Morire avvizziti da stress assortiti,
Morire appestati da cibi inquinati,
Morire fra gente che puzza di niente
Morir di se stessi, solinghi e dimessi,
Morire d'amore, fra "spleen" e stridore
Morir governati da ceffi sfrontati,
Morire trafitti da mutui, da affitti,
Morire in un letto: con bel numeretto,
Morir sull’asfalto, chiazzona di smalto
Morire a cent’anni, tra giorni d’affanni
Morire di tutto, con vita e costrutto
Morir d’illusioni, tremila infezioni,
Morire contenti per i bei momenti
Morir da coristi, con rantol che smisti
Morire - se insisti - da linotipisti:
Morire rimando con morte allorquando
Morir fra i commenti d'amici pazienti
Morire vivendo? (Beh, già me n’intendo!).
Affanni, speranze, sogni, delusioni…
Arriva il nulla!
Non così per te dolce professore,
d'amore hai vissuto, amando te ne sei andato e dall'Amore sarai abbracciato.
Ed il buio non è neanche in me,
Vedo solo il sorriso di un bambino ottantenne innamorato,
Vedo la luce anche adesso dal tuo freddo corpo, la stessa che esplode dai tuoi quadri.
D'amore hai vissuto, amando te ne sei andato dall'Amore sarai abbracciato,
Così vive e muore un uomo.
Addio professore grazie per questa ultima lezione.
quell'incubo, la tua morte.
Un lutto che dopo due anni non passa mai.
Tu che sei lassù e mi stai proteggendo,
aiutami di più.
Lottare da sola non è facile.
Sai nonna, so che mi guardi e
sai che ora una famiglia non ce l'ho più.
Ora nonna, più che mai aiutami.
verso cieli immensi le ali hai dischiuso,
non più affanni nè solitudini,
Gesù dolcemente la mano ti ha teso
e forse questo bramavi.
D'amore colmo era il cuore
ardente il profondo timido sguardo
quando l'amico per strada incontravi,
docile alla vita ti sei mostrato
e sereno apparivi mentre nella sofferenza annegavi.
Salvatore, il vivo ricordo va anche tra i banchi di scuola
attento e gioioso i frutti del sapere coglievi
con l'esempio guida per i compagni
e per me grande orgoglio, poichè il sangue ci legava.
La tua presenza rammento allorchè
"dal Continente" nella nostra Isola adorata giungevo
col mio sposo e tu venivi a trovarci,
gli occhi favellavano prima della parola,
era semplice sentita festa.
Da Lassù volgi lo sguardo sulle pene di quaggiù
sostieni l'affranta dolce tua madre,
gli inconsolabili fratelli e noi che pur nel dolore
un raggio di luce intravediamo nella pace e bontà
che hai saputo seminare!
A Tore Zucca

Ti ritrovo sul pendio
sotto un cielo splendente.
Come gabbiano
dalle ali mozze anela il mare
capisco con dolore
che la vita è spreco vuoto
senza te.
Non ci saranno più affanni
ed ardori
ma solo fiaccole
che bruceranno i nostri cuori.
I baci dati e ricevuti
non saranno più rivissuti.
Quale sia stato quello estremo
non lo percepii nemmeno.
Guardandoti dritto negli occhi
quel giorno,
incantata tra i fiori in giardino
assaporai la gioia suprema
in quell'auro mattino.
Questo tumulo
che grava sul mio petto
non sarà dimora
del tuo spirito diletto
ma tu vivrai e viaggerai con me
a ricordarmi il nostro inscindibile
e indimenticabile vissuto.
Cupa amarezza di vento
perpetua sul mondo morale,
dura è la notte e spoglio è il giorno
triste è il vagheggiare delle
colombe sul cielo nel lago
Laddove solo non si sentiva chiusura
adesso è occlusione per la cosa perduta
Dove il mio viso rinfrescato
adesso sente la mancanza
e scende la goccia che non trova conforto.
