Poemino in 9 sonetti abba abba cdc dcd
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L’ora che fugge senza dar sapore
all’umana natura, va sprecata.
Viver senza pensiero, alla giornata
un esistenza priva di colore
*
è come il cactus che regala il fiore
che sboccia al primo sole in mattinata
ma quella gemma rossa e vellutata
presto avvizzisce e il giorno stesso muore.
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L’uomo viene innalzato dal pensiero
perché il pensiero è partecipazione
sia esso sano, vile o menzognero.
*
Ecco, col dubbio nasce la ragione
che rende l’uomo simile a sparviero
franco ed aperto ad ogni soluzione.
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Idee, pretese assurde o fiumana
di alti principi, o falsa competenza
o forse solo debolezza umana
dovuta a criticabile coscienza?
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Quale sarà l’ascosa forza arcana
che spinge sempre verso la sapienza
chi si avvicina e sempre si allontana
per ritornare al punto di partenza?
*
La vita è breve, dura troppo poco
perché si giunga ad una soluzione
ben definita; è un canto troppo fioco.
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L’essenza pura sfugge alla ragione
la quale vaga al buio, come in giuoco
cercando e non trovando soluzione.
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Soluzione? Sempre vacilla e cade
quando un nuovo pensiero mi conquista.
Prego quel Dio -se c’è- che Lui m’assista
E che mi guidi per giuste contrade.
Nel valutare il paradiso o l’ade,
io dubito di avere buona vista,
ma fido ancor che la ragion resista
pur se certezze son sempre più rade.
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Ma il dubbio c’è, e qunto è grande, è immane.
Per questo cade sempre ogni conforto
Quando le idee si fan malferme e insane?
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Meglio stare col frate a zappar l’orto
qundo poi il dubbio nasce e ti rimane
e ti costringe nel veder distorto?
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Io son debole carne peritura
e tutti siam contro il destino inermi
forti in salute o deboli ed infermi
esposti al divagar della natura.
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Ma quale verità profonda e dura
genera tutti noi, genera germi
come la carne putrida nei vermi
sguazza dopo avvenuta sepoltura?
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Guardo la fede come spettatore
e cerco di capirla, come in sogno.
La fede è amore, solamente amore?
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Forse per qualche strada anch’io la agogno
Però mi accorgo -sono spettatore-
che vien cercata solo nel bisogno.
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Ecco, il bisogno rende l’uomo vile
s’affida a un Dio sperando che lo aiuta.
Il mio pensiero errante si rifiuta
A un accomodamento sì puerile.
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Perché l’uomo, in età primaverile
crede di aver la mente forte e astuta
finché per giusta sorte sia venuta
l’ora che avanza nell’età senile,
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la quale gli fa perdere la forza
e lo indirizza nella religione?
Non è forse che perdere la scorza
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sia come rinunciar alla ragione?
-Pensiero che si accende e poi si smorza-
Ma questo sfugge alla mia comprensione.
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O mio pensier che la realtà mi ascondi,
vado cercando un Dio ma, non lo vedo
per tuo capriccio io, credo o non credo
perché col dubbio sempre mi confondi.
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Io ti interpello e sempre mi rispondi
con l’incertezza. E contrapponi un veto
a qualsiasi cosa io mi chiedo
oppure che il pensiero mio ridondi.
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Come un ape che va da fiore a fiore
col mio pensiero io sono viandante.
Mi spingo sempre con cocente ardore
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verso ogni concetto stravagante.
E ciò è dovuto a un cuore sognatore
o al mio pensier perennemente errante?
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Procedo in luce o al buio, claudicante?
Contraddizioni, sempre! In me invece
non so trovar conforto nelle prece
sempre legato al mio pensiero errante.
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Vaga il pensiero mio, sempre esitante
a volte bianco, o nero come pece.
Io faccio parte dell’umana spece
e in me fluiscono le idee, ma, tante.
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Mi trovo tra l’incudine e il martello
ogni pensiero nuovo mi seduce
al punto che mi logora il cervello.
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E questo prova che il destino scuce
ogni trama nell’uomo. E il macchiavello
senza che se ne accorga lo conduce
*
verso l’impraticabile sentiero.
