Il mio sguardo si fondeva
con la natura nell’eremo
alla fine della civiltà
solitudine è rifiutar
l’inessenziale angoscia
del superfluo
coltivare il dubbio
rifiutando i preconcetti
e spezzare le catene dell’obbedienza
il mio sguardo si illuminava
dell’alba nell’eremo
alla fine della notte.
di certe mie vittorie entusiasmanti
quando incredulo mi rannicchiavo
sotto la densa coltre del cuore
e mi volevo un bene da morire.
In forma dolce, pure mi ricorderò
di certe mie sconfitte clamorose
quando incredulo mi rannicchiavo
sotto la densa coltre del cuore
e m’odiavo, m’odiavo da morire.
Tra le une e le altre feci un compromesso,
quel mio amar la vita in ogni senso,
in ogni senso vuole mi conduca,
in ogni dove la si può amare,
in ogni come la si può afferrare.
Intanto, conto i susseguenti resti.
Normale volli io rendermi agli altri,
in dotazione un sensibile sentire,
una pazienza che non si misura,
fino a soffrir delle mie stesse scelte.
Vacillano i passi.
Ma sono vecchio dentro
per questa paura
di non meritarmi
ancora questo mondo
ché mi ha dato tanto
e anche di più.
Cos’altro può darmi
che non ho già avuto?
Ho conosciuto il dolore
forse troppo
ma chi non l’ha mai provato?
E le tante gioie
che ho dissipato in un amen
bruciando le candele
nel chiedere perdono.
Vacillano i passi
per questa vita
che mi ha ubriacato
ed ora non basta la sobrietà
per coglierne l’essenza.
Vacillano i passi
ma voglio ancora camminare
abbracciato alla speranza.
Uggioso tempo e
pioggia a batter impetuosa
su vetri stanchi in aurea foschia ad
investir la verde fauna, oltre casuali vetri.
Vagan sorrisi inermi d'ospedale
pianti e parole, in fragili dolori e lamenti
a chi con sofferenza sosta all'ospedale.
Vocii inquietanti e campanelli in
corsie, ove il male segna anime a
sperar ed attendere qual verdetto
aleggia fra le sponde, in un numero di letto.
Sarà numero fortunato?
Oh corsia d'ospedale ove
il tempo giace e dispera.
Flusso di pensier a nudi calchi da
difender arditamente
ove la solitudine impera e spera e
vivi ricordi a scioglier nodi,
di un passato e presente ad unificar la mente.
Spazi circoncisi ad anime
congiunte da stessa sorte avvolte
ad unanime preghiere ed implorazioni
ad alternar giorni solitari,
in notti ed albe ad aprir alla sorte.
Pillole d'amor ad eruttar dai cuori.
Ospedale a guarigion di mali e
sperar ad una vita nuova,
ma non sempre si esce immuni,
la balorda morte non fa grazie.
Io,
ammanettato ai ricordi amari,
a quei dolori che sprizzano dai pori
che subdola magia vorrebbe sublimare,
silenzio vero chiedo a questa notte.
Stelle!
Stelle nella volta imbambolate,
non mi guardate con perplessi occhi!
Smettetela col gioco estroso delle luci
e coi rumori dall’infinito vago.
Non lo capite?
Non è il mare, questa volta,
e neanche il bianco di un sorriso dolce,
il rosa altero di boccioli viziati
o la controfigura dei vent’anni.
Qui,
in questa stanza in cui non trovo sonno
v’è teoria di volti in processione.
Sì, adesso, proprio adesso,
nell’ora in cui domesticare il corpo
e sfarinar la mente sul cuscino...
Apro gli occhi,
compagni del buio,
una distrazione
dal sonno
ormai svogliato
di sfocata cecità.
Un bisbiglio
di parole lo riconosco,
la voce ancora roca
tra le lame di luce
e le lente carezze
d’un preludio d’amore.
L’amore che cavalca
i minuti,
cambia il mio viso,
segue i lamenti
racchiusi in vasi canopi
e scivola con labbra lievi
sulla spalla che nuda s'arresta.
