Vittorio a stare in ginocchio e le puntava una pistola in fronte. <<Non ti diverti più adesso! E credi che basta chiedere pietà per cavartela. Ma io non ho pietà. Te l’avevo giurata e ora è arrivato il momento di pagare “strunzu.”>>
Carla che subito si era sentita di pesare due tonnellate e che non pensava davvero di riuscire a muovere nemmeno un solo passo, invece, aiutata dall’istinto di sopravvivenza riuscii a ritrarsi dietro la porta del bagno. Sentiva il cuore tamburellare e poteva giurare che nonostante le urla di Vittorio il suo cuore poteva udirsi per tutta la scuola. Cercò di calmarsi dicendosi che Romeo non aveva di sicuro intenzione di sparare, ma solo di spaventare Vittorio. Iniziò a pregare Dio “ti prego Dio! Non fare che succeda una cosa così spaventosa, ti prego! Ti supplico! Dio! Dio... Al terzo Dio -forse perché era impegnato altrove- uno sparo secco portò il silenzio nel corridoio.
Carla fu assalita da un tremito che le faceva battere i denti, il terrore le impediva qualsiasi pensiero.
Passò solo qualche secondo ma lei era convinta che fosse un tempo interminabile’ Poi iniziò a temere che Romeo avesse potuto vederla quando si era affacciata alla porta e forse ora era lì vicino pronto a sparare anche a lei. “Sono morta”, pensò. Poi stranamente la sua mente la riportò bambina e si vide mentre danzava per il saggio di fine anno. Dopo rivide la sua mamma correrle incontro con un sorriso angelico e tenderle le mani invitandola ad assaporare la felicità di stare stretta tra le sue braccia mentre la riempiva di baci e complimenti per la sua bravura nella danza. “sto rivedendo la mia vita all’indietro; è segno che sto per morire” se ci fosse stato lì uno psicologo le avrebbe detto che si stava trattando solo di fuga dalla realtà dovuta all’orrore per quello che le stava accadendo. Il rumore della porta antipanico che si apriva e si richiudeva la fece tornare alla realtà e le fece capire che Romeo stava risalendo; infatti, poco dopo sentì rumori al piano di sopra.
A questo punto Carla sembrò tornare in se e incominciò a pensare in quale modo sarebbe potuta uscire dalla scuola senza passare dall’entrata principale.
Poteva uscire dal retro passando dal cortiletto dove bastava scavalcare un’inferriata e trovarsi nell’oratorio della chiesa.
Si fece coraggio e sbirciò fuori. Il corpo del povero Vittorio giaceva per terra, Carla sentiva le lacrime scenderle sul viso. Evitò quella vista e raggiunse la porticina sotto la scala laterale da lì uscii nel cortiletto, si arrampicò e scavalcando entrò nel cortile dell’oratorio; nessuno poteva venirle in aiuto essendo chiuso di venerdì.
Dopo aver scavalcato anche il muro nel cortile della chiesa si ritrovò in strada e iniziò a correre per raggiungere la macchina.
Quando arrivò nel parcheggio ebbe una sorpresa: appoggiato alla sua automobile c’era il professore di musica.
Quando si accorse di lei, la guardò con una certa apprensione. <<Stai bene?>>le chiese <<si sto benissimo, ma tu che ci fai qui?>> . <<Veramente io sono stato nel negozio qui vicino a comprare le corde per la chitarra, parcheggiando ho visto la tua macchina. Ma eri ancora a scuola?>> <<be! Si, sono uscita ora>> <<da dove sei passata? Perché quando ho visto la tua macchina mi sono messo a guardare sperando di vederti uscire ma ho visto solo Romeo>> <<Romeo? Lo hai visto? Cosa ti ha detto?>> lo bersagliò di domande in preda all’agitazione <<Calmati, non mi ha visto lui, perché non ha parcheggiato qui, aveva la macchina davanti alla scuola. Dimmi la verità è successo qualcosa con lui? Ti ha importunata? Ma Vittorio non c’era lì con voi? >> <<no, non mi ha importunata>> rispose Carla e poi rimase in silenzio, mentre dai suoi occhi ritornarono a scendere le lacrime. Marco si stava preoccupando davvero. La prese tra le braccia e cercò di rincuorarla. <<Dimmi cosa ti è successo, io non ti lascio sola, se qualcuno ti ha fatto del male dovrà vedersela con me.>> a questo punto Carla scoppiò in un pianto dirotto e si aggrappò forte a quell’uomo che in quel momento la faceva sentire protetta .
Quando si calmò e riuscii a parlare, lo guardò negli occhi e poi gli disse :<<È successa una cosa terribile, Romeo ha ucciso Vittorio, gli ha sparato in testa, Vittorio è giù nel seminterrato riverso a terra morto, capisci, morto! E io ho visto tutto, ero lì sotto nei bagni, ho visto e poi sono scappata passando per l’oratorio.>> Marco che era rimasto a bocca aperta ad ascoltare non credendo alle sue orecchie, scosse la testa poi disse:<<Dio mio! Non posso credere che sia successa una cosa simile, ma perché lo ha fatto?>> Carla non sapeva dirlo aveva sentito solo frasi come “perdonami, non uccidermi, ti supplico, pietà, te lo avevo giurato, ora pagherai” ma il perché fosse successo tutto questo non lo aveva sentito o capito. <<Cosa posso fare ora? Sono stata testimone di un delitto. Devo andare alla polizia?>> chiese a Marco. Lui le disse che non ci doveva pensare nemmeno.
Quel Romeo aveva nomina di essere imparentato con una famiglia mafiosa e i cimiteri erano pieni di testimoni coraggiosi che avevano avuto a che fare con quel tipo di persone.
<<Ascoltami bene, lui non ti ha vista sennò non saremmo qui a parlarne, per il povero Vittorio non possiamo più fare nulla, ora dammi le chiavi della tua macchina che ti accompagno a casa, guido io, tu sei troppo agitata>> Carla senza parlare gli diede le chiavi, si sentiva così grata a Marco per essersi trovato lì proprio adesso che aveva tanto bisogno di lui.
Montò su con le gambe che le tremavano e dopo essersi seduta chiese subito <<cosa devo fare ora? Come mi devo comportare?>> <<Devi cercare di comportarti come una persona normale. Domani andrai a scuola e se troverai la polizia e tutto bloccato ti informerai come faranno tutti gli altri e ti sconvolgerai alla notizia, questo non ti verrà difficile, devi sforzarti di apparire normale solo per poco poi tutta l’agitazione che potresti mostrare non dovrebbe stupire più nessuno.>> Intanto erano arrivati davanti al portone. Marco l’aiutò a scendere, restarono in silenzio come se tutti e due stessero cercando le parole giuste da dire. Poi le loro frasi si sovrapposero: Carla aveva detto <<potresti salire con me?>> mentre Marco aveva detto <<Vuoi che salga con te?>> Si. Risposero all’unisono. Dopo qualche minuto, erano in casa e Carla si ritrovò a guardarsi intorno come se quella non fosse più casa sua. Tutto era cambiato. La sua realtà era cambiata era come se fosse stata spostata da una vita a un’altra e non sapeva se sarebbe riuscita a raccapezzarcisi
<<mostrami dov’è la cucina così ti preparo un caffè o forse è meglio una camomilla che ne dici?>> Carla si riscosse dall’imbambolamento totale in cui si trovava e rispose:<< preferisco il caffè>> lo guidò in cucina e stava per mettersi in movimento, ma Marco la blocco <<tu siediti dimmi solo dove sono le cose che ci penso io>> <<per il caffè è tutto nell’armadietto a destra sopra il lavandino, per le tazzine nel cola piatti>>. Mentre Marco trafficava lei ritrovò per un attimo quella leggera civetteria femminile che la fece sentire orgogliosa dell’ordine perfetto con cui teneva tutta la casa.
