Attimi prolungati
su frammenti di vuoto
veleggiano lentamente
su ogni cosa visibile
la luce molle della solitudine
si posa sui nostri ricordi
nel teatro del cuore
sospese fra buio e luce
fluttuano indelebilmente
tutte le mute foto
pungenti come spilli
ricordo di esistenze rifratte
In fondo mi accontento di poco
basta il mio spazio, rifugio sicuro
per donarmi serenità interiore.
Qualche intrusione non richiesta
cerca di turbare la mia quotidianità
poi tutto si ferma repentinamente
e riassaporo la mia solitaria follia.
In fondo essere folli non sempre nuoce,
la vera pazzia è lasciarsi sedurre dal Nulla.
quel Nulla che vorrebbe ingoiarti per poi
espellerti come escremento indesiderato.
Il vero escremento è fuori dal mio spazio,
alla ricerca di un pertugio su cui spalmarsi
con fetide esalazioni in ansimante delizia.
Se riuscisse in questo suo atto finale,
il compiaciuto Nulla manifesterebbe
un sospiro prolungato e liberatorio
per l'ardua e produttiva impresa.
Meglio stare lontani dal caos e
dallo smog della vita moderna,
un salto nel passato non lontano
rimetterebbe al posto giusto pedine
sfuggite al controllo della razionalità.
Adoro il silenzio come spazio riflessivo
odio il silenzio punitivo o imposto
da soggetti scaltri e manipolatori,
mere manifestazioni di disprezzo
distribuito a basso costo da terzi
con problematiche narcisistiche e
imprevedibili in questo strano tempo
disseminato di dolore e perenne disagio.
Il bonus psicologico sarebbe da prendere
in seria considerazione, tutti in terapia
per debellare i mali dell'anima.
Mentre fora incombe il mattino
E io beato sul mio lettino
Ai ricordi mi ten saldo la mente
Memorie di cibo e di amici
Che ben mi vonno, che assai mi mancan
Di mari smeraldi che mai mi stancan
Di vivi color e viaggi felici
Il bel Paese, che l'Appennin parte
E la bella terra che 'l monte veglia
Landa pervasa di grande sgomento
E pur m'ammalo al pensier de l'arte
Ciò che potea e non è mi sveglia
E mi sovvien sol furia, e tormento
Volatile dubbio si insinua
nel cielo
lacrime d’angelo lavano strade
sporche di detriti di un mondo passato
avanzo di un tempo in cui la malizia
confondeva il senso comune delle cose
l’antico è una tela sfatta di punti incompiuti
e rattoppi alla buona
tessuto logoro che non scalda
nell’inverno presente
la fredda neve verrà assorbita
da nuove trame instancabilmente
intrecciate mai ferme e sempre mutevoli
l’apparenza è perfezione fittizia
inganno che copre la sostanza delle cose
essa si fa vedere agli occhi
solo attraverso uno strappo dell’esistente.
Ci vuole carattere per barattare la propria integrità
lisciando il pelo a chi da sempre è tuo nemico.
Ci vuole carattere per abbassare il capo a chi denigra
o lusinga scientemente con ignobili intenti.
Ci vuole carattere per mostrarsi diversi da ciò che si è.
Io non ho tutte queste doti e resto ciò che sono,
se non ti vado bene me ne dispiaccio per te
ma, non riuscirei a cambiarmi neppure volendo,
non mi appartiene la finzione innata o programmata.
Non c'è tempo per essere lento
E striscia e risale per le vie
È tutto così troppo
Rincorrere orari e binari
Gettarsi questo groppo umano
Come droga in vena
Chi brulica qui sono solo fantasmi
Spenti come fiaccole nel giorno
Fiacchi e lenti girando in tondo
Producono solo un suono sordo
Raschiate, screpolanti
Tra i gemiti e i miasmi
Ma in fondo tu lo sai e lo so anch'io
Anche noi siamo come loro
Una massa che non vede e sente
E questo tutto alla fine è niente
Io, donna,
speranza senza attesa,
a volte sirena a volte
eterna bambina,
mi sostengo dei gemiti
dei fiori che sospirano
nel silenzio.
Mi nutro di essenza
e acqua che scorre,
mi nascondo dietro
veli che ricoprono
come nebbia.
Anelo al paradiso,
ma ho solo segni
sulla pelle che si
riflettono negli occhi
delle stelle.
Dolce ribelle, fragile vetro,
non dimentico
che io sono...io.
Delle volte mi soffermo a pensare
alla solitudine degli altri senza comprenderla,
sarà perché con la mia ho imparato a conviverci.