Io mi pulivo e tu morivi
Dea della guerra, Dea Alata,
immune alle frecce di Eros
vola per i tuoi guerrieri
attraversa il cielo che soffre
per te
di invertire la rotta?
E tu capitano come hai risposto?
Accanendoti a navigare
nel mare della morte.
Ti accorgi
che non ti sarà concesso
saltare nel tempo
e frodare
come hai fatto sino ad ora.
Lingua mendace,
biforcuta e assassina,
non inchina le armi
alla misericordia divina.
Infame bestemmia
raccoglie proseliti,
come ad ottobre
l'uva si raccoglie a vendemmia.
Quante volte hai profanato
la divina requie,
con un distacco ovattato,
ma amplificato
da pubbliche dichiarazioni di apostasia?
E quante volte ti dannerai
inscenando un coro come gli ossessi;
brucerai le poche energie rimaste;
ti estinguerai come la cera di una candela
maledicendo il Creatore
di essere nato?
Sempre! Sempre?
rumore disperato accompagna
i pensieri nel divenire del crepuscolo
e le immagini passate litigano
per farsi belle
agli occhi di chi le guarda
sfidando il grigiore
delle pagine di un album fotografico
scoppia il tuono
la pioggia bagna
un risveglio nostalgico
il chiarore di un fuoco
bruciando su ceppi ardenti
riscalda il senso di malinconia
dà luce alla nostalgica bellezza
di anni più giovani
tempi di irriducibili sogni
e tormentate idee
schianta il cielo
tuona l'immortale natura
l'anima di un vecchio uomo
davanti al fuoco prende congedo
mentre l'ultima fiamma
si inerpica su nubi grigie
e il rumore del tuono si perde
nell'oblio del presente.
chi d’opulenza fece il suo vissuto,
tenne stretto l’oro alle catene
e visse i suoi agi senza pene.
Sicuro che la vita sua terrena
di perenne e infinito fosse piena
la carità scordò, la compassione
e lusso e fasto fu la sua passione.
Quando venne l’ora del giudizio
si proclamò immune da ogni vizio
e dinanzi al corriere della morte
dalla paura non trovò manforte:
chiamò saggi, docenti, dignitari
cervelloni, sciamani, luminari,
ma l’assillo dell’ombra della fine
impregnava d’umore le sue trine.
Vide gemme e diamanti non brillare,
tutti gli ori e gli argenti liquefare,
tutt’intorno il chiaro si spegneva
e tanta la gente che gemeva.
Dove fosse lo sfarzo di sua corte
lo chiese al corriere della morte
ma non ebbe riscontro né risposta
così pagò la decima e l’imposta.
e la luce non sia sulla mia anima.
Ora sarei a riposo dai miei affanni.
Come i bambini che non hanno visto la luce
non sarei più.
I malvagi grazie ad ella smisero di fare danni.
E l’invidia spirò in un sol giorno.
All’ingiustizia le viene chiusa la bocca.
E tutti quando giacciono nella tomba
sono nascosti dalla frusta della lingua.
Quante volte ho pronunciato queste parole!
Quante volte chiamai la Signora Morte
ma ella si tappava gli orecchi
per non sentire i miei lamenti.
La mia richiesta d’aiuto era un semplice scherzo,
non intuiva quanto sul serio io parlassi.
E così la esecravo…
e faticosamente i miei giorni
dietro me trascinavo….
Fintantoché arrivarono quegli anni
in cui gioia provavo
e diletto in tutto ciò che facevo,
entusiasmo da vendere avevo
e mi ripetevo:
“Oggi farai questo,
domani farai quest’altro,
dopodomani terminerai quel lavoretto…”.
Ma una notte mentre giacevo sul mio letto
un essere immondo attraversò la porta,
aveva un grande mantello nero,
grande quanto il mondo,
mi guardò senza pietà,
e disse che con lei dovevo andare
che era giunto il mio momento.
Io la implorai e le dissi:
“Permettimi ancora di assaporare la vita,
a 70 anni non poteva essere già finita!”.
Tuttavia la morte
con la sua forza incommensurabile
mi prese
e mi trascinò via con sé.