Si trovò a seguire affascinata i gesti di Marco che rimetteva ogni cosa al suo posto dopo averla usata, Non avrebbe mai immaginato tanta meticolosità in un uomo. Dopo aver bevuto il caffè Marco le chiese se si sentiva di parlare ancora dell’accaduto; doveva cercare di ricostruire bene come si erano svolti i fatti. <<Io sarei dovuta -come al solito- uscire con Lucia>> prese a raccontare <<però lei mi aveva detto che non poteva aspettarmi e quindi io me la stavo prendendo comoda, l’ho sentita salutare, ho sentito la porta sbattere e dopo circa cinque minuti, improvvisamente, tutto quel trambusto. Ma tu da fuori non hai sentito uno sparo?>>
<<no, nulla, forse per colpa del cantiere vicino che fa un fracasso infernale>> osservò Marco << poi il fatto che l’abbia portato nel seminterrato ha contribuito di sicuro ad attutire i rumori>> << si è vero, ora che ci penso, lui ha chiuso la porta tagliafuoco e anche questo ha isolato abbastanza i rumori>> aggiunse Carla. <<È chiaro che pensava tu fossi uscita insieme a Lucia, si vede che non era in portineria quando l’ha sentita salutare, magari stava prendendo l’arma dal suo armadietto. Hai avuto una bella fortuna a non essere stata vista dopo il delitto. Sono sicuro che non ti avrebbe risparmiata>> affermò Marco. Carla sentì un lungo brivido percorrerle la schiena e si ritrovò di nuovo in preda al terrore. La vera fortuna sarebbe stata che lui si fosse accorto che lei non era uscita insieme all’amica, in quel caso avrebbe aspettato di vedere andar via anche lei. Così invece era tutto stramaledettamente più complicato. Perché avrebbe finito per capire di essere stato visto non appena le indagini avessero messo in evidenza l’incongruenza sugli orari di uscita di ognuno. Carla avvertiva chiaro il pericolo e questo le procurava un tremito che non riusciva a domare. <<non devi temere>> le spiegava Marco <<puoi uscirne credimi, dovresti solo essere sicura di quanto tempo è passato tra l’uscita di Lucia e l’inizio del trambusto, in questo modo puoi dire di essere uscita giusto due o tre minuti prima che il tutto accadesse>> <<ma lui non ci crederà mai, ha aspettato di sentire sbattere la porta per essere sicuro della nostra uscita e poi non l’ha più sentita aprirsi e richiudersi. Quando verrà a sapere che Lucia è uscita da sola non avrà più dubbi sulla mia presenza nella scuola nel momento dei fatti. Sono perduta. Mi ucciderà. Non vedo come posso sperare di cavarmela. l’unica speranza credo sia quella di andare alla polizia e denunciare l’accaduto. Così lo mettono in galera>> disse Carla. <<No, non fare una simile sciocchezza. Quello ha ucciso Vittorio sicuramente per vendetta su qualcosa che gli ha fatto e pensi che non si vendicherà anche di te? Poi con la legge che abbiamo ora, tra condoni e buona condotta, magari in pochissimi anni te lo ritrovi fuori e in quel momento avrai smesso di vivere. Ascoltami, se si trattasse di fare qualcosa per salvare la vita a Vittorio allora sarei io il primo a dirti andiamo alla polizia e denunciamo. Ma qui il povero Vittorio è già morto. Nessuno può più aiutarlo, mi dici a cosa serve rovinarti la vita pure tu mettendoti contro quel delinquente?>> <<forse hai ragione tu. In questo momento io non sono in grado di prendere nessuna decisione, farò come mi dici>> assicurò Carla. <<bene, sono contento che tu mi dia ascolto. Ora io dovrei andare, ti posso lasciare sola?>> per tutta risposta Carla tornò a piangere. Non voleva costringerlo a rimanere, ma era più forte di lei, il solo pensiero di restare sola la faceva piangere come una bambinetta impaurita. <<ho capito>> disse Marco <<se devo restare qui tanto vale che mi dia da fare per preparare la cena. Poi devo fare anche una bella doccia. Tu avresti qualcosa da prestarmi, che ne so mutande pigiami o anche camicie da notte, mi va bene tutto guarda>> e intanto le rivolgeva uno sguardo tra il divertito e il serioso, tanto che Carla immaginandoselo con la sua camicia da notte addosso non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Rideva e piangeva nello stesso tempo. Quella sera mangiarono insieme come due vecchi amici. Poi si ritrovarono seduti sul divano con Marco che la teneva stretta tra le sue braccia mentre ascoltavano Vivaldi.
Fu così che si addormentò lei, cullata dalle note della Serenissima.
Si svegliò che era già giorno e si trovò distesa da sola sul divano.
Marco non c’era. Non fece a tempo a domandarsi dove fosse che le arrivò alle narici un buon odore di caffè.
Si tirò su e lo raggiunse in cucina.
Lo trovò con addosso altri vestiti tutto intento a preparare un vassoio con la colazione.<<ma che succede, come hai fatto a cambiarti?>> chiese incuriosita <<semplice>> rispose lui <<sono stato a casa mia. Ho aspettato che ti addormentassi e sono uscito.
Ti avevo lasciato un biglietto dove ti spiegavo tutto qualora ti fossi svegliata, e anche il mio numero di telefono per chiamarmi in caso di panico: nel biglietto ti avevo scritto che sarei andato a sistemarmi e che sarei tornato dopo aver preso anche tutto quello che mi serve per passare qui con te qualche giorno. Naturalmente se sei ancora decisa a tenermi prigioniero usando l’arma preferita delle donne ossia la lacrima spacca cuore>> <<non so come ringraziarti per quello che stai facendo per me, giuro che non ho parole>> <<lo faccio volentieri. Ho visto ieri l’espressione di terrore che hai avuto nello sguardo non appena ho detto che sarei dovuto andare via. Non potrei stare tranquillo nemmeno io sapendoti così disperata e sola. Per questo ho aspettato che ti addormentassi per fare un salto a casa, giusto il tempo di una doccia, di prendere un po' di roba ed eccomi di ritorno. Sono disposto a stabilirmi qui a casa tua, almeno fino a quando non starai meglio. Sei contenta ora?>> <<contentissima. Non ti ringrazierò mai abbastanza>> rispose Carla, <<però ci tengo a chiarire una cosa. È importante farlo subito>> le disse Marco guardandola dritto negli occhi <<tra noi -non lo dobbiamo negare- c’era stato del tenero. Forse stava per nascere qualcosa. Quello che voglio sia chiaro ora è che finché saremo sotto lo stesso tetto il nostro comportamento deve essere impeccabile. Non ci devono essere avance né da una parte né dall’altra. Siamo d’accordo?>> << Certo>> rispose immediatamente Carla, leggermente infastidita dal fatto che quell’ammonimento sembrava più rivolto a lei che a sé stesso. Più tardi erano pronti per uscire. Marco dopo averci pensato su le chiese: << Cosa vuoi fare? Vuoi che andiamo ognuno per conto nostro o vuoi che ci vedano arrivare insieme? Ti avverto che penseranno subito che siamo una coppia, se non ti dà fastidio per me non ci sono problemi>> <<Che pensino quello che vogliono. Io mi sento più sicura se sei vicino a me>> Fece Carla. Si avviarono. Durante il tragitto nessuno dei due aprì bocca. Carla stava cercando d’immaginare cosa potesse dire per apparire naturale, per fare in modo che nessuno guardandola in faccia vi leggesse la verità. Marco sembrava anche lui rimuginare su qualcosa che lo rendeva particolarmente ombroso. Man mano che si avvicinavano all’istituto il cuore di Carla accelerava i battiti. Poi una volta giunti la cosa che li colpì subito fu la tranquillità del luogo nessuna macchina della polizia, gente che entrava e usciva normalmente. Eppure, erano già alla seconda ora di lezione. Non era possibile che una volta scoperto il cadavere tutto fosse tornato così velocemente alla normalità. Non era nemmeno possibile che non fosse ancora stato scoperto. Scesero dalla macchina. Prima di entrare Marco prese le mani di Carla tra le sue e le disse: <<mi raccomando calma assoluta. Non dire nulla a nessuno, ne parliamo quando siamo a casa ok?>> lei fece segno di si, con la testa ed entrò.