La voce sottile di mio padre
quel giorno
si è fermata sul mio viso
spezzato…
l suoi pensieri hanno confuso
il giorno con la notte
e poi…
non c’è stato più tempo
per parlare e confessarsi
gli errori di una vita
è sfuggita la speranza
di riempire i silenzi…
ma oggi sento il suo respiro
nel soffio tiepido della primavera
e nella danza armoniosa delle foglie
che si staccano dalle radici profonde
dei boschi autunnali.
al giorno dopo
a come affronterò
un'altra giornata senza averti accanto.
Nel silenzio penso al domani
se gli impegni mi impediranno di pensarti.
Penserò che il silenzio non esiste,
perchè anche quel piccolo silenzio,
riesce a far rumore nella mente.
Ho tanta confusione
non riesco a capire
ciò che mi affligge veramente,
io lo so cosa sia,
ma faccio in modo di non vederlo
e di non sentirlo.
Perchè lo so che un giorno
ci sarà anche la possibilità
che tutto questo gran casino
che mi ritrovo
non farà più rumore
e il silenzio
ritornerà ad essere silenzio.
Vecchio scrittore senza idee
dall’arida vena depauperata dal tempo.
Chi sei…
Che nella notte vaghi a cercare fortuna,
aprendo finestre senza vetri
origliando nell’animo degli altri
per trovare la tua perduta strada.
Sai di veleno e mirto.
Bacca selvatica immersa nelle sterpaglie
t’aggrovigli ai bordi dei sentieri
che conducono al pensare estraneo.
Hai l’aria assonata e stanca
i tuoi occhi s’accartocciano
nel canuto solco
le tue mani
hanno il vezzo della stortura
e vene le guarniscono
tracciando le perdute età.
Chi sei che entri in me
nutrendoti della pochezza?
Non soggiornare troppo
in questo rifugio freddo e spoglio.
Va nel contrario del passo
prima che la ragione
ti scagli in un ingiusto fosso.
A più della metà
del cammino e
il resto della strada
non voglio mi spaventi.
Abbisogno di soste,
più lunghe. Nel deserto
le oasi ristorano, io
cerco zone d’ombra,
uno zampillo d’acqua
che inumidisca
l’arsura delle salite.
Qualche frenata, ché
s’alleggerisca il fiato.
Tutto sommato
posso farcela…
Di musica vivace, prillo
nel fremito l'angustia dei muscoli
l'impaccio del cervello uno shaker
nel palpito la chiave, il disagio
Aria, esigenza legittima
fresca brezza lì in cima
paesaggi infiniti, smisurati
in alto, su, più in alto
Stendo il dito ed ecco il cielo
"dito, steso, cielo sfiora"
il brillio degli occhi ed è chiarezza
nel beato sorriso riemerge la bimba
Sovrana libertà nell'infinito spazio
è un fruscio lento, piroetto
è l'immenso che lambisce
al bozzolo volge il suo sguardo
Sorrido e rido, sono lacrime
un battito, un fremito ed è ossigeno
sgomitolo il groviglio della matassa
un lento dolore, respiro e sono libera
Lì in cima l'universo, ed è casa
stendo la mano e m'accoglie
sfiora la brezza le guance
come ad asciugarle e baciarle
Ritta espando il polmone
calmi e profondi respiri ossigenano
la pace, la terra ed io
Son viva.
E' così che ti senti
quando osservi il cielo
e non è più lo stesso cielo.
E' così che ti senti sperduto,impaurito
come un gatto smarrito
e non sai cosa fare
ti nascondi dentro il grigio del cuore.
Ora c'è la nebbia a coprire tutto
ed aspetta un pò di vento
per andarsene via
dentro queste sirene
che non smettono mai.
E' così che ti senti
come il cielo che ora ha paura
perché la nebbia ha interrotto il vento
e questo mondo non può liberare
ti senti confuso
prigioniero del tempo
senza ore o minuti
e non passa mai.