Ed è accaduto tutto in un istante
Quando il respiro si è fatto fame
E sui tuoi occhi è sceso un velo bianco
Senza più forza sul tuo volto stanco
Tutti quei giorni ad aspettarne uno
Ed ogni giorno era una discesa
Mentre la vita ti lambiva appena
L’ultimo istante senza più paura
Lo sguardo perso e la tua mano tesa
Ad indicare chi o forse cosa?
Sola ,e noi li intorno.
Sola senza più noi al tuo fianco,
col tuo coraggio dentro quel corpo stanco
lento il tuo andare privo di lamento.
Piano ti ho sussurrato ...mi raccomando
Sii serena,e saluta chi ti sta aspettando.
Sempre e per sempre,
Mamma.
Vorrebbe respirare
l'aria della via.
E' insalubre.
Grida ma è silenzio.
Solleva il lenzuolo
sul viso sudaticcio.
Anima piena di peccati
si lamenta del domani.
L'ora non è più un'ora.
Un sorriso che è un ghigno
la mano adunca s'allunga.
Una pietosa si posa
nella via i rumori della vita.
Potrà scordar il tuo nome e il tuo viso''.
Lo scheletro che un tempo era qualcuno
Ora è nessuno, ingannato e deriso.
Da quella miserabile menzogna
Che è la memoria di chi non ricorda.
L'uomo s'innalza e della gloria sogna
Ma alla sua vanità la storia è sorda.
O tu, il più angosciato tra i mortali
Perché diverso dagli altri animali
Ti fece la madre terra funesta?
Or resto io nel tempo che resta
A ricordar vite d'oggi e di ieri
Qui sulle tettoie dei cimiteri.
è il mondo che crolla in un istante,
è un vuoto indelebile e costante,
il tempo non è mai abbastanza,
perdi il senso della speranza,
cos’è la morte?
Per chi resta un dolore troppo forte!
Le lacrime sono quelle vere,
si asciugano solo con le preghiere,
sul ring del dolore si incassa,
la disperazione non passa,
è una condanna a soffrire,
sei vivo ma ti senti morire,
ma bisogna mantenere la fede
anche se non ce la fai più,
nel debole sollievo che chi
muore vive in eterno con Gesù.
Il sorgere del sole
saluta il riposo della campagna
e sbrilluccica sul marmo
facendomi lacrimare gli occhi.
In questo luogo di silenzio
lontano dalle strade.
Con il sorgere del sole
che pettina la terra
vangata a brina, una goccia
salata cola da un’effigie.
Stringo una zolla,
come fosse la mano d’un padre.
Guarderò un giorno
là dove il sole tramonta
forse per sentirmi meno solo
mentre si infrange un’altra onda
guarderò un giorno
i gabbiani sfiorare l’oceano
veloce e saldo lo stormo
delle ombre strane che si creano
guarderò un giorno
tutto ciò che è stato
giudicherò il mio percorso
tenuto in mano dal fato
guarderò un giorno
l’ultimo capitolo della vita
un mare di ricordi intorno
chissà se apprezzerò come è finita
guarderò un giorno
e gli occhi saranno pieni di lacrime.
io non morirò al pari di un merluzzo
predestinato ad esser baccalà.
Sì,
a dispetto dei tempi,
sarò più vivo che mai
in tutto ciò che non si spegne,
in un riflesso d’onda
che il sole tocca
perché gli va di far così all'istante,
o in tutti i miei segreti poi svelati
a chi dovevo poi svelare.
Se questo é l’esser mio eterno,
inviterò i sultani delle felicità perenni,
le mie regine camuffate in donne,
i miei paggetti camuffati in figli
e il grande stuolo di chi ho solo amato.
La sera prima la nebbia
si introduceva dal camino,
e ricordo di aver fatto
una gran fatica
ad accendere la stufa.
Ancora non sapevo
si sarebbe interrotto
un giovane cammino:
non ho parole per quanto
sentite, comunque vuote.
Ma ho per te una strofa.
S’era nascosta la sera
dietro la caligine
del focolare di Dio.
Io avevo un lieve malore,
e sulle mani la fuliggine.
Ma tu cominciavi sul calar
della sera a non percepire
più il tepore del caminetto.
Come può una madre assistere a Dio
che esce dalla sua caligine per lasciar una
figlia senza un’altra sera sopita nel letto…
Il destino
fila lo stame
della vita,
inflessibile.
Stavo sul terrazzo che annotavo sensazioni
dietro la lista della spesa quando un micetto
di soli due mesi viene azzannato da un cane,
che poi continua a grattarsi impassibile.
Prima dell’alba quel cane
è perito tra dolori lancinanti
nei suoi stessi escrementi
su di un mucchio di letame.
Il destino
inflessibile
recide
lo stame.
La neve lo lascia crescere
sul suo stelo esile,
color delle candele
semplice e discreto
spingendo le foglie acuminate
attraverso il suolo ghiacciato,
effondendo un dolce profumo.
Ma la strega d’inverno
in un sospiro lo consegna
alle dita di Hel affusolate.
Regge il fio dei giorni
per la tela tra le dita.
Pone sulla rocca il pennacchio,
filatrice della vita.
Uno due e tre Moire
Cloto non la puoi sentire.
Avvolgendo al fuso il filo
dispensa la morte.
Per la tela tra le dita,
fissatrice della sorte.
Uno due e tre Parche
Lachesi non la puoi capire.
Taglia con le forbici
quando giunge il momento
di arrestare la vita.
La tela si scinge al vento.
Uno due e tre Esperidi
Atropo decide quando morire.
Sono venuta al mondo non per mia scelta.
D’estate, in un casale in aperta campagna.
Mi ci trovo bene, né freddo più del dovuto
e né oltre misura caldo alle calcagna.
Ho perso il mio compagno nell’unica notte
di canicola in un pianoro colmo di ristagni.
Ora prenderò a puncicare i dimoranti non
per diletto ma per connaturali bisogni.
Per poi tornare un’ultima volta ad affidare
le larve a quella brulla piana poco distante
prima di abitare le sponde dell’Acheronte
dove l’aria è orfana del caldo stagnante.