Anche dentro la scuola nulla faceva pensare che potesse essere successo qualcosa di tanto orribile. C’erano i soliti bidelli all’entrata, uno con le braccia conserte e l’altro intento a trafficare col telefonino. <<Buon giorno>> salutò timidamente Carla. <<Buon giorno professoressa>> risposero all’unisono I due bidelli. A questo punto lei non si sarebbe più nemmeno stupita di vedere lo stesso Vittorio venirle incontro e chiederle come faceva di solito “tutto bene prof?” Però Vittorio non c’era e questo era l’unico punto che ancora non le faceva avere la convinzione di aver sognato tutto quella notte stessa. Entrò in classe e trovò i suoi alunni come sempre esuberanti e sempre pronti a combinarne di tutti i colori.
Fece l’appello e portò i ragazzi giù in palestra, sapeva che sarebbero dovuti passare nel corridoio del seminterrato e il cuore riprese a tamburellare mentre raggiungevano il punto dove era avvenuto il delitto. Nulla. Tutto pulito. Vuoi vedere che è stato davvero un sogno e che non sono nemmeno arrivata a scuola con Marco stamattina? Pensò Carla. Intanto cercò di farsi coinvolgere dall’allegria dei suoi alunni. Finite le due ore di ginnastica e riportati gli allievi in classe scese al piano terra per raggiungere l’altra classe da portare in palestra, quando s’imbatté nella collega Lucia che la salutò allegramente come al solito. Decise di non fermarsi a pensare a quello che stava succedendo, di aspettare di ritrovarsi con Marco per cercare di spiegarsi cosa fosse. Finalmente arrivò l’ora di uscire dalla scuola. Marco la prese sottobraccio mentre si dirigevano all’automobile mostrando a tutti i colleghi che tra loro le cose erano cambiate.
<<Che ne pensi?>> chiese subito Carla, <<secondo te è tornato di notte per portare via il cadavere e ripulire il corridoio?>> Marco non rispose subito sembrò indeciso su cosa dire.
Poi disse che sarebbe stato difficile entrare a scuola di notte, anche perché, per pulire bene il corridoio avrebbe dovuto accendere la luce e avrebbe rischiato di essere visto. <<Si ma tu lo hai visto lasciare la scuola addirittura prima di me ieri quindi dev’essere tornato per forza dopo.>> Obiettò Carla. <<Certo, hai ragione tu, di sicuro è tornato nella notte.>> <<povero Vittorio>> prese a dire Carla <<chissà dove lo ha buttato, magari in qualche discarica dell’immondizia o dentro qualche pozzo.
Pensi che non avrà mai una degna sepoltura?>> chiese poi a Marco. <<a questo non devi pensare. Il nostro corpo dopo la morte non è più nulla, solo materiale organico che la terra deve smaltire. Cerca di non pensare che ci sia ancora un Vittorio che soffre di non poter avere un funerale e una lapide al cimitero, magari con vicino tanti fiori. Queste sono cose a cui pensano i vivi.
I morti non pensano nulla per il semplice fatto che hanno smesso di esistere.>> <<sei un po' cinico tu>> si lamentò Carla <<sono solo realista>> affermò Marco.
Intanto arrivarono a casa e non ebbero più tempo di discutere su cose come l’anima o l’esistenza di una vita oltre la morte. Dovevano occuparsi della sistemazione di Marco nella camera degli ospiti. Rifecero il letto con lenzuola fresche e sistemarono le sue cose nei cassetti. l’entusiasmo che lui metteva nel prepararsi la camera dava a Carla l’impressione che fosse venuto per restarci a lungo. Certo non le dispiaceva avere la sua compagnia in un momento tanto difficile.
Non capiva però questa sua grande disponibilità. Dal modo cinico in cui parlava non si riusciva a scorgere tanta generosità di cuore da dove arrivasse. Forse lei le piaceva davvero e per questo era cosi ben disposto nei suoi confronti. Il patto che lui stesso aveva proposto di fare, di non provarci durante il periodo che dovevano trascorrere sotto lo stesso tetto la metteva al sicuro; sapeva Carla che se lui non avesse avuto l’intenzione di rispettarlo non lo avrebbe mai proposto un simile patto. Nei giorni che seguirono nulla di nuovo sembrava succedesse a scuola tranne un giorno che Carla incontrò nel corridoio proprio Romeo il quale le lanciò un’occhiata che la fece arrossire come se le avessero lanciato dritto sul volto un getto di fiamma viva. Lui non si era scomposto per nulla e anzi l’aveva salutata con un “buongiorno” quasi inudibile. “Dio mio! Lui sa. gliel’ho letto negli occhi. Lui sa che l’ho visto.” pensò Carla di nuovo in preda a un tremore irrefrenabile.
Nessuno in quella scuola sembrava essersi accorto dell’assenza di Vittorio. Possibile che nessuno chiedesse di lui. Marco le aveva suggerito di non fare domande per non far giungere agli orecchi di Romeo il fatto che lei si stesse interessando di Vittorio.
Poi finalmente un giorno mentre stava appendendo al quadro in bidelleria la chiave del magazzino degli attrezzi sentì i bidelli parlare di Vittorio.
Pare che avesse preso un’aspettativa non pagata per gli ultimi due mesi dell’anno scolastico e che nel frattempo aveva chiesto il trasferimento in puglia per l’anno successivo.
I bidelli si lamentavano che fosse andato via senza salutare dopo che lo avevano trattato come un figlio. Uno di loro aggiunse <<forse è andato a vivere con Nina, peccato che non ci abbia detto mai nulla su questa fantomatica donna.