Ecco, per questo con il cuore anelo
a capire, ad abbattere ogni velo
contro ogni deviazione del pensiero.
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Spesso succede all’uomo, al più sincero,
di sfiorare un concetto per un pelo
e invece di innalzare gli occhi a cielo
rimane sempre avvolto nel mistero.
*
Resterò forse sempre il miscredente
alla ricerca di una fede pura
impegnato col cuore e con la mente?
*
Una salita erta e molto dura,
seguire sempre ciò che il cuore sente
nel pensiero che a volte fa paura.
*
Restero forse sempre il miscredente,
che non può mescolarsi alla fiumana
d’ogni credente, quella gente umana
che è capace di creder fermamente?
*
Resterò forse sempre il miscredente
che non s’accosta a Dio, né si allontana,
ma che ogni volta un suono di campana
non mi lascia del tutto indifferente?
*
Oh Dio, -se esisti- insegnami il cammino,
ch’io mi inginocchi presso te implorante,
mandami un angel che mi stia vicino;
*
mandami un segno ed io sarò costante
nell’adorarti. E rendi più piccino,
sempre di più il mio pensiero errante.
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rovello i miei pensieri,
avvolto dal silenzio, preoccupato,
strade contorte chiudono i sentieri,
ho perso pure il gusto e la baldanza,
mi sento abbandonato,
in mezzo a voi sono l’emarginato.
Ricordo che in un tempo non lontano
sgargiante il mio sorriso,
audace con movenze assai deciso,
immerso nel baccano,
firmavo fogli e cuori con la mano
ero una vera star, un monumento,
la vita era una manna,
ma poi tutto finì in un sol momento
e dopo fu condanna.
Ed ora in questa stanza silenziosa,
solo col cellulare,
mi sento un incompreso dalla gente
che non capisce niente
ed io non la riesco a sopportare,
emarginato solo voglio stare,
in questo nostro mondo,
siam tutti insieme e tutti siamo soli,
fuori un freddo profondo,
chiuso in me stesso sogno nuovi voli.
Fra poco sarà Natale
e fra poco mi scorderò
come nel mondo
c’è ancora chi
non sa che mendicare
solo una briciola d’amore.
Ma io sarò già lontano
alla deriva dei pensieri
oltre quel mare
dove si è arenata
l’indifferenza
nell’inettitudine
di non sapere scrivere
con il cuore
momenti di condivisione.
Fra poco sarà Natale
e mi troverò ancora
nella solitudine
del frastuono di tanta gente.
Che avrà tutto
che avrà anche troppo
che avrà niente.
l'avevo già detto
tre volte, almeno,
pittori e tele
tra pipe e mele
giocando a nascondino
nella sala degli specchi
somatizzano l'orrore
all'assenza di ragione.
Ma oggi è già domani,
fò merenda con girella
e mi sono un pò stancato
di gridare in faccia a Dio
che non guarda mai il tg
e non sente quel gracchiare
di un grammofono rabbioso
sui diritti calpestati.
Dimmi Dio, può guarire
un fiore da se stesso?
Può sentirsi in colpa
per il sol bisogno
di lievi, banali,
ma pur costanti cure?
La carezza di un raggio,
una pioggia leggera,
una brezza clemente,
una terra a cui aggrapparsi,
uno sguardo d'amore,
sono poco, sono tutto!
Posso curare me stesso
inseguendo il non senso
e curando qualcos'altro?
Caos e ordine
giocano a scacchi
combattono senza tregua,
nel bene tutti pedoni,
nel male tutte regine,
eppur mi sento un po' egoista
a sfruttare questo trucco
di guardare di sottecchi
veder nascere speranza
dando aiuto senza nome,
per sfuggire a tentazione
d'esser cinico e dimentico
di un pesante mondo addosso.
lenta
impalpabile
Scorre la sera
come una sigaretta
Guardo lampioni spenti
Guardo un cielo che non c’è
Un vecchio cimitero dorme…
E luci d’auto passano accanto
Qualcuno accende un’altra sigaretta
dietro la maschera
Qualcun’altro attende
alla fermata dell’autobus
Rumori che vanno
vite che vagano…
Io sono lì
o altrove
immerso nella pioggia senza luce
Rimpiango,
rimpiango dimensioni
e mi sento notte,
notte di me stesso
e son forse vita
oppure morte.
