Il gemito lieve di un salice piangente
risveglia il canto d'un dolce usignolo
il vagito flebile di un bimbo nella culla
ridesta l’amore nel cuore di una madre
il lamento di un ombra rivive al tramonto
lacrime di gioia rilascia una nuvola
geme tra gli alberi una foglia cadente
una stella vagisce nel cuor della notte
nasce tra spine una rosa canina
nel vento risuona il pianto di un cane
l’arcobaleno colora un dorato orizzonte
la terra respira nel vagito di un’alba.
Il vento spazza un ramo spezzato,
abile ma labile si invola la gazza,
spiazza una rosa coperta di neve,
impazza il pianeta senza difese
tra le ali colorate di una farfalla,
tra i petali vellutati di una viola,
negli occhi di un bimbo indifeso
delicata e tenue nasce l’emozione
fragile il profumo delle fragole,
gocce di pioggia ferite tra le tegole,
evapora una lacrima sul viso,
rinasce il sorriso tra le labbra.
minaccia pioggia e consuma azzurri.
Sarà forse un meriggio opprimente,
intorno solo attesa, e sussurri.
È ciò che sto pensando, aria assorta,
mentre percorro il sentiero del mare
tra sassi neri ed erba non colta
con l’attenzione di non scivolare.
Eppur, esiste valido motivo
che possa indurmi a qualche deviazione.
Ancora vive un secolare ulivo
dal tronco strano a forma di grifone
Un poeta, fin troppo sognatore,
ostinato, mi ha chiesto di sostare
al vecchio fontanile delle more
là dove Erato potrei incontrare.
Ma sono giunto quasi alla mia riva.
Di miti, di leggende e suggestioni
la mente è colma ed ora se ne priva.
Io vivo al tatto le mie emozioni!
E tocco mare sotto questo cielo
che certo par volermi dissuadere
se spalma il suo indecente velo
sull’orizzonte - almeno - da vedere.
E piove sulla baia preferita,
sull’acqua che neanche se ne avvede,
su queste onde dove la mia vita
ancor si specchia e tutta si rivede.
*
Testo pubblicato
Rielaborazione di un testo scritto in versi sciolti circa cinquant'anni fa
Da lungi mi raggiunge antica brezza,
di lampioni in penombra i nostri passi
lungo deserti vicoli di sassi,
che par d’altri vissuti una carezza.
Fantasmi avverto in queste notti estive
in questo vagolar nostro ramingo,
voci che nel silenzio ancor mi fingo
ancora proferir parole schive,
oppur lazzi d’oziosi perdinotte
o fidanzati senza ancor dimora
da sera conversar fino all’aurora
scambiandosi effusioni galeotte.
Un silenzio ch’è gravido di storia,
rotto sol dal frusciar delle fontane
o da un lontano tocco di campane,
storie umili, fuor d’ogni memoria.
E ancor sui muri parlano graffiti
messaggi senza voce e nell’oblio,
impudiche vestigia di desio,
confessioni d’amor, cuori feriti.
E noi che a notte andiam per queste strade
siamo tracce anzi tempo già presenti
di fantasmi futuri ad altre genti,
un eterno ritorno che riaccade.
Cadono foglie sulla soglia di casa,
varcano soglie le figlie al confine,
scioglie la neve una stella alpina,
nel mare ride una sogliola corsara
sfoglia una margherita l’innamorato,
prepara una sfoglia la cuoca in cucina,
sulla soglia del dolore il sordo si riposa,
sulla soglia delle tenebre il cieco sbircia
spoglia la terra la nebbia autunnale,
sfoglia il giornale un nibbio reale,
voglia di vita negli occhi di un bimbo,
sulla soglia indugia lo sguardo materno.
Sotto alla sabbia, rosse scintille
sono nascoste e son più di mille
schegge di fuoco volan nel vento
tra la paura e il folle ardimento.
Chiuse nel cuore, vestono attese
disperse e nude in cielo turchese.
Come sfondare le vecchie mura?
Come abbracciare la mia paura?
Spoglio quell'ombra di pece nera
di luce vesto la notte intera.
Nel desiderio lacrima il sole,
l'anima trema per ciò che vuole.
Brama carezze e dolci certezze
baci di stelle ed occhi fortezze.
Tra testa e cuore sprofondo lenta
vita distratta che non rallenta.