Dunque nessuno -almeno nel liceo- si sarebbe mai più fatto domande su Vittorio. La sera stessa ne parlò con Marco <<ti rendi conto che Romeo ha organizzato tutto alla perfezione. Nessuno lo cercherà più il povero Vittorio. Lui ha ucciso quel ragazzo e se ne starà tranquillo e beato a godersi la sua vita. Io non lo trovo giusto. Bisognerebbe fare qualcosa. Non si potrebbe fare una telefonata anonima alla polizia?>> propose Carla. <<per dire cosa? Che una professoressa del liceo ha sognato che uccidevano un bidello e che poi questo è sparito dopo aver chiesto un’aspettativa alla scuola?>> <<è questo quello che pensi? Che io mi sia sognata tutto? E tu vicino alla mia macchina quel pomeriggio eri un sogno? E il fatto che sei rimasto qui con me a casa mia è un sogno? Io sono sicura di quello che ho visto. A dire il vero quello di cui non sono più tanto sicura è quello che ho sentito, perché stamattina mentre i bidelli parlavano hanno nominato una certa Nina che sarebbe a detta loro la donna di Vittorio. Questo mi ha fatto venire in mente che Vittorio quando urlava pietà forse diceva “non mi ammazzare Nina, non mi ammazzare” io non lo avevo capito, ma sentendo di nuovo quel nome mi si è chiarito tutto. Tu mi credi o pensi che mi sia immaginato tutto?>> chiese Carla <<certo che ti credo. Sarei qui a casa tua cercando di proteggerti se non credessi a quello che mi hai raccontato?>> le rispose Marco con tono rassicurante, poi aggiunse <<io lo sto tenendo d’occhio Romeo, non ti ho detto nulla per non farti preoccupare, ma ieri ad esempio l’ho visto che entrava dalla porta che conduce al tetto. Lui non mi ha notato perché stavo uscendo dalla mia aula di musica che come sai è all’ultimo piano. Quando mi sono accorto di lui ho fatto un passo indietro. Cosa pensi che sia andato a fare sul tetto? Secondo me è lì che ha nascosto la pistola, se potessimo essere sicuri di questo allora si, che si potrebbe avvertire la polizia>> affermò Marco <<perché non me lo hai detto subito? Possiamo controllare se c’è l’arma.>> << credi che non ci abbia già pensato io? Quando Romeo è andato via ho provato a salire sul tetto, ma ho trovato la porta chiusa a chiave>> disse Marco <<le chiavi sono appese nel quadro in bidelleria, io ci vado sempre a prendere e riportare le chiavi del magazzino palestra, posso prenderle io. Dobbiamo solo decidere quando.>> propose Carla <<lo possiamo fare già domani. Romeo non ci dovrebbe essere il pomeriggio, noi ci possiamo fermare io con la scusa di preparare spartiti per i miei ragazzi e tu per riordinare il magazzino. Poi quando su all’ultimo piano non c’è nessuno andiamo a controllare il tetto. Sei d’accordo?>> <<si certo, d’accordissimo.>> assicurò Carla. l’indomani il piano fu messo in pratica.
Lei aveva preso la chiave senza problemi e dopo essere scesa in palestra e aver aspettato il tempo giusto, salì dalla scala laterale raggiungendo l’ultimo piano. Marco l’aspettava fermo davanti alla sua aula, insieme si recarono davanti alla porta dalla quale si accedeva al tetto. Carla aprì e fece passare Marco per primo. Poi staccò la chiave e si richiuse la porta alle spalle. Salì i pochi gradini che Marco aveva già fatto per raggiungere un pianerottolo dal quale attraverso un’apertura si accedeva direttamente al tetto. Lo trovò che stava finendo di sistemarsi i guanti <<ti sei portato I guanti?>> gli chiese
<<certo, non voglio mica lasciare impronte sulla pistola nel caso la trovassimo sotto qualche tegola>> <<giusto, ma perché non lo hai detto anche a me di procurarmi dei guanti?>> chiese Carla lievemente stupita <<a te non servono, non ti permetterei mai di toccare un’arma.
Tu che sei più leggera mi servi per andare sul tetto e controllare se qualche tegola risulta particolarmente alterata, ci potrebbe essere sotto la pistola.>> <<stai dicendo che io dovrei salire a passeggiare sul tetto? No, non credo proprio di farcela,>> <<eppure lo dovrai fare>> sentenziò Marco con l’aria più seria che lei gli avesse mai visto in faccia <<Marco non puoi dire sul serio, io ho veramente paura a camminare tra le tegole, mi girerebbe la testa e finirei per cadere giù>> <<temo anch’io che potresti cadere ma d’altronde sei tu quella curiosa che ama ficcare il naso negli affari degli altri, quindi tocca a te rischiare la vita ora.>> <<Carla lo guardò esterrefatta. <<dimmi che stai scherzando ti prego!>> lo supplicò <<ma io non sto scherzando affatto; ora tu da brava bambina sali sul tetto e ti fai una bella passeggiata ok?>> << no, non salirò mai sul tetto e poi sai che penso? Che secondo me nemmeno Romeo ci è salito per nascondere la pistola. Lui è un gran pezzo di Marcantonio, lo avrebbe sfondato il tetto se ci fosse salito sopra e poi non è mica così facile camminarci; non è da tutti, veramente!>> <<figurati!>> la interruppe Marco <<pensa che anni fa faceva il carpentiere e i tetti li costruiva>> <<come fai a sapere queste cose di Romeo? Te ne ha parlato lui?>>
<<so tutto di Romeo io. Se vuoi ti faccio un breve riassunto della sua vita; una cosa veloce però, perché c’è poco tempo. Vedi io e lui siamo nati nello stesso paesino “Carlentini” lui era figlio della nostra domestica.
Era orfano di padre e insieme a sua madre viveva in casa nostra. Restavamo spesso da soli in casa quando i miei genitori si recavano a visitare i contadini nelle vaste proprietà di famiglia. Avevamo iniziato un gioco divertente che consisteva nel vestirsi con gli abiti di mamma e sederci in salotto conversando come due care amiche. Un po' alla volta ci rendemmo conto che ci trovavamo a nostro agio nei panni femminili.
Così iniziammo a farlo sempre più spesso e si creò tra noi un forte legame. Avevamo questo prezioso segreto, facemmo un patto di sangue, nessuno di noi lo avrebbe mai tradito.
Io nel frattempo avevo avuto l’opportunità di studiare e sono diventato un professore. Lui purtroppo non ha potuto studiare. Sono stato io a farlo venire qui dopo averlo aiutato ad avere un posto da bidello. Non lo sa nessuno, ma vive con me a casa mia. Le ho preso l’appartamento vicino e poi abbiamo aperto una porta per farlo comunicare col mio.
Non sto qui a spiegarti perché abbiamo scelto di non rendere pubblica la nostra situazione. l’unica cosa che ti posso dire è che quello stronzo di Vittorio lo ricattava, lo aveva preso di mira, lo torturava! E alla fine Romeo ha deciso di eliminarlo. Io ora devo fare in modo che nessuno faccia ancora del male a Romeo. Quindi tu mi devi fare il favore di salire sul tetto e buttarti giù di sotto; tanto, guarda, la tua vita di merda non serve a nessuno. Credimi è così>> Carla aveva ascoltato in silenzio la storia di Marco, ora si rendeva conto che quel giorno lui fosse nei paraggi della scuola per assicurarsi che tutto filasse liscio. <<quindi quando mi hai detto di aver visto uscire Romeo non era vero, lui era dentro a pulire e togliere le tracce di sangue mentre tu da fuori controllavi che nessuno entrasse a scuola.>> chiese Carla per guadagnare tempo nella speranza che succedesse qualcosa che potesse cavarla d’impiccio. <<si è così, Romeo da solo lo ha portato fuori nel cortile, chiuso dentro a un sacco e poi di notte siamo tornati a prenderlo per occultarne il cadavere>> <<Non posso credere che tu abbia collaborato con un assassino solo perché da ragazzini giocavate insieme a fare le signore. Ti devo dare una notizia caro Marco, non siete stati i primi e non sarete nemmeno gli ultimi. Tanti bambini lo fanno senza dover fare patti di sangue per mantenerne il segreto.>> <<non sai di cosa parli>> la zittì lui <<Lui per me ha fatto molto più di quello che tu puoi immaginare!>> <<cos’ha mai fatto di così grandioso?>> chiese Carla, sempre con l’intento far passare tempo prezioso. Marco diede un’occhiata all’orologio poi disse:<<va bene, abbiamo ancora dieci minuti buoni ed è giusto che tu abbia diritto all’ultimo desiderio da esprimere, ma sei sicura che sia proprio questo? Impicciarti dei fatti altrui fino all’ultimo respiro?>> <<Se per te non è un problema, vorrei davvero conoscere questa vostra straordinaria storia>> confermò Carla. <<Vedi cara amica mia. Romeo ha ucciso già una volta e lo ha fatto per proteggere me. Era pronto a rischiare di passare tutta la sua vita in galera se lo avessero preso, ma non mi avrebbe mai tradito.>> <<Perché ha dovuto uccidere per te?>> chiese lei <<mi ero diplomato e papà mi aveva regalato un viaggio in Inghilterra, non ci andavo da solo, c’era un mio compagno di scuola, figlio di un amico di mio padre.