Si lamentano in continuazione per quel male oscuro
che scava nelle profonde radici dell'io incompreso.
Eppure non sono realmente sole, hanno famiglia,
un marito accanto o amici veri che stravedono
e darebbero la vita per la loro felicità.
Insoddisfatte e lamentose cercano altro,
forse evasione o attenzione che pensano di non ricevere
soffrono del male di vivere, eterni insoddisfatti,
ogni appiglio è valido per poter afferrare e comunicare sconforto
scaturito dal loro subconscio in modo errato e amplificato,
in qualche modo cercano di esternarlo al mondo sempre più distratto,
cercando quelle attenzioni di cui avvertono eccessiva carenza.
Insomma persone insoddisfatte di ciò che hanno
talvolta vorrebbero demolirne altre in egual misura.
Allora mi rendo conto che la mia solitudine è buona compagna
e nelle nostre lunghe chiacchierate riesce a farmi riflettere su tante cose.
Sul dolore che ho provato per una mancanza vera,
importante come la luce dei miei occhi eppure, è quella stessa luce
a spronarmi a non arrendermi alle prove della vita,
dandomi la forza di discernere tra realtà e fantasia.
Il dolore non si inventa, solo dopo averlo provato si può esternare
talvolta resta incompreso ma si evincerà sempre
nella percezione trasmessa dall'anima.
Sicuramente ci vuole una forza non comune
per non cedere all'inganno dello sconforto e della malinconia
che potrebbe condurre a gesti estremi.
Salmodiate i canti al Signore...
- così parlava il nunzio -
ed ora che è sera chi canterà
delle glorie passate che passano
degli sforzi che sono sudore
e con essi divengono più
ma quegli sforzi che sono solo sudore
e peggio con ego e dolore
che ne valgano ancor alla terra
di tanto orrore?
Poco e nulla, ma forse conviene,
cantar e salmodiare ed il Nunzio
che lo fa sa perché sa che se lo fa
grande il suo premio sarà.
E voi nunzi della sera
uomini belli e mortali
ricordate che il tempo cagiona
conoscenze, fatevi savi.
di dolore
Anzi sì altro ma dolore:
Guerra e fame
ma per la stupidità
Della gente.
Quando cammineremo
Allora varrà quel fucile
che abbiamo infranto
Da quel manto
Dato al nostro pargoletto
Specchio, rifletti occhi
che sono profondità
di notti senza luna,
e ritorni di echi
soffusi.
Rughe leggere attraversano
la fronte, come sentieri
lineari e incerti.
E la bocca carnosa,
con velato rossore
di porpora, giace
socchiusa tra un inizio
di sorriso quasi antico.
Riflesso di volto,
che un tempo era fresco
e quasi ingenuo,
ora, sembra spento
su un amara realtà,
e ritrova tutte le incertezze
e le paure, di un lento
morire come foglie d'autunno.
Perimetri vigilati
sorvegliano zombi.
Senza idee ciondolano
fissando il vuoto
in attesa del miracolo
che cambi la loro vita.
Non sanno pregare
Dio non lo conoscono
non l'hanno mai visto
forse mai lo vedranno.
Intanto aspettano,
smanettando il cellulare
in cerca di qualcuna/o
che gliela faccia vedere.
Cosa? potreste chiedere
lo sapete di sicuro voi
che cercate in rete,
dimenticando un particolare,
un'inezia, moglie e figli
eppure andate al pascolo
in cerca di erba fresca
mentre altri fottono a casa vostra.
Rinunciate all'assistenzialismo
non siete invalidi, lavorate
dedicatevi a qualcosa, spazzate strade,
raccogliete il marcio dalle vie
prima che vi sommerga il tanfo e l'incuria.
Alzate gli occhi al cielo e
osservate le stelle, brillano per tutti.
Ritrovate il gusto di vivere,
condividere e dialogare
fuori dal recinto sorvegliato,
riconquistate la vostra identità.
Alla sera quando il cielo si tinge di rosso
e il sole troneggia nel suo imminente declino,
ombre invadenti s'apprestano a occupare spazi.
Tracciando netti confini tra cielo e mare
disegnano varchi che non si possono cancellare
e l'animo mio si fa piccolo, innanzi a sì tanta bellezza
creata appositamente per chi sa osservare
senza gettare ombre del giudizio, disseminandole come reti
nell'oceano dell'ipocrisia che alberga nell'animo dei vili.
E immortalo l'attimo, con l'emozione del momento,
facendolo mio, con sfumature di nuove fantasie.