Improvvisa si accende
una breve luce riflessa
in questa piazza deserta.
Il grande albero
spoglio del superfluo
sembra abbracciare il cielo.
L'aria fredda di dicembre
attraversa i nostri corpi
e lontano
in alto
si intravede il sole
nascosto
furtivamente
da una nuvola
di passaggio.
La mente respira
nuovi affanni
e vola
leggera
per catturare
quel silenzioso
raggio
di inattesa
speranza.
E io ti sputo merdoso essere che vivi nei tombini…
Che vita di puzzo che fai
sempre immerso nei liquami
sempre intinto di intingoli esanimi
Privi di vita
solo scaglie di formaggi ammuffiti
E vivi nella merda
ogni giorni ti rotoli nel tuo elemento quotidiano
e ricordi momenti passati
quando ti fermavi alla pompa di benzina e mettevi cinquemila lire
e in più quello stronzo di benzinaio ti puliva i vetri
«Acqua e olio? Tutto a posto?»
«Ma faffanculo, da te non vengo più metti l’acqua nella benzina»
Si beveva benzina e gasolio
Tu merdoso essere ti sporcavi le mani di pece e d’olio
eri un meccanico
un artigiano
un falegname
un ortolano
Guarda oggi al mercato la frutta costa mille lire al chilo
Il cinema costa cinquemila
e ieri ho appunto messo cinquemila di benzina e mio padre mi ha dato ventimila di paga…
Ma poi quel cazzo di benzinaio capiva sempre male…
«Gino, metti cinquemila»
E giù venticinquemila di benzina e addio soldi del sabato e niente cinema
Sì, tu merdoso che vedevi il Nome della Rosa al teatro Apollo
e ti crogiolavi nel tuo canale di scolo
ed eri te stesso nel mondo sommerso
Eppure
forse
tu vivevi
più di quanto faccia io adesso...
veloce in un baleno,
da giovane son vecchio e ora m’accorgo
d’un cielo avvelenato e non sereno
e corro a perdifiato in mezzo al campo,
di lato intanto porgo
la mente che ritorna a quel sobborgo,
di me triste fanciullo insofferente,
perso nei bei pensieri,
volavano nell’aria volentieri,
fugaci nel mio mondo assai accogliente,
dove al richiamo rimanevo assente.
Rimpiango quei ricordi
ed ora che analizzo la mia vita,
nel mondo dei bagordi,
la storia degli umani par finita.
Ma esiste la speranza della fede,
pregare ad un sol Dio,
aver fiducia, creder nel futuro
fatto di luce immensa e non oscuro,
sperduto nel mio oblio,
odo voci di donne, e poi un brusio,
il suo bel viso luce mi riflette,
spighe dorate a maggio,
vita meravigliosa in alte vette,
sei vera e non miraggio.
Dove siamo andati…
Davamo a ogni cosa un suono
giocando coi rumori
del giorno, la notte passi lenti
sul vinile a fil di cuori.
Giorni tutti uguali di corsa
coi bronci e le domande dentro
l’ombra delle pieghe d’un rivo.
Rammendi toppe sopra il cuore.
Come da bambina, io scrivo.
Cosa rimane dopo di me, poco
è si gretto , ma desto lo voglio
trattenere, disarmante sentenza
Combatto, in pace combatterò
la memoria dal lesto tempo
che scema giorno dopo giorno
Come il fiorir di luna che s’alza
e muore lasciandomi così
amaramente troppo poco
E’ un cielo velato che scorre
come il tempo, galoppa e strema
e cosi’ poco lascia al mio animo
Di sforzi e singhiozzi mi vesto
di un abito sontuoso d’altri tempi
per burlarmi e confondere il tempo
nemico blasfemo della mia memoria
che greve si lagna e reclama
un giro di chiave al mio pendolo.