Durante la vacanza era successo che mi ero lasciato andare, una nottata da pazzi, mi ero strafatto, ancora adesso non ho nessuna idea di quello che avevo fatto. l’unica cosa di quella notte che mi ricordo l’ho vista immortalata in foto dopo circa un mese che ero tornato a casa. Quel bastardo mi aveva immortalato in una posa veramente sconcia, per darti un’idea ti dico solo che qualcuno mi aveva dipinto le labbra con un rossetto e messo delle calze a rete autoreggenti.
Lui assicurava che l’aveva fatta solo per riderci sopra insieme a me e che questa cosa sarebbe rimasta segreta.
Poi però da lì a poco tempo aveva iniziato a chiedermi soldi; dapprima sotto forma di piccoli prestiti che puntualmente non restituiva, alla fine si era tolto la maschera, e chiedeva cifre grosse che io faticavo a procurarmi. Sapeva il terrore che avevo di mio padre; se avesse scoperto quella foto ne sarebbe morto di vergogna e in quanto a me mi avrebbe cacciato di casa per sempre. Mi confidai con Romeo e gli chiesi aiuto per liberarmi di quello sporco ricattatore. Gli dissi chiaramente che finché quel tipo fosse stato vivo io non mi sarei mai potuto sentire al sicuro. Così ci pensò lui. Per essere sicuro che non saltasse fuori quella foto, dopo averlo ucciso appiccò il fuoco e distrusse non solo la sua casa, ma addirittura anche le case vicine. Ora capisci perché io lo sto aiutando. Anche lui è stato vittima di un ricattatore. Tu non sai quanto io odio i ricattatori.
Meritano di essere uccisi. Non ci può essere nessuna pietà per loro.>> <<capisco>> disse Carla, <<io però non sono una ricattatrice, anzi sono d’accordissimo con te. Penso che tu abbia fatto bene a liberarti di quel tipo che ti ricattava. Non potevi mica pagare per tutta la vita solo perché avevi vissuto una notte di eccessi.>> <<sono contento che tu sia “d’accordissimo” con me, ma questo non cambia la tua situazione purtroppo. Tu mia cara sei un danno collaterale, come lo era stato a suo tempo un fratello del bastardo. Nemmeno contro di lui avevamo nulla, ma era presente al momento di regolare i conti e Romeo lo aveva dovuto aggiungere, così come ora dobbiamo aggiungere te.>>
<<Vorrei capire ancora una cosa>> chiese lei <<ma tutte queste donne che qui a scuola ti si attribuiscono allora? Ci sei andato con qualcuna oppure no?>> <<Per carità! Odio le donne! Mi ronzano attorno come tante mosche, non ho mai capito che cosa vogliono da me. Ogni tanto ho fatto finta d’interessarmi a qualcuna; solo a quelle più tontoline, come te ad esempio.>> <<quindi quando ti sei premurato di dire che non ci dovevano essere avance da parte di tutt’e due, era perché sapevi che non potevi avere rapporti sessuali con me?>> <<di nuovo esatto, non avrei potuto sopportare un contatto troppo stretto anche se quando ti ho abbracciata l’ho fatto da vera amica sapendo come ti eri rovinata per sempre grazie alla tua curiosità>> <<ma io non sono mai stata curiosa, se ero lì è stato solo un caso, non mi sarei mai intromessa di mia spontanea volontà, anzi ti dirò di più ora che so che Vittorio tormentava Romeo capisco che si sia voluto liberare di lui e non ho nessuna voglia di immischiarmi oltre in questa faccenda>> cercò di dire Carla <<Ah! Ah! Non provare a cambiare le carte ora che stai perdendo la partita. Tu oramai sei troppo coinvolta. Mi dispiace darti questa notizia, ma il tuo tempo si è esaurito. È arrivato il momento di salire sul tetto e imparare a volare. Su coraggio io ti guardo da qui e veglierò che il tuo volo sia sereno>>. Come poteva essere così calmo mentre diceva una cosa tanto orribile? Si chiedeva Carla. Intanto non sapeva cos’altro fare per far passare ulteriore tempo. Certo, se avesse dovuto volare dal tetto non lo avrebbe mai fatto di sua spontanea volontà come lui suggeriva. Avrebbe lottato come una leonessa per difendere la sua vita. Sentiva l’adrenalina salire a ogni istante.
Lui non le diceva più nulla, ma si avvicinava lentamente costringendola ad indietreggiare. Senza che se ne rendesse conto, prima che prendesse coscienza della cosa finì per trovarsi a un passo dall’apertura da cui si accedeva al tetto.
<<aspetta Marco. Tu lo sai che io sono innamorata di te; non ti tradirei mai. Ti giuro che saprò mantenere il tuo segreto per tutta la vita. Lo sai che ne sono capace. Se non ho denunciato Romeo è stato solo perché me lo hai detto tu. Lo vedi che io faccio tutto quello che vuoi?>> <<brava>> le disse Marco <<continua a fare quello che ti dico io, affacciati fuori da questa finestra non farmi perdere altro tempo ti prego>> lo sguardo di Marco era ipnotico Carla doveva fare molta forza su se stessa per non lasciarsi guidare da quegli occhi.
Nello stesso momento che fu costretta a fare un ulteriore passo indietro che la portava pericolosamente vicina all’orlo della grande portafinestra le sembrò di sentire un rumore. <<Marco non puoi chiedermi di buttarmi di sotto ti prego non farlo abbi pietà!>> si mise a pregare a voce alta. Lui la zittì afferrandola e premendole una mano sulla bocca. Ma era già troppo tardi. Qualcuno bussava alla porta e li chiamava entrambi. Erano le bidelle che evidentemente li avevano cercati per tutta la scuola e poi grazie alle chiavi mancanti dal quadro erano risaliti al luogo dove avrebbero potuto trovarli. Per fortuna i bidelli non erano poi così distratti come Marco pensava e si erano accorti benissimo che loro due non erano usciti dalla scuola. Carla doveva ora giocare la sua ultima carta per cercare di salvarsi. Decise di provare una mossa che al suo maestro di judo riusciva sempre benissimo per liberarsi di un nemico che ti tiene prigioniero. Con una mossa fulminea si liberò dalla stretta e dalla sua mano sulla bocca. Incominciò a urlare aiuto scaraventandosi giù dalle scale, mentre Marco gli si lanciò addosso andando però a sbattere contro la porta visto la deviazione fatta da Carla. Lei intanto aveva preso la chiave e cercava di aprire la porta quando lui l’afferrò per il collo e iniziò a stringere forte con tutt’e due le mani.
Carla cercò di liberarsi ma capì subito che non poteva farcela. La sua forza doveva venire fuori adesso o sarebbe stata la fine. Lasciò che lui stringesse e si concentrò solo sulla chiave da girare nella toppa. La girò e subito dopo perse conoscenza. Poteva essere quella la fine per lei, ma non fu così.
Quando riaprì gli occhi, lì attorno c’erano i bidelli e un altro
signore che non aveva mai visto e che si presentò come il commissario Deberti.
<<Siete stata molto fortunata signorina>> le disse. <<sono venuto qui per parlare con qualcuno che conoscesse Vittorio e i bidelli mi hanno detto che, oltre a loro nella scuola c’erano solo due professori. Ho chiesto di poter parlare anche con voi, quindi, hanno iniziato a cercarvi per tutto l’istituto.
Erano sicuri di non avervi visti uscire e così le ricerche alla fine ci hanno portato fino alla porta del tetto. Siete stata davvero coraggiosa nel riuscire a far girare la chiave nonostante steste per perdere i sensi. Ma ora dovete riposare, mentre aspettiamo l’ambulanza che vi porterà in ospedale per un controllo medico.
Domani mattina verrete in commissariato e parleremo di tutto va bene?>> <<si signor commissario. Ma ditemi, lui dov’è>> chiese Carla con un filo di voce <<in gattabuia con il suo amico Romeo. State tranquilla. Carla fece un lungo sospiro di sollievo e chiuse gli occhi grata a Dio per non aver avuto altro da fare in quel momento in cui lei ne aveva avuto un urgente bisogno.
Il giorno dopo si recò in commissariato dove ebbe una sorprendente rivelazione. Il commissario le diede una lunga lettera da leggere: era stata scritta da Vittorio al fratello, il quale non l’aveva potuta leggere subito per via che era fuori casa essendo andato a trovare il padre ed essendo rimasto ad assisterlo per qualche giorno. La lettera iniziava così: - Mio amatissimo fratello, è importantissimo che tu legga questa lettera. Si tratta di cosa gravissima. Sono stato minacciato di morte dal mio amatissimo collega Romeo Nicoli. Ti starai chiedendo perché ho scritto amatissimo di uno che sta per uccidermi. Eppure, è così, nonostante tutto io lo amo; solo con te posso dirlo senza vergognarmene. Tu sei l’unico che mi ha sempre capito e aiutato. Non dimenticherò mai la prima volta che scopristi la mia omosessualità: quel pomeriggio che con nostro padre eri andato a vedere la partita e io -pensando di avere molto tempo a disposizione- mi ero portato in casa un amico e gli avevo fatto mettere uno dei vestiti della povera mamma che papà teneva come reliquie ancora appesi all’armadio.
Quando tornaste in anticipo -causa l’annullamento della partita- papà divenne una furia, prese a calci il mio amico, lo fece spogliare e senza dargli la possibilità di aprire bocca lo scaraventò fuori in mutande. Poi andò a prendere il grosso mattarello in cucina con l’intenzione di massacrarmi.
Tu trovasti subito una soluzione. Dicesti di essere al corrente del fatto che stavo prendendo qualche vestito di mamma per usarlo nella recita a scuola dove il mio amico faceva la parte di una donna. Dicesti che era venuto a casa a provare quale gli andasse bene e che avevamo scelto apposta il giorno che lui non era presente per via che non ci avrebbe mai permesso di toccare quei vestiti. Così in quell’occasione mi presi solo una sgridata oltre al divieto di frugare ancora nelle cose di mamma. Quando alla fine papà aggiunse che se avesse scoperto che la sua amata Agata era morta per dare alla luce uno schifosissimo ricchione mi avrebbe scannato con le sue proprie mani, capii che dovevo nascondergli per sempre la mia vera natura. Allora avevo sedici anni e mi salvò il fatto che non si era mai interessato di me e della scuola, quindi non aveva approfondito la questione. Tu invece lasciasti passare qualche giorno, poi con la scusa di portarmi al mare, dove sapevi che lui non sarebbe voluto venire -in quanto lo odiava- passasti con me un’intera giornata ad ascoltarmi, a consigliarmi e a convincermi che non era colpa mia se ero quello che ero, non era colpa di nessuno -mi dicesti- che era stata la natura a volermi creare in quel modo. Poi mi parlasti di mamma di come era felice quando mi aspettava e di quando tu eri riuscito ad abbracciarla prima che morisse. Le sue ultime raccomandazioni per te che avevi quindici anni erano state di essere sempre quella brava persona che stavi diventando e di prenderti cura del tuo fratellino al posto suo. Quindi tu non mi avresti mai abbandonato come non l’avrebbe mai fatto lei. Però con papà -mi avvertisti- non sarebbe mai stato possibile affrontare tali argomenti; da lì la mia decisione di allontanarmi dal paese non appena mi fosse stato possibile.
A scuola non andavo bene e non riuscii a diplomarmi.
Lo devo sempre a te se sono riuscito a trovare questo lavoro da bidello che, per quanto umile mi permette di sopravvivere senza dovermi prostituire. Solo che anche lontano da casa ho finito per fingere di essere quello che non sono, per via che nell’ambiente dove sono entrato, non sono ben disposti verso chi è diverso ed è molto più facile fingere che dire la verità. Ma queste cose tu le sai, ne abbiamo parlato tante volte.
Ora ti devo raccontare come sono arrivato al punto in cui mi trovo.
È cominciato tutto l’anno scorso quando nel liceo dove lavoro è arrivato Romeo col trasferimento dalla Sicilia.
Io ne rimasi subito affascinato.
Per gli altri era un burbero, con quei baffoni e quel fare da prepotente. Però io coglievo di tanto in tanto nei suoi occhi, come una dolcezza che se pur tenuta ben nascosta riusciva a far capolino, non visibile agli altri, ma solo a me.
Io per darmi un contegno da maschio ed essere degno della sua approvazione facevo commenti sulle professoresse che passavano nel corridoio, del tipo: <<eh Romeo visto quella che bel culo a mandolino che ha?>> Insomma volevo mettermi al sicuro da ogni sospetto ed essere degno di stargli vicino con l’approvazione sua e di tutti gli altri.
Poi successe una cosa -che è poi quella che mi ha condotto qui- un amico mi aveva parlato di un posto dove si potevano avere rapporti clandestini senza timore di essere riconosciuti. Lui li definiva i “si tocca ma non si guarda” per fare un po' la parodia all’altro detto “ha detto la mamma rocca si guarda ma non si tocca”. Avevo preso a frequentarlo da qualche tempo. Quando ci andavo usavo una macchina presa a noleggio.
Una sera che ci ero andato; mentre armeggiavo dentro la vettura prima di scendere, era arrivata una macchina che si era parcheggiata poco distante.
Decisi di aspettare lì seduto ancora un po' per non trovarmi faccia a faccia con uno che avrebbe potuto riconoscermi. Sbirciai di sottecchi per controllare che lo sconosciuto andasse via, quando mi sentii il cuore battere direttamente in gola, tanto da togliermi il respiro. Era Romeo. Non lo vedevo molto bene ma ero sicuro che fosse lui.
Il mio cuore che si era messo a battere all’impazzata, lo aveva riconosciuto prima ancora dei miei occhi.
Aveva un impermeabile marrone che non gli avevo mai visto e anche lui era arrivato con una macchina non sua. Aspettai di vedere se entrava nella stessa tana dove ero diretto io e fu lì che entrò. Lasciai passare qualche minuto e poi lo seguì con addosso una forte agitazione. La cosa giusta sarebbe stata di tornare a casa quella sera onde evitare d’incontrarmi con l’amico, ma non avrei rinunciato all’opportunità che avevo di stare con lui per nessuna ragione al mondo. Una volta dentro mi presentai al tizio che si occupava di gestire le stanze. Mi chiese subito <<vuoi la buia o la semibuia?>> <<io vorrei andare dove è entrato quello con l’impermeabile marrone>> dissi <<perché lo conosci?>> mi chiese lui <<no. Ma l’ho intravisto mentre arrivavo, mi sono piaciute le sue spalle, vorrei andare con lui.>> <<no! Senti, non posso dirti dove è andato. Qui sono incontri al buio, non gli farebbe piacere sapere che l’hai visto prima>> fece lui <<Ma io non glielo devo mica dire! Ti pago il triplo. Ti prego fammi questo favore!>> lo supplicai <<Va bene. Dammi i soldi e non farti scappare nulla o sono guai per me e per te capito?>>
<<tranquillo, non sono mica scemo>> lo rassicurai << vai alla cinque, la buia>> mi disse infine. Mi diressi alla stanza, prima di arrivare si passava per un’anticamera già in semioscurità in modo che non potesse filtrare la luce nella stanza dell’incontro. Solo il primo ad entrare aveva l’opportunità di accendere la luce e studiarsi bene il percorso in modo di potere poi guidare l’altro con la voce. Poco dopo bussai e mi preparai a recitare la parte di Deniro nel film “Il padrino” almeno nella voce. <<Dove sei?>> chiesi dopo chi mi ebbe detto di entrare <<sono qui>> mi guidò lui che aveva dato alla sua voce un tono più dolce ma che non l’aveva per nulla camuffata. <<vieni qui, qui>> continuò a ripetere finché le nostre mani non si toccarono. Io strinsi subito le sue. Non avevo mai provato un’emozione così forte. Era la prima volta che stavo per fare l’amore e non solo squallido sesso. <<come ti chiami>> le domandai <<sono Nina>> mi rispose lei.
<<Nina, che dolce nome! Mi piace, sa di tenerezza, d’intimità.
Nina, Nina, ripetei mentre le mie mani le sfiorarono il volto. Lei mi bloccò afferrando la mia mano poi disse:<<purtroppo porto i baffi, ti devo avvertire perché potrebbe darti fastidio, ad alcuni lo ha dato.>> <<non preoccuparti non mi danno disturbo, so che sono una difesa per molti di noi>> aggiunsi avvertendo una piccola punta di gelosia per il fatto che aveva menzionato altri uomini. <<in cambio>> aggiunse lei << tutto il resto del corpo è ben curato>>. In effetti il suo petto era liscio, levigato e tonico, le sue gambe erano depilate perfettamente. Portava le calze auto reggenti; doveva essere uno spettacolo. Non so cosa avrei dato per poterla guardare negli occhi e dirle:<<sai che mi sono innamorato di te? Sai che mi fai battere il cuore come non mai prima d’ora? Ma dovevo stare alle regole, per quella sera doveva essere così. Fu meraviglioso, lei era di una dolcezza infinita e io l’amai con tutta la furia dei miei venticinque anni. Alla fine, uscimmo passando per due porte diverse -una opposta all’altra- le avevo chiesto prima di lasciarla se ci fossimo potuti dare un appuntamento per incontrarci ancora, ma lei mi aveva risposto di no che non voleva creare presupposti per una relazione, che solo il caso poteva fare sì che ci incontrassimo ancora.
Sapevo che aveva parcheggiato vicino a me quindi aspettai un quarto d’ora seduto in un salottino prima di uscire in strada. Quando eravamo nel letto le avevo chiesto il motivo per cui doveva nascondere la sua natura e mi aveva risposto che nella sua famiglia non si accettavano gay e che la pena per lui sarebbe stata la morte. Dopo non ne aveva più voluto parlare. l’indomani ci saremmo rivisti a scuola e sarebbe tornata ad essere il solito Romeo dall’aria truce, poco incline allo scherzo e piuttosto silenzioso, sempre attento a tenere a bada ogni istinto di tenerezza.
Io ormai ero suo con tutto il cuore.
Dovevo solo studiare un modo per fargli capire che poteva fidarsi di me. Dovevo conquistarlo, ma non era impresa facile, tutt’altro.
Dopo qualche tempo, non avevo fatto nemmeno mezzo passo in avanti, per contro qualche mio collega si era accorto di questo mio attaccamento a Romeo.
Per fortuna lo avevano preso come ammirazione di un pischello per un vero uomo; infatti, mi dicevano “Vittò non è che se gli stai attaccato addosso diventi un duro pure tu eh!”
cominciavo a sentire una certa disperazione perché più io cercavo di starle vicino più lui sembrava infastidito e non mi dava la possibilità d’instaurare un qualsiasi rapporto che non fosse quello di semplici colleghi di lavoro.
Visto l’assoluta mancanza di progressi, un giorno feci un azzardo che è poi quello che mi ha spinto in questa strada molto pericolosa con pochissime speranze di uscirne indenne. Stavamo mangiando un panino seduti nel nostro spogliatoio quando entrò Paolo (un collega) si rivolse a me dicendomi
<<pischello, dovresti vedere che tipa sta parlando con il prof di matematica. Ha la minigonna e si è seduta con le gambe accavallate. Vuole dimostrare di essere meglio di Sheron Ston, perché non molli il panino e vai a darle un’occhiata. Fatti un giro, lo spettacolo è gratis.>>
Fu a quel punto che pensai di oltrepassare il limite che fino ad allora mi ero imposto con Romeo e risposi <<No, no, non sono interessato ad altre donne, ora ho conosciuto l’amore della mia vita e non la tradisco nemmeno con un’occhiata alle gambe di un’altra>> <<davvero!>> fece subito Paolo (come mi aspettavo) <<e chi è questa dea che si è meritata tanta dedizione e fedeltà?>> Io feci un respiro profondo poi fissando i miei occhi su Romeo dissi:<<si chiama Nina>>
<<Nina! Che nome è? Il diminutivo di Annina per caso?>> chiese Paolo <<boh! Non lo so. Lei mi detto di chiamarsi Nina e io nemmeno le ho chiesto se è un diminutivo. Mi piace così, è dolce sa di tenerezza>> ripetei apposta quello che avevo detto sul suo nome la notte che eravamo a letto; giusto perché non avesse dubbi sul fatto che mi stavo riferendo a lui. <<hai sentito Romeo? Questo pischello si è innamorato. Lo sapevi tu?>> chiese Paolo <<no. Non mi aveva detto nulla>> rispose lui, apparentemente annoiato del discorso.
Ma io gli avevo visto per un istante una luce sinistra nello sguardo quando me lo aveva rivolto e senza poter fare nulla per evitarlo ero arrossito violentemente, tanto che Paolo se ne era accorto e se la rideva sbeffeggiandomi sugli effetti che mi faceva l’amore, ma senza riuscire a coinvolgere Romeo che disse solo <<non m’interessa l’amore. Le donne si scopano e basta!>> poi uscì come per andare a dare un’occhiata alla tipa della minigonna.
Da quel giorno diventò più riservato che mai.
Quando ci trovavamo da soli non mi rivolgeva nemmeno la parola.
Forse avevo sbagliato a fare quel nome.
Ma lo avevo fatto nella speranza di fargli capire quali erano i miei sentimenti per lui.
Era lui che non mi dava altro modo di comunicare. E io avevo bisogno di dirglielo quello che sentivo. Ora era certo che lo avesse capito. Forse poteva cambiare il suo modo di vedermi. Dopotutto quella notte eravamo stati bene insieme. Chissà! Poteva sentire anche lui un po' di nostalgia. Niente di più sbagliato.
Era diventato freddo e duro come una roccia di granito.
Ero stato pazzo a pensare di scalfirlo con le mie dolci parole.
Il guaio più grande fu che ormai gli altri colleghi durante la pausa pranzo non facevano che chiedermi di Nina “come sta, cosa fa, com’è” io cercavo di rispondere approfittandone per fargli un po' di corte senza che nessuno degli altri se ne accorgesse. Dicevo cose del tipo “è molto dolce, ha una voce profonda, uno sguardo che ti scava dentro” ecc ecc però lui non apprezzava le mie parole, anzi più andavo avanti con le mie descrizioni più sembrava che si sentisse insultato. Un giorno con la scusa di dargli una mano a sistemare l’archivio, mi portò con lui e dopo che ebbe chiuso la porta alle nostre spalle mi afferrò e sbattendomi contro il muro mi sibilò che era arrivato il momento di smetterla con quella storia, che se mi avesse sentito ancora una volta parlare di Nina mi avrebbe sparato dritto in fronte <<
guarda che faccio sul serio, se non mi lasci in pace ti ammazzo come un cane. Ora levati de cugghiuni!>> aggiunse poi in dialetto siciliano. Stetti male per qualche giorno, mi aveva fatto paura il suo sguardo cattivo. Come poteva essere così duro con me che lo adoravo? Perché non riuscivo a conquistare la sua fiducia? Non avevo risposte a queste domande. Adesso dovevo cercare di non farlo infuriare ancora di più. Per evitare le battute su Nina evitai di fare la pausa pranzo quando la faceva lui.
La mia attrazione nei suoi confronti intanto non si affievoliva. Mi trovavo a fissarlo mentre lui non se ne accorgeva.
Lo desideravo ancora di più. Immaginavo come sarebbe stato se quando mi aveva portato nell’archivio non fosse stato per minacciarmi, ma per stringermi a sé dicendomi che anche lui provava lo stesso desiderio di tornare in quel letto con me.
Le mie fantasie hanno finito per coprire la realtà fatta di pericolo, almeno fino all’altro giorno in cui c’è stato l’ultimo episodio che forse mi ha condannato a morte. È successo che Paolo, il quale sta frequentando una palestra da qualche tempo.
È arrivato nel cortile dove io e Romeo stavamo raccogliendo le foglie e tirandosi su la maglietta si è rivolto a lui dicendogli <<guarda che pettorali mi sto facendo, dai colpisci vedi se non sembro di ferro>> Romeo si è avvicinato e ha iniziato a colpirlo sul petto. Paolo per tutta risposta lo ha incitato a colpire più duro <<vedi che sono una roccia che ne pensi?>> <<sembri il Davide di Donatello mio caro, anzi sei più duro del marmo ti dico>> e intanto lo palpava. Ero sicuro che gli piacesse toccarlo. In quel momento mi venne da pensare che mi teneva a distanza perché gli piaceva Paolo.
La gelosia mi stava divorando come se in quel momento mi avessero appiccato un incendio proprio dentro il cuore.
Più li sentivo ridere più diventavo furioso.
Alla fine, non riuscii a sopportare oltre. Dovevo fargli male come lui ne stava facendo a me. Mi avvicinai e guardando Paolo gli chiesi se si era depilato il petto che era così liscio
<<sembra quello della mia Nina, non è che ti depili anche le gambe per caso? Perché lei una volta si è dimenticata di depilarsi e aveva certi peli lunghi che non ti dico>> Paolo si mise a ridere poi disse <<ma pischello sei sicuro che questa Nina sia una donna? Ha il petto come il mio le gambe pelose, non sarà mica che vai a trans? >> <<può darsi>> feci io
<<in effetti quando la bacio mi sembra che abbia i baffi come quelli di Romeo, ma lei dice che è una donna e io mi fido>> <<ma sotto l’hai vista? Si o no?>> fece Paolo.
Romeo mi lanciò un’occhiata che mi fece rizzare tutti i peli che avevo in corpo.
Poi disse con tutta calma <<signori scusatemi, ma vi devo lasciare. Ho da fare una telefonata. Si allontanò mentre Paolo m’invitò a bere un caffè alla macchinetta.
Accettai e continuammo a scherzare ancora un po', nel senso che io cercavo di seguire sulla stessa onda il mio collega per far sembrare tutto normale; mentre avevo un tumulto dentro che mi stava sconquassando.
Poi all’uscita dal lavoro mentre stavo timbrando mi si è avvicinato Romeo e mi ha detto sottovoce:<<hai passato la misura, da oggi in poi ogni momento è quello buono ricorda che te lo sei voluto>>.
Caro fratello mio, sono sicuro che me la farà pagare.
Ormai mi vede come una minaccia costante e poi mi odia con la stessa ferocia con cui io lo amo. Quello che ti chiedo ora è che se dovesse succedere quello che temo. Poi lui non la debba fare franca, perché credo che proprio questo abbia in mente: uccidermi e farla franca. Non posso accettarlo.
Se io devo pagare con la vita l’amore che ho per lui; è giusto che lui abbia il suo castigo. Non si può pensare di compiere un delitto così atroce e continuare a vivere come se nulla fosse.
Nel caso ti prego di far leggere la mia lettera alla polizia.
So che lo farai e ti ringrazio fin d’ora.
Sai quanto ti voglio bene, sei l’unico tesoro che ho mai avuto. Sei mio fratello, ma anche la mamma che non ho mai conosciuto se non attraverso te.
Mi piace pensare che anche lei mi avrebbe capito e voluto bene lo stesso, anche con tutti i miei difetti. Così come me ne hai voluto tu.
Un abbraccio fortissimo da tuo fratello Vittorio.
<<Povero ragazzo! Bisognerà che anche Romeo legga questa lettera. Così capirà di aver ucciso una persona che non voleva ricattarlo, ma solo amarlo.>> <<certamente avrà modo di conoscere il contenuto di questa lettera, essendo il fondamento dell’accusa.
Ora vorrei sapere da lei signorina se durante i colloqui con il suo collega sia venuta a conoscenza del luogo dove è stato occultato il cadavere>> << no. Purtroppo, non mi è stato detto, ma Marco ha sentenziato che non verrà mai ritrovato.
Forse lo hanno cremato>>, <<Il fratello è disperato. Vorrei che avesse almeno una lapide dove poterlo piangere>>
<<già! Gli hanno rubato la vita e poi gli hanno rubato anche la morte. Di lui resterà solo un punto interrogativo>>.
Alcuni nascono così. Mentre Dio ha altro da fare.
E se ti capita di nascere in uno di questi momenti che Dio è impegnato altrove; non ti affannare a chiamarlo. Per te non ci sarà mai.
Commenti
Sei un grande!
Un caro saluto da Ibla.
In cuor mio, avrei desiderato per lui un ruolo positivo, una specie di eroe, dotato di eccezionale virtù e amato da tutti.
Così non è stato... anzi.
Sei stata un po' perfida ma ugualmente brava.
Un salutone
Naturalmente il racconto è tutto di fantasia.
Ti ringrazio di cuore per averlo letto.
Un caro saluto da